Lettera
Aperta inviata dalle donne di Afghan Women's Network, il 16 febbraio. La
traduzione è di Lisa Clark.
A coloro che si ergono a guardiani
dell'onore delle donne
Una lettera aperta dalle donne
dell'Afghanistan
Non è la
prima volta che ci ritroviamo in questa sala. Le pareti, il tavolo, la teiera …
quante volte sono stati testimoni delle nostre riunioni, delle nostre
delusioni, del nostro disagio. Quante volte hanno accolto il nostro gruppo di
donne deluse ma determinate: amiche, attiviste, alleate. Quante volte ci hanno
ascoltato, mentre esprimevamo le stesse preoccupazioni. Quanto sono fragili le
nostre conquiste. Quanto rimangono prive di significato le leggi approvate
grazie alle nostre lotte. Quanto sono inutili le politiche che abbiamo lottato
per far applicare in questo Paese che non crede nei diritti delle donne. In
questo Paese in cui la posizione di una donna nella società è considerata
niente di più del prolungamento del suo ruolo nella famiglia e nella tribù. In
questo Paese in cui etica e morale vengono interpretate esclusivamente attraverso
la definizione maschile, della quale le donne tutti i giorni pagano il prezzo.
Oggi, il
colpo finale: i rifugi per le donne. Ripercorriamone la storia. Inizia quando
un mezzo di comunicazione strettamente collegato con il potere accusa falsamente
i rifugi delle donne di essere luoghi di prostituzione e immoralità. In
risposta a questa accusa, il Governo costituisce una Commissione di alti
funzionari – nessuno di loro esperto, nessuno che gestisca un rifugio, nessuno
che abbia mai vissuto in un rifugio – affinché valuti la situazione. I
Commissari producono un rapporto di parte ed incompleto, senza discutere le
loro valutazioni con chi amministra i rifugi né con le organizzazioni che li
promuovono.
Noi,
attiviste e donne, adesso veniamo accusate dal Governo di aver disonorato
l'orgoglio nazionale perché abbiamo reso pubbliche le violazioni gravissime e
spesso umilianti dei diritti che vengono inflitte alle donne. Tutto ciò, ci
dicono, espone il Paese al disonore, alla vergogna, agli occhi del mondo. Tutto
ciò? La rivelazione di violazioni dei diritti umani? Non la corruzione
dilagante, non il fallimento palese di dare all'Afghanistan una struttura di
governo onesta e giusta? E invece, secondo loro, ciò che disonora il Paese è il
rispetto dell'antica tradizione afghana che impone di offrire un rifugio sicuro
a chi ne ha più bisogno, di lottare per i diritti dei più vulnerabili? Questo
ci disonora?
Nel tentativo
di “rimediare” a questi problemi – e di dirottare gli aiuti internazionali dai
rifugi indipendenti verso un canale governativo “normalizzato” – il Governo sta
usando il Ministero delle Donne come uno strumento per comprimere i diritti
delle donne. Il Ministro – senza vergogna – accusa i gruppi femminili di
corruzione, ma non offre uno straccio di prova né si impegna a correggere le
storture dove queste esistano.
D'altro
canto, secondo il bilancio governativo di gennaio, la maggior parte dei
Ministeri ha utilizzato meno della metà dei fondi stanziati per programmi di
sviluppo nazionale. E ora vogliono trasferire ancora più fondi verso un sistema
governativo che non riesce nemmeno a gestire i soldi che ha.
Ma la
questione principale non riguarda i fondi. Almeno per quanto concerne la
società civile afghana e i gruppi delle donne in particolare – che, tanto per
fare un esempio, sono quelli che hanno saputo usare al meglio i soldi ricevuti,
riducendo al minimo le spese per garantire programmi utili e concreti, e che
producono bilanci trasparenti che ne testimoniano l'efficacia. No, la questione
principale ora è Cosa accadrà alle donne?
Purtroppo, le
solenni promesse di proteggere e rispettare i diritti delle donne, fatte nelle
Conferenze di Londra e Kabul e nella Dichiarazione di Lisbona, non si sono
tradotte in azioni concrete da parte del Governo afghano o dei suoi alleati
internazionali. Da quando furono solennemente pronunciati quelle promesse, il
Governo è addirittura tornato indietro, e il suo impegno per i diritti delle
donne è diminuito. E adesso noi dovremmo mettere le donne più vulnerabili della
nostra società totalmente nelle mani de nostro Governo?
L'esperienza
dei rifugi per donne negli ultimi nove anni dimostra che le donne che li
gestiscono e le donne che vi trovano rifugio hanno sempre subito minacce da
parte delle istituzioni dello Stato e di coloro che informalmente esercitano
potere nella nostra società. Non si tratta della minaccia di tagliare i fondi,
niente affatto. Sono minacce insidiose: minacce di tradimento del tipo
peggiore. Per esempio, una ragazza dodicenne del Distretto di Shindand a Herat
recentemente ha chiesto di essere accolta in un rifugio, ma il Governo, su
pressione di un Parlamentare, ha fatto restituire la ragazza alla famiglia. Che
l'ha poi uccisa e fatta a pezzi.
E la sua
storia non è così diversa da tante altre. La sua storia è una storia comune. Alcune delle donne che abbiamo
conosciuto corrono enormi rischi. In modo eroico mettono a rischio non solo la
propria vita, ma anche l'incolumità dei propri figli, per cercare rifugio dagli
abusi nelle piccole case che offrono sicurezza. Alcune ricevono quotidianamente
minacce, addirittura ogni ora. Ma, per loro, vale la pena correre il rischio.
Sono donne che hanno visto da vicino la tortura e l'uccisione di altre donne,
che sono state esse stesse vittime di orrendi abusi. E corrono il rischio più
grande nel cercare di sfuggire alla violenza: mettono in gioco la propria
sopravvivenza. Secondo la nuova normativa, i rischi per queste donne e i loro
figli alla ricerca di protezione diventerebbero ancora più grandi. Come
possiamo permettere che questa accada?
Oggi, una
donna a Takhar grida per chiedere giustizia nei confronti del potente locale
che ha rapito, tenuto sequestrata e poi ucciso sua figlia. Il perpetratore è il
nipote criminale di un Parlamentare che siede – oggi – nel Parlamento a Kabul,
che è considerato al di sopra della legge dalle autorità distrettuali. Alla
luce del sole. Di quali altre prove avete bisogno? Ogni donna afghana sa
benissimo che questa è la situazione nel Paese. Sa anche che, per il Governo
afghano, tutto ciò è considerato normale.
Le donne che
gestiscono i rifugi lavorano ogni giorno per proteggere la vita delle loro
sorelle afghane, indipendentemente dalle opinioni politiche o dall'appartenenza
etnica. E si trovano di fronte ostacoli enormi. Tra il 40 e il 60% di tutti i
casi conosciuti di violenza vengono manipolati da qualche potente che esercita
influenza sulle autorità, che fa pressione sul Governo affinché la donna venga
restituita al padre o marito – padrone violento – da cui cercava di fuggire.
Noi chiediamo al nostro Governo: Sei davvero in grado di
assumerti la responsabilità di proteggere la vita di queste donne?
E credi
davvero che esercitare il controllo totale sulla vita delle donne, fin dentro
il luogo della loro ultima speranza di salvezza, ti aiuterà a costruire una
migliore immagine internazionale del Paese? Questa decisione la prendi davvero
nel migliore interesse delle donne, anche quando sai benissimo che sei il
secondo governo più corrotto al mondo? Questa nuova normativa riuscirà
miracolosamente ad essere indenne dalle influenze potenti e corrotte che
infettano tutti gli altri settori governativi? Come riuscirai a garantire
questo? E, cosa più importante, cosa possiamo fare noi per fermarti?
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