Domenica delle Palme Anno B
“Ne è valsa la pena!
Come ogni anno, anche quest’anno
il Tempo di Quaresima è stato un tempo di grazia, non solo perché abbiamo
potuto riscoprire maggiormente i valori dello spirito attraverso opere di
penitenza e di ascesi, ma anche e soprattutto perché siamo stati aiutati a
riscoprire la presenza di Dio nella nostra vita, che durante gli altri periodi
dell’anno rischia di rimanere nascosta nell’ordinarietà delle cose. Ogni anno,
l’esordio di questo tempo è legato al tema della tentazione: nelle letture
proposte per il ciclo dell’anno B mi pare di poter dire che questo tema ci ha
accompagnato nella prima e anche nella seconda domenica. La tentazione di fare
a meno di Dio, di vivere la nostra vita a prescindere da lui, è presente sia
nel Gesù del deserto (che Marco ci ha presentato come il nuovo Adamo nel
giardino nell’Eden, totalmente dipendente da Dio ma anche soggetto alla
tentazione di staccarsi da lui), che nell’Abramo del monte Moria, tentato non
più dal male, ma da Dio in persona, che lo sfida a colpi di fedeltà
chiedendogli il sacrificio del suo unico figlio. Certo, un Dio così non è
affatto facile né da comprendere né tantomeno da accettare. Il cammino che la
Liturgia della Parola ci ha fatto percorrere in questa Quaresima mi pare che
abbia voluto condurci principalmente a questo: alla comprensione del volto di
Dio, alla scoperta – o forse riscoperta – della sua vera identità e di ciò che
essa rappresenta per la nostra salvezza personale e collettiva. L’immagine di
Dio che solitamente – e anche giustamente, per certi aspetti – ci portiamo
dentro, è quella dell’Essere assoluto e onnipotente, immortale, forte, giudice
degli uomini e della storia, creatore, regolatore e signore della vita e della
morte: un Dio che regna nel cielo rimanendo irraggiungibile e che qui, sulla
terra, si occupa di mettere a posto le cose come devono essere, soprattutto
mettendo al proprio posto l’uomo. Ma questo cammino di Quaresima ci ha mostrato
un altro volto di Dio: un Dio che non giudica e che non condanna, e che invece
si preoccupa solamente della salvezza degli uomini; un Dio che prima ancora di
regnare sull’universo pensa ad amare l’uomo, e lo ama al punto di farsi come
lui, di abbassarsi al suo livello; un Dio che si abbassa così tanto al livello
dell’uomo da assumerne su di sé anche l’elemento più drammatico, la sofferenza
e la morte, per farne motivo di salvezza, per farne opportunità di vita. È
quanto ci ha trasmesso il Vangelo del chicco di frumento di settimana scorsa:
come dietro la dura scorza del seme si nasconde un germoglio di vita nuova,
così la durezza del dolore e della morte vengono trasformate dal nostro Dio in
speranza di vita. E tutto questo, nel mistero della Croce che – ci ricordava
Paolo nella terza settimana di Quaresima – umanamente parlando non vale proprio
la pena di prendere in considerazione, anzi, è uno scandalo e una stoltezza:
scandalo per chi ha un’immagine di Dio giudice e retribuitore, e si trova poi a
fare i conti con un Dio misericordioso e compassionevole; stoltezza per chi
attribuisce a Dio un’immagine di assoluta imperturbabilità e immortalità e se
lo vede appeso ad un patibolo, con la pretesa poi di voler risuscitare da
morte.
Questo mistero della Croce, a cui
è appeso un Dio scandaloso e folle, che all’uomo qualunque non ispirerebbe la
minima fiducia, per chi – nonostante questo – si fida di lui con la medesima
fiducia di Abramo (e di Gesù Cristo nei confronti del Padre) diviene causa di
salvezza: è ciò in cui ci stiamo per addentrare in questa settimana santa. Non scandalizziamoci per un Maestro
abbandonato dai suoi discepoli, tradito dai suoi amici e messo in croce da
chi oggi lo osanna come Re: facciamo la fatica di rimanere anche noi, come
Maria e Giovanni, sotto la croce, e domenica prossima potremo dire che ne è
davvero la valsa la pena.
(omelia di Don Alberto Brignoli)