29 dicembre 2015

Iniziano le espulsioni dei cubani, ancora senza soluzione il problema degli emigrati


Suor Dirce ETTARDI

Carissime sorelle, il giorno 24 dicembre 2015 dall’Ospedale di Lecco, il Signore ha chiamato improvvisamente alla vita senza fine, la nostra carissima Suor Dirce ETTARDI. Nata a Castano Primo (Milano) il 15 aprile 1941. Professa a Casanova di Carmagnola (Torino) il 5 agosto 1963. Appartenente all’Ispettoria Lombarda “Sacra Famiglia” – Italia.
Castano Primo, una zona dell’Interland milanese, è famosa per le sue numerose chiese che testimoniano la religiosità delle famiglie e la presenza delle cascine che documentano l’attività agricola condotta da nuclei familiari che nei tempi passati vivevano, lavoravano e pregavano insieme.
Dirce nacque in una di queste famiglie: gente contadina, onesta, laboriosa, di profonda fede e di molta preghiera. Ultima di tre sorelle, trascorse un’infanzia serena circondata dall’affetto dei genitori, delle sorelle e dei nonni che condividevano in tutto la vita familiare. All’età di cinque anni rimase orfana del padre. La mamma, donna coraggiosa, non si chiuse nel suo dolore, ma col suo lavoro riuscì a dare una sicurezza economica alle figlie senza trascurare i nonni anziani. Le tre sorelle frequentavano la casa delle FMA presente nel paese. Dirce, la più piccola, seguiva le sorelle che animavano l’oratorio, partecipavano alla vita parrocchiale e dalle suore imparavano a cucire e ricamare. Questo ambiente sereno permise a Dirce di alimentare la sete di Dio e la solidarietà verso il prossimo. La sorella maggiore, Rosa all’età di 20 anni chiese di essere ammessa tra le FMA. Dirce, allora quindicenne ne soffrì molto, ma nello stesso tempo andava coltivando in cuore il desiderio di essere come lei, ma con una marcia in più: essere missionaria.
Nel 1961 entrò in Aspirantato a Triuggio, e nel 1962 passò al Postulato di Arignano (Torino), dove si formavano le future missionarie. Di carattere mite e sereno, cercava di radicare la propria esperienza nella preghiera personale e comunitaria. L’anno seguente iniziò il Noviziato a Casanova e nel 1963 fece la prima professione religiosa. Dal 1963 al 1967 rimase a Torino “Casa M. Mazzarello” per la preparazione prossima alla partenza per la missione a cui aveva sempre aspirato. Non si sa per quale motivo la partenza venne posticipata, tuttavia suor Dirce si mantenne serena, mite, umile e attiva. Nel 1967 ritornò a Milano in via Bonvesin de la Riva dove rimase fino al 1983 insegnando economia domestica nel triennio della Scuola Magistrale.
Nel 1984 come risposta al “Progetto Africa”, suor Dirce frequentò il corso di missionologia a Roma in Casa generalizia e andò per un periodo in Inghilterra per imparare l’inglese. In Ispettoria restò ancora per un anno insegnando a Melzo e finalmente nel 1986 coronò il suo sogno missionario. Partita per l’Etiopia, allora in guerra, rimase ad Addis Abeba nella Nunziatura fino al 1991, poi raggiuse il Kenia dove poté finalmente vivere la missione tra i poveri. Nairobi e Siakago furono i luoghi della sua donazione ai giovani e alle famiglie. Con la sua pazienza saggia e amorevole si faceva voler bene da tutti.
Nel 2010 si manifestò la presenza di una neoplasia che richiedeva un intervento chirurgico. Ritornò in Italia, fu operata ma la salute precaria, affrontata da lei con la forza di volontà che la portava a compiere ogni dovere con impegno e decisione, non le permise il ritorno in Africa. Dopo essere stata due anni a Milano nella comunità di via Bonvesin de la Riva, come sarta e assistente, nel 2012 venne destinata come vicaria alla comunità di Contra di Missaglia.
Dicono le sorelle che suor Dirce era elemento di unione perché molto comprensiva e amorevole. Soffriva quando qualcuna usava modi scortesi con le sorelle anziane. Donna delle piccole attenzioni, dove lei passava era sempre disponibile e pronta a compiere un servizio o a rimediare a qualche dimenticanza e lo faceva con molta serenità.
La mattina del 23 dicembre 2015, mentre si preparava alla preghiera mattutina, fu colpita da un’emorragia cerebrale. Trasportata d’urgenza all’ospedale di Lecco, dopo poche ore entrò nella pace di Dio.

L’Ispettrice
Suor Cocco Maria Teresa

28 dicembre 2015

Natale 2015 "in uscita"


ANDU QUEREMOS VIDA, CON EL PAPA FRANCISCO

23 dicembre 2015

Bartolomeo: il Bambino Gesù, costretto a divenire un rifugiato, “è il reale difensore dei profughi di oggi”

Il messaggio del Patriarca ecumenico per il Natale. “Una ignominia per il genere umano” il fatto che anche oggi molti bambini, “che hanno diritto alla vita, alla educazione e alla crescita all’interno della propria famiglia”, sono costretti a lasciare la propria terra. Aiuto e assistenza per quei fratelli "saranno per il Signore che nasce doni assai più preziosi dei doni dei magi".

Istanbul – Il Bambino Gesù, costretto a divenire un rifugiato per sottrarsi alle intenzioni omicide di Erode, “è il reale difensore dei profughi di oggi”. La sua nascita chiama tutti a non restare insensibili di fronte al dramma delle migliaia di migranti del nostro tempo, tra i quali tanti bambini che hanno diritto alla vita, alla educazione e alla crescita all’interno della propria famiglia. E’ centrato in particolare sulla condizione di chi è costretto ad emigrare il messaggio di Natale del patriarca ecumenico Bartolomeo, che sottolinea come aiuto e assistenza per uno di quei fratelli “saranno per il Signore che nasce doni assai più preziosi dei doni dei magi”.

“La dolcezza della Santa Notte di Natale – scrive Bartolomeo - avvolge ancora una volta il mondo. E nel mezzo delle pene e delle sofferenze dell’umanità, della crisi e delle crisi, delle passioni e delle inimicizie, delle insicurezze e delle delusioni prevale con lo stesso fascino di sempre, reale e attuale come mai, il mistero della incarnazione di Dio”. “Purtroppo, tuttavia, nella nostra epoca molti uomini pensano come quell’uccisore di bambini, Erode, quell’ignobile e spietato, annientano il loro prossimo in svariati modi”.

Per salvarsi dalle intenzioni omicide, il Bambino Gesù “fu obbligato a fuggire in Egitto, costituendo così, diremmo secondo la terminologia della nostra epoca, ‘un rifugiato politico’, unitamente a Maria, Sua Madre, la Santissima Madre di Dio e a Giuseppe suo sposo”.

“Nella nostra epoca, considerata come un’epoca di progresso, molti bambini sono costretti a diventare profughi, seguendo i propri genitori, per salvare la propria vita, vita che i loro molteplici nemici guardano con sospetto. Tale fatto costituisce una ignominia per il genere umano”. Tutte le società, invece, “devono assicurare una crescita serena dei bambini e rispettare il loro diritto alla vita, alla educazione e alla loro crescita sociale, che può essere loro assicurata dalla alimentazione e dalla istruzione nell’ambito della famiglia tradizionale, basata sui principi dell’amore, della filantropia, della pace, della solidarietà, beni che il Signore incarnato ci offre. Il Salvatore che è nato, chiama tutti ad accogliere questo messaggio di salvezza degli uomini. E’ vero che lungo la storia dell’uomo, i popoli hanno compiuto molte migrazioni ed insediamenti. Speravamo tuttavia che dopo le due guerre mondiali e le dichiarazioni sulla pace di leader ecclesiastici e politici, le società odierne avrebbero potuto assicurare la convivenza pacifica degli uomini nei propri Paesi. I fatti purtroppo deludono la speranza, in quanto grandi masse di esseri umani, difronte alla minaccia del loro annientamento, sono obbligati a prendere la via della migrazione”.

“Tale situazione creatasi, con l’onda continuamente crescente dei profughi, accresce la responsabilità di noi che abbiamo ancora la benedizione di vivere in pace e con qualche comodità, a non restare insensibili davanti al dramma giornaliero di migliaia di nostri fratelli, ma ad esprimere loro la nostra tangibile solidarietà e il nostro amore, con la certezza che ogni beneficenza verso di loro, giunge al volto del Figlio di Dio che è nato e si è incarnato e non è venuto al mondo come un re, o come un dominatore, o come un potente, o come un ricco, ma è stato generato come un bimbo ignudo ed inerme, in una piccola stalla, senza un focolare, così come vivono in questo momento migliaia di nostri fratelli, ed è stato obbligato nei primi anni della Sua vita terrena a espatriare in una terra lontana, per salvarsi dall’odio di Erode. Potremmo dire che la terra ed il mare bevono il sangue innocente dei bambini dei profughi di oggi, mentre l’anima di Erode ‘ha ricevuto il giudizio’”.

“Questo divino fanciullo nato e portato in Egitto è il reale difensore dei profughi di oggi, dei perseguitati dagli Erode di oggi. Egli, il Bambino Gesù, il nostro Dio, ‘si è fatto debole con i deboli’ (1 Cor. 9,22), simile a noi, ai privi di forza, agli umiliati, a coloro che sono in pericolo, ai profughi. L’assistenza e il nostro aiuto verso i perseguitati e i nostri fratelli deportati, indipendentemente dalla razza, stirpe e religione, saranno per il Signore che nasce doni assai più preziosi dei doni dei magi, tesori più degni ‘dell’oro, dell’incenso e della mirra’ (Mt. 2,11), ricchezza spirituale inalienabile e unica, che non si rovinerà per quanti secoli passeranno, ma ci attenderà nel regno dei Cieli. Offriamo dunque ciascuno di noi, quanto possiamo al Signore, che vediamo nel volto dei nostri fratelli profughi. Offriamo al piccolo Cristo partorito oggi a Betlemme, questi venerabili doni dell’amore, del sacrificio, della filantropia, imitando la sua benevolenza, e prosterniamoci a Lui con gli Angeli, i magi ed i semplici pastori, gridando ‘gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama’ (Lc. 2,14), assieme a tutti i Santi. La grazia e la copiosa misericordia del profugo Bambino Gesù, siano con tutti voi!”.

L'Abate Van Parys sì racconta a #SOUL

IDOS


La sintesi del Dossier Statistico Immigrazione è stata tradotta in diverse lingue. Da non perdere!!!

Posted by Missionarietà on Quarta, 23 de dezembro de 2015

22 dicembre 2015

Le FMA e il Natale in Mongolia: terra di Primo Annuncio.


Le FMA e il Natale in Mongolia: terra di Primo Annuncio.

Posted by Missionarietà on Terça, 22 de dezembro de 2015

Auguri di Natale 2015

La Capitale Spirituale - Uno speciale di Missio giovani Digital Edition dedicato al Giubileo della Misericordia


21 dicembre 2015

Sr. Alaide Deretti (Consigliera per le Missioni) - Messaggi 2015

14 dicembre 2015
14 novembre 2015
14 ottobre 2015
14 settembre 2015
14 agosto 2015
14 luglio 2015
14 giugno 2015
14 maggio 2015
14 aprile 2015
14 marzo 2015
14 febbraio 2015
14 gennaio 2015

Suor Antonia HIDALGO

Carissime sorelle, nelle prime ore di martedì 15 dicembre 2015, nell’Ospedale “Virgen del Rocío” di Sevilla (Spagna), il Signore ha chiamato a contemplare il suo volto di luce la nostra cara sorella Suor Antonia HIDALGO. Nata a Guadalcazar – Córdoba (Spagna) il 23 gennaio 1938. Professa a San José del Valle - Cádiz il  6 agosto 1960. Appartenente all’Ispettoria Spagnola “Maria Ausiliatrice” – Sevilla.
Antonia, terza di nove figli, nacque in una famiglia semplice, laboriosa, molto unita e cristiana. La mamma - secondo suor Antonia - era una santa, sempre disponibile ad aiutare i poveri, i vicini bisognosi e la Chiesa del paese. Fu lei a prepararla alla prima Comunione che ricevette a sei anni.
Conobbe le FMA nel collegio di Écija, dove fu studente interna. L’attrasse subito la vita delle suore, come pregavano, l’unione tra di loro e la loro presenza allegra tra le ragazze. Pensò subito che poteva diventare una di loro. Quando lo disse alla mamma, questa le rispose: “Figlia mia, lo stava aspettando”. Entrò nell’Istituto nel 1957 e il 31 gennaio 1958 fu ammessa al Postulato a Écija e il 5 agosto dello stesso anno andò a Sevilla per il Noviziato.
Dopo la professione religiosa fu maestra e assistente delle interne a Sevilla San Vicente e poi nella “Escuela Hogar” di Santa Cruz de Tenerife, dove completò gli studi di magistero. Nel 1970, dopo dieci anni di professione, poté realizzare il suo sogno missionario. Venne inviata a Torino per la formazione necessaria ottenendo anche il diploma in Scienze Religiose e partì per il Paraguay.
Fece parte della comunità fondatrice della casa di Fuerte Olimpo dove fu vicaria e catechista. Nel 1978 passò a Puerto Casado, tra gli indigeni Maskoi del Chaco Paraguayo. Riconosceva di aver goduto molto “con tante persone umili ma felici e generose”. Nel 1979 venne nominata direttrice e continuò a seguire attivamente le attività della missione: faceva scuola, visitava le famiglie, era catechista e formava le catechiste, animava l’oratorio e preparava teatri. Questi favorivano la maturazione dei ragazzi e ragazze aiutandoli a vincere la loro timidezza e a crescere nella libertà e nella fede. Dopo essere stata per un anno direttrice a Villarrica, nel 1986 tornò a Fuerte Olimpo fino al 1996. Quando era necessario, faceva anche l’infermiera. Trascorse poi un periodo in convalescenza in Spagna a Sanlúcar la Mayor. Tornata in Paraguay, nel 1998 fu direttrice ad Asunción “S. Giuseppe” per un triennio.
Dopo 31 anni di attività missionaria, vissuta con generosità e gratuità con i più poveri, ritornò in patria per accompagnare la mamma nei suoi ultimi giorni di vita. Nel 2001 fu nominata direttrice della comunità “Madre Mazzarello” di Sevilla dove si donò alle sorelle anziane e inferme con la generosità e l’allegria che la caratterizzavano. Fu poi vicaria e catechista a Calañas (Huelva) e Arcos de la Frontera (Cádiz). Nel 2010 si dedicò alla pastorale parrocchiale a Sevilla “Beata Eusebia Palomino” e nel 2014 a Tuineje nell’isola di Fuerteventura. Ovunque espresse il suo ardore apostolico e lo spirito missionario. Suor Antonia ha vissuto l’ideale di essere tutta di Gesù, dimentica di sé e donata agli altri. Ha conosciuto e amato tanti giovani e famiglie; condivideva la sua gioia vocazionale e diceva convinta che, se avesse dovuto nascere un’altra volta, sarebbe stata di nuovo FMA felice.
Nel mese di aprile di quest’anno le fu diagnosticato il cancro e fu accolta nella casa “Madre Mazzarello” di Sevilla per le cure necessarie. Affrontò con serenità e coraggio il doloroso processo della terapia, ma la malattia continuava il suo corso. Fino all’ultimo diede una bella testimonianza di fede, di abbandono alla volontà di Dio e di offerta fiduciosa all’amore del Padre e alla tenerezza di Maria Ausiliatrice. Si sentiva sorretta dalla preghiera di tutte, circondata dall’affetto della famiglia e delle consorelle della comunità.
Cara suor Antonia, ti pensiamo contemplando il volto di Gesù e di Maria Ausiliatrice. Hai raggiunto la mèta che, con tanta gioia e fede, nonostante fosse arduo e difficile l’ultimo tratto di cammino, anelavi a raggiungere. Grazie per averci mostrato che vale la pena vivere per Gesù e con Gesù. Lui è stato il centro della tua vita e tu volevi che fosse conosciuto e amato da tutti. Il Signore ti fece dono di un grande cuore oratoriano, un cuore missionario come quello di don Bosco e di madre Mazzarello. Ci affidiamo a te che già vivi in Dio: intercedi affinché molte giovani sentano la chiamata alla vita religiosa salesiana e diventino come te missionarie di speranza e di gioia.

L’Ispettrice
Suor María Dolores Ruiz Pérez                                 

Migranti, poveri e missione: a Roma il presepe vivente missionario

Roma - Oltre 150 figuranti, 20 capanne, una mostra di presepi etnici, un musical: è il più grande Presepe Vivente Missionario d’Italia, dedicato quest’anno al tema dell’accoglienza dei migranti. Si terrà nella sede romana della Comunità Missionaria di Villaregia, nella riserva naturale di Decima Malafede, a Monte Migliore domenica 27 dicembre e sabato 2 gennaio 2016. L’evento sarà dedicato quest’anno al tema dell’accoglienza e della misericordia, nella cornice del Giubileo indetto da Papa Francesco: una rappresentazione musicale infatti farà da sfondo all’evento, per far riflettere sull’importanza di accogliere gli ultimi e i dimenticati. Arrivando nella sede della Comunità sarà possibile passeggiare tra le botteghe artigiane della Betlemme ai tempi di Gesù. Si parte dal censimento dei soldati romani fino ad arrivare alla ‘sfilata’ dei Magi; non mancheranno animali e attrazioni per i più piccoli, per trascorrere un pomeriggio all’insegna del Natale ma anche della solidarietà. Perché l’intero ricavato della manifestazione – ingresso ad offerta libera – andrà a sostenere la missione del Messico, dove la Comunità missionaria di Villaregia opera dal 1998.

18 dicembre 2015

Giubileo nelle "periferie": aperta la Porta Santa in Mongolia.


Giubileo nelle "periferie": aperta la Porta Santa in Mongolia.

(Nella foto, Cattedrale di Ulan Bator, Mongolia)

Un saluto dell'Ambito Missioni alle nostre Sorelle FMA presenti in Mongolia.

Posted by Missionarietà on Sexta, 18 de dezembro de 2015

17 dicembre 2015

Mons. Nosiglia: “Se i giovani partono, l’Italia diventa un Paese per vecchi!”


L’Arcivescovo di Torino è intervenuto in occasione della presentazione del rapporto Italiani nel mondo 2015

"C’è un’Italia che soffre e che stenta a riprendersi”. Lo ha sottolineato ieri mons. Cesare Nosiglia, durante la presentazione del resoconto Italiani nel mondo 2015. “Il nostro Paese, secondo le cifre, sta vivendo una delle più lunghe recessioni economiche e occupazionali. Giovani, lavoratori, famiglie, persino gli anziani sono in partenza”, ha dichiarato l’arcivescovo di Torino.
Oltre 100mila sono i nostri concittadini che lo scorso anno hanno preferito espatriare: l’Italia non ha dunque cessato di essere, come lo era in passato, Paese di emigrazione.
A partire sono in prevalenza uomini tra i 18 e i 34 anni, principalmente dal Nord, ma anche giovani studenti e laureati, verso l’Europa. Si lascia l’Italia perché all’estero ci sono maggiori prospettive di guadagno, di carriera, di flessibilità dell’orario di lavoro e di prestigio.
“Ma se i giovani partono, l’Italia si trova a diventare un Paese per vecchi! - ha ribadito Nosiglia -. L’Italia è un Paese colpito da una bassa natalità e con un calo demografico pari a 250mila giovani ogni anno. Ad aumentare sono invece due categorie di ragazzi: i “bravi ma senza prospettive” e i neet (coloro che non studiano e non lavorano), emblema dello spreco italiano del capitale umano”.
E proprio questi ultimi rappresentano una delle categorie che l’Arcidiocesi di Torino ha deciso di sostenere con i fondi ricavati dall’Ostensione della Sindone. L’Arcidiocesi sta attivando, altresì, a livello di unità pastorale, l’Agorà sociale per sostenere e promuovere una strategia del territorio su problematiche quali formazione, lavoro e il welfare.
“La comunità torinese, infine, non può che constatare la sofferenza di tante famiglie che vedono figli partire”, ha poi concluso il presule.

La risposta dei cristiani alle persecuzioni


Un resoconto del convegno “Sotto la Spada di Cesare”, svoltosi a Roma dal 10 al 12 dicembre scorsi

Posted by Missionarietà on Quinta, 17 de dezembro de 2015

16 dicembre 2015

Missionario Pime: fra buddisti e musulmani, l’annuncio del Vangelo è fonte di consolazione


Rapporto di "Carta di Roma"


Media e immigrazione: oggi il rapporto di "Carta di Roma" versione testuale In che modo i media italiani hanno...

Posted by Missionarietà on Terça, 15 de dezembro de 2015

La historia del grano de mostaza


Fano: il vescovo apre la Porta Santa con Divane, la bimba nata su un gommone proveniente dalla Libia


13 dicembre 2015

Con Don Bosco, verso il Natale

Egli [D. Bosco] sapeva toccare discretamente l'organo ed il pianoforte, aveva studiato per intero alcuni metodi dei più rinomati per imparare il suono ed il canto, e la sua voce si prestava a qualunque parte salendo armoniosa fino al secondo do della seconda ottava. Avvicinandosi pertanto la festa del Santo Natale, volle preparare una canzoncina in lode del Divino Pargoletto. La poesia fu composta e scritta sul davanzale di un coretto della Chiesa di S. Francesco. Esso stesso la mise in musica. Ecco i versi:

Ah! si canti in suon di giubilo,
Ah! si canti in suon d'amor.
O fedeli, è nato il tenero
Nostro Dio Salvator.
Oh come accesa splende ogni stella
La luna mostrasi lucente e bella
E delle tenebre squarciasi il vel.

Schiere serafiche, che il ciel disserra
Gridan con giubilo: sia pace in terra!
Altre rispondono: sia gloria in ciel!
Vieni, vieni, o pace amata,
Nei cuor nostri a riposar.
O bambino in mezzo a noi
Ti vogliamo conservar.

La musica non era secondo le regole del contrappunto, ma riusciva così affettuosa da strappare le lacrime. D. Bosco si accinse a farla imparare ai suoi giovanetti, privi di ogni istruzione e ignari delle note. La sua perseveranza superò ogni ostacolo. Non avendo da principio luogo al Convitto per simili esercitazioni, usciva di casa, e la gente fermavasi stupita al vedere un prete in mezzo a sei od otto giovanetti che, tra la via Doragrossa e Piazza Milano, passeggiavano ripetendo a bassa voce una canzone. Quell'aria restò così loro impressa nella mente, che alcuni di quei cantori ancora la ricordavano nel 1886, sicché dopo tanti anni si poté scrivere colle sue note a perpetua memoria. Si ritrovò eziandio e si conserva il prezioso manoscritto della poesia. Fu cantata nel 1842 la prima volta ai Domenicani e poi alla Consolata, dirigendo D. Bosco la piccola orchestra e suonando l'organo. I Torinesi, non assuefatti in allora ad udire in orchestra le voci bianche dei fanciulli ne furono entusiasmati, poiché soli i maestri, colle loro voci robuste e talvolta poco simpatiche, a quei tempi cantavano nelle funzioni di Chiesa.

Riuscita bene la prima prova, D. Bosco sullo stesso motivo musicale scrisse la seguente poesia, da cantarsi nel tempo della S. Comunione.

Ah! cantiamo in suon di giubilo
Ah! cantiamo in suon d'amor.
O fedeli, qui ci attende
Nostro Dio Salvator.


(dalle Memorie Biografiche Vol.II, pag. 129)

12 dicembre 2015

Experiencia de misión entre jóvenes indígenas Qom (Tobas) - Inspectoría ARO.


Una instancia de encuentro de jóvenes QOM, Pilaga y Wichi de la Provincia de Formosa, acompañados por el Equipo de Pastoral Aborigen - ENDEPA y las HMA (Hijas de Marìa Auxiliadora).

Mission prayer


Oración Misionera


Letanía de los Santos Misioneros


ASIA/INDIA - Il “Peace Team” del nordest dell’India diventa un modello internazionale

New Delhi - Il “Peace Team” di Guwahati, nel nordest dell'India, guidato dall'Arcivescovo Thomas Menamparampil, emerito di Guwahati, diventa un modello internazionale: il suo approccio e le modalità di intervento nella risoluzione di conflitti a livello locale sono stati assunti come criteri paradigmatici dalla rinomata “Berghof Foundation”, organizzazione indipendente con sede a Berlino, che li riproporrà nei contesti di conflitto in tutto il mondo.
Come comunica a Fides l’Arcivescovo Menamparampil, la Fondazione Berghof ha compiuto missioni sul campo ed analizzato a fondo, per oltre cinque anni, l'operato del “Peace team” che nel nordest dell'India è riuscito a mediare con successo in numerosi casi di contese etniche, tribali, religiose, politiche e sociali.
Il Peace Team è attivo da oltre due decenni. L'Arcivescovo Thomas Menamparampil ne è stato il fondatore e ne è tuttora il motivatore, dando l'approccio giusto, quello evangelico. Descrivendo le modalità prescelte nell’opera di mediazione, l'Arcivescovo spiega a Fides: “Non diamo mai la colpa a nessuno, non importano gli errori compiuti dalle persone. Chiediamo agli interessati di guardare al futuro e di capire come si può vivere insieme”. Importante, rimarca, è “la riduzione della rabbia prima dell'avvio dei negoziati”, e muoversi secondo una “pedagogia della persuasione”, rispetto alla “pedagogia della umiliazione”, che genera sempre nuovo odio e risentimento
“La via della pace è lunga e tortuosa, ma il credente mantiene sempre la speranza e non si arrende mai. Egli cerca di trarre linfa dal piccolo deposito di amore per la pace che si trova nel cuore di ogni uomo e di farlo crescere. Poi arriva la pace come un miracolo”, conclude. 

11 dicembre 2015

"Chi è oggi Erode"


Ma come è possibile che ci siamo ridotti a sentire il bisogno di difenderci anche da bambini che scappano senza sapere...

Posted by Missionarietà on Sexta, 11 de dezembro de 2015

Vivere in comunità monastica tra cristiani di confessioni diverse (Enzo Bianchi)

Presentación de ''Los dones y la llamada de Dios son irrevocables''

Judios y católicos "deben aprender a conocerse mejor, a reconciliarse cada vez más"

"Sin 'Nostra Aetate'', el establecimiento de relaciones seguramente no habría sido posible"

(VIS).- ''Los dones y la llamada de Dios son irrevocables. Una reflexión sobre cuestiones teológicas en torno a las relaciones entre católicos y judíos en el 50° aniversario de ''Nostra Aetate'' (num. 4)'' es el título del documento publicado por la Comisión para las Relaciones Religiosas con el Judaísmo, que se ha presentado esta mañana en la Oficina de Prensa de la Santa Sede.

Han participado en el acto el cardenal Kurt Koch, Presidente de ese dicasterio, el rabino David Rosen del American Jewish Committee Jerusalén, Israel; el profesor y teólogo judío Edward Kessler, Founder Director of the Woolf Institute, Cambridge (Reino Unido) y el P. Norbert Hoffmann. SDB, Secretario de la Comisión para las Relaciones Religiosas con el Judaismo

En su intervención el cardenal Koch recordó que el 28 de octubre de este año, según el deseo del Papa Francisco, se organizó una audiencia general especial con motivo de la promulgación ese mismo día, hace cincuenta años, de la Declaración Nostra Aetate del Concilio Vaticano, en la que participaron representantes de diversas religiones en señal de que aquel documento representó una piedra angular en el cambio de actitud de la Iglesia Católica hacia los otros credos. De ahí que la Comisión que el purpurado preside haya elegido este año para presentar un nuevo documento que retoma los principios teológicos de Nostra Aetate, ampliándolos y profundizando en los puntos que interesan a las relaciones entre la Iglesia católica y el Judaísmo.

''Se trata -dijo- de un documento explícitamente teológico que pretende retomar y aclarar las cuestiones afrontadas en las últimas décadas en el diálogo católico-judío. Nunca antes nuestra Comisión había presentado un documento de signo teológico en sentido estricto: los tres documentos precedentes ''Orientaciones y sugerencias para la Aplicación de la Declaración Conciliar Nostra Aetate (n.4)'', (1974), ''Sobre una correcta presentación de los judíos y el judaísmo en la predicación y la catequesis de la Iglesia Católica'' (1985) y ''Nosotros recordamos : una reflexión sobre la Shoah'' (1998), se referían sobre todo a temas concretos, útiles para el diálogo con el judaísmo desde un punto de vista práctico''.

El nuevo documento quiere destacar que el diálogo con el judaísmo, después de cincuenta años, se asienta ahora sobre un terreno sólido, porque en este arco de tiempo se han obtenido muchos resultados. ''Estamos muy agradecidos por todos los esfuerzos llevados a cabo tanto por parte judía como por parte católica para la promoción de nuestro diálogo -concluyó el cardenal- Pero también es muy importante recordar, como evidencia el documento, que sobre todo desde el punto de vista teológico, estamos solo ante un nuevo principio: quedan muchas cuestiones abiertas que requieren ulteriores estudios''.

Por su parte el rabino Rosen subrayó que el nuevo documento revela no sólo los avances en las directrices propuestas por Nostra Aetate de apreciar y respetar la autocomprensión judía sino también un profundo reconocimiento del lugar de la Torá en la vida del pueblo judío y, de acuerdo con el trabajo de la Pontificia Comisión Bíblica, un reconocimiento de la integridad de la lectura judía de la Biblia que es diferente de la cristiana. ''De hecho -señaló- el mismo hecho de que el documento también cita extensamente fuentes rabínicas judías es un testimonio más de este aspecto''.

El rabino mencionó también, que como el cardenal Koch y el Padre Hofmann ya habían dicho el documento es un documento católico que refleja la teología católica, y en ese sentido recordó que para la comprensión del pueblo judío era necesario apreciar también la importancia que la Tierra de Israel desempeña en su vida religiosa histórica y contemporánea.

''Efectivamente, incluso en términos del estudio histórico de los hitos a lo largo de este extraordinario viaje desde Nostra Aetate -afirmó- el establecimiento de relaciones bilaterales plenas entre el Estado de Israel y la Santa Sede (muy deseadas y promovidas por san Juan Pablo II) fue uno de ellos. Por otra parte, el preámbulo y el artículo primero del Acuerdo Fundamental entre las dos partes, reconoce precisamente este significado. Sin ''Nostra Aetate'', el establecimiento de estas relaciones seguramente no habría sido posible. El Acuerdo Fundamental no sólo allanó el camino a las históricas peregrinaciones papales a Tierra Santa y por lo tanto a la creación de la comisión bilateral con el Gran Rabinato de Israel, sino que podría decirse que refleja ante todo el hecho de que la Iglesia Católica repudió verdaderamente su representación del pueblo judío como vagabundos condenados a no tener hogar hasta el final de los tiempos''.

''La referencia a la paz en Tierra Santa en lo pertinente a la relación entre católicos y judíos también es importante -observó- Los pueblos viven allí en la alienación mutua y el descontento, y creo que la Iglesia católica puede desempeñar un papel importante en la reconstrucción de la confianza, como por ejemplo hizo el Papa Francisco con su iniciativa de oración por la paz. Permítanme expresar la esperanza de que pronto habrá nuevas iniciativas que permitan a la religión ser una fuente de curación en lugar de conflictos y de asegurar que éstas se coordinen con los que tienen la autoridad política para allanar el camino para que la tierra y la ciudad de la paz obedezcan a su nombre''.

La Comisión para las Relaciones Religiosas con el Judaismo publica hoy el documento ''Los dones y la llamada de Dios son irrrevocables''. Una reflexión sobre cuestiones teológicas en torno a las relaciones entre católicos y judíos en el aniversario de Nostra Aetate num. 4''. El texto consta de una prefación y siete capítulos titulados: Breve historia sobre el impacto de "Nostra Aetate" (Nº.4) en los últimos 50 años; El estatuto teológico especial del diálogo Judío-Católico; La revelación en la historia como ?Palabra de Dios? en el Judaísmo y en el Cristianismo;La relación entre Antiguo y Nuevo Testamento, Antigua y Nueva Alianza;La universalidad de la salvación en Jesucristo y la Alianza irrevocable de Dios con Israel: El mandato de la Iglesia de evangelizar en relación al Judaísmo; Las metas del diálogo con el Judaísmo.

''Hace cincuenta -dice la prefación- años fue promulgada la Declaración "Nostra Aetate" del Concilio Vaticano II. Su artículo cuarto presenta la relación entre la Iglesia Católica y el Pueblo Judío en un nuevo marco teológico. Las siguientes reflexiones intentan repasar con gratitud todos los logros alcanzados durante las últimas décadas en las relaciones Judío-Católicas, y ofrecer un nuevo estímulo para el futuro. Destacando una vez más la naturaleza especial de esta relación, dentro del ámbito más amplio del diálogo interreligioso, serán ulteriormente examinadas cuestiones teológicas tales como la importancia de la revelación, la relación entre la Antigua y Nueva Alianza, la relación entre la universalidad de la salvación en Jesucristo y la perennidad de la Alianza de Dios con Israel, y el mandato de la Iglesia de evangelizar en relación con el Judaísmo. Este documento presenta algunas reflexiones católicas sobre estas cuestiones, colocándolas en su contexto teológico, para que los miembros de ambas tradiciones religiosas puedan profundizar su significado. El texto no constituye un documento magisterial o una enseñanza doctrinal de la Iglesia Católica, sino sólo una reflexión, preparada por la Comisión para las Relaciones Religiosas con los Judíos, sobre temas teológicos actuales, desarrollados a partir del Concilio Vaticano II, que pretende ser un punto de partida para un ulterior pensamiento teológico, en vistas a enriquecer e intensificar la dimensión teológica del diálogo Judío-Católico''.

En el primer capítulo se recuerda que durante los últimos cincuenta años, ha habido grandes avances en el diálogo, por lo que, desde una coexistencia separada se ha llegado a una amistad profunda. La declaración conciliar "Nostra Aetate" (n. 4) ha definido claramente, por primera vez, la posición teológica de la Iglesia Católica hacia el judaísmo; el documento tuvo un fuerte impacto en varios niveles.

Por cuanto respecta al diálogo con el judaismo, en el segundo capítulo se afirma, que no puede compararse absolutamente al diálogo con otras religiones a causa de las raíces judías del cristianismo. Jesús sólo puede entenderse en el contexto judío de su tiempo, a pesar de que, como el Mesías de Israel e Hijo de Dios, trasciende el horizonte histórico.

Dios se revela en su Palabra, se comunica a la humanidad. Para los judios, esta palabra está presente en la Torá. Para los cristianos, la Palabra de Dios se encarnó en Jesucristo. Sin embargo, la Palabra de Dios es indivisible y requiere una respuesta por parte de los hombres que les permite vivirla en una relación correcta con Dios, dice el tercer apartado.

Entre el Antiguo y el Nuevo Testamento hay una unidad indisoluble, a pesar de que los dos Testamentos son interpretados de manera diferente por judios y cristianos sobre la base de sus diferentes tradiciones religiosas. Para los cristianos ? se lee en el cuarto capítulo- el Antiguo Testamento es entendido e interpretado a la luz del Nuevo Testamento. La Antigua y la Nueva Alianza forman parte de una sola y única historia de la alianza entre Dios y su pueblo, si bien la Nueva Alianza deba considerarse como el cumplimiento de las promesas de la Antigua.

El quinto capítulo subraya que a través de Jesucristo, con su muerte y su resurrección-, todas las personas toman parte en la salvación, todos son salvos. Aunque los judios no puedan creer en Jesucristo como redentor universal, tienen parte en la salvación porque los dones y la llamada de Dios son irrevocables. Cómo esto suceda sigue siendo un misterio insondable del plan salvífico de Dios.

Aunque los católicos en el diálogo con el judaísmo, dan testimonio de su fe en Jesucristo, se abstienen de cualquier intento de conversión activa o de misión hacia los judios. La Iglesia Católica no prevé ninguna misión institucional destinada a los Judios, afirma el sexto capítulo.

Por último, en el diálogo fraterno, judios y católicos deben aprender a conocerse mejor, a reconciliarse cada vez más, a participar juntos en la promoción de la justicia, la paz y la salvaguardia de la creación, a luchar eficazmente contra todas las formas de antisemitismo. Unos y otros deben intensificar su cooperación en el ámbito humanitario en favor de los pobres, los débiles, los marginados, para convertirse así, juntos, en una bendición para el mundo.

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/relations-jews-docs/rc_pc_chrstuni_doc_20151210_ebraismo-nostra-aetate_sp.html

3° Domingo de Adviento




10 dicembre 2015

25 rabbini ortodossi: “Il cristianesimo è un dono per le nazioni”


25 rabbini ortodossi: “Il cristianesimo è un dono per le nazioni”
Posted by Missionarietà on Quinta, 10 de dezembro de 2015

Migranti, "strage silenziosa in mare: 700 bambini morti nel 2015"

Mons. Perego (Migrantes) ricorda che "i morti sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1600 a oltre 3200. Continuano le morti di bambini, dimenticate: oltre 700 dall’inizio dell’anno”. E aggiunge: “L’Europa che trova risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti”

ROMA - “Continua una strage silenziosa nel Mediterraneo, con i morti che sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1600 a oltre 3200. Continuano le morti di bambini, dimenticate: oltre 700 dall’inizio dell’anno”, denuncia oggi il Direttore Generale della Fondazione Migrantes, Mons. Gian Carlo Perego.
“L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione europea Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum – continua Mons. Perego -: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo”. “L’accoglienza ai nostri porti, anziché in centri di accoglienza aperti sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20.000 persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa”.
Continua invece l’accoglienza dei richiedenti asilo e protezione internazionale che, dopo l’appello di Papa Francesco del 6 settembre scorso, è cresciuta nelle strutture ecclesiali, nelle parrocchie e nelle famiglie, conclude il direttore della Migrantes realizzando “un’accoglienza diffusa, costruita insieme, senza conflittualità. Un’accoglienza intelligente che aiuta anche a conoscere volti e storie di sofferenza e a costruire, in questo tempo di Avvento, percorsi e progetti di cooperazione internazionale. Ancora una volta la Chiesa costruisce un gesto concreto, che supera pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, che accompagna le persone, nella prospettiva di una ‘cultura dell’incontro’ che sola rigenera le nostre città”.

9 dicembre 2015

Torino: il volto sofferente dei profughi nella città


Per la pace...


Turkson: "Nessuno ha il diritto di abusare dell’ambiente"


“L’umanità è un’unica famiglia. In quanto fratelli e sorelle, abbiamo una sola casa comune e dobbiamo averne cura”.

Posted by Missionarietà on Quarta, 9 de dezembro de 2015

Auguri delle Isole Salomone


8 dicembre 2015

City of Hope (Lusaka - Zambia)


City of Hope (Lusaka - Zambia)
Posted by Missionarietà on Terça, 8 de dezembro de 2015

Cristiani e musulmani uniti da Maria



Una frase pacificante, balsamo sulle ferite aperte dell’umanità,...

Posted by Missionarietà on Terça, 8 de dezembro de 2015

Solennità dell'Immacolata Concezione di Maria


6 dicembre 2015

Benvenuti su MissioToscana.it


La REPAM en la COP21


La Pan-Amazonía y la Cuenca del Congo en la COP21


El encuentro entre la Red Eclesial Panamazónica (REPAM) y la naciente Red Eclesial de la Cuenca del Congo (REBAC), realizada en París, en el marco de la COP21, fue una oportunidad para estrechar lazos entre las prácticas realizadas en la defensa y preservación de estos dos grandes pulmones verdes del planeta tierra, como nos lo recordó el Papa Francisco, en su encíclica “Laudato Si”.
De hecho, con la deforestación realizada por los seres humanos -de modo especial por las grandes empresas, como forma de colocar todos los bienes naturales al servicio de sus objetivos de crecimiento económico sin fin-, quedan pocas áreas de bosques o selvas naturales. Y todo eso, influye en el aumento constante de la temperatura, en los desequilibrios hídricos y en los cambios climáticos.
Los pueblos de estas cuencas todavía vivas, no pueden dejarse engañar por las propuestas que pretenden talar todos los bosques que aún están de pié, con el argumento que servirá para su crecimiento económico. Menos aún pueden aceptar, nuevamente bajo el engaño de un falso crecimiento, que estos biomas sean destruidos por grandes proyectos de grandes empresas. Sería una locura, ya que agravaría los desequilibrios climáticos y tornaría muy difícil las condiciones para todos los seres vivos.
En ese contexto desafiante, la misión de la REPAM y la REBAC es estar al servicio de los pueblos de la Pan-Amazonía y de la Cuenca del Congo. Buscando, junto ellos, formas de convivencia con esta rica biodiversidad; desarrollando iniciativas económicas junto con los bosques y el agua, evitando la deforestación y la muerte de los ríos y lagos. Junto con eso, es parte de su misión también, denunciar a los grupos económicos y gobiernos que desean repetir en estos biomas, lo que ya hicieron en otras regiones para explotar la naturaleza hasta su muerte.
El mensaje y la mística cristiana, en diálogo y armonía con las espiritualidades de los pueblos originarios, pueden generar inspiración y fuerza para apostar por formas de cooperación entre las personas, comunidades y pueblos, en convivencia armoniosa con la Amazonía y la Cuenca del Congo.


4 dicembre 2015

Suor Annina VEMBENICKAL

Sr. Annina a Mornese, nel 2010.

Carissime sorelle, il giorno 3 dicembre 2015 nel “Camillian Hospital” di Bangkok (Thailandia), il Signore della vita ha chiamato alla gioia eterna la nostra carissima sorella Suor Annina VEMBENICKAL. Nata a Coondapoor (India) il 15 agosto 1944. Professa a Bangalore (India) il 5 agosto 1972. Appartenente all’Ispettoria Thailandese “S. Maria Mazzarello”.
Annina nacque in India (Kerala), settima di quattro sorelle e tre fratelli. All’età di sei anni perse il papà e fu educata dalla mamma alla Messa quotidiana e alla preghiera. Quando terminò la scuola secondaria desiderava farsi Suora, ma non era attirata da nessuna delle Congregazioni presenti nel suo villaggio.
Nel 1968, quando Annina aveva 23 anni, ebbe modo di avvicinare un Sacerdote Salesiano di Madras e gli espresse il suo desiderio. Egli la condusse a Vellore Katpadi. Il 6 gennaio 1969 la direttrice, suor Helen Fernandes, l’accompagnò a Madras Broadway in Aspirantato. Nello stesso anno il 7 ottobre entrò nel Postulato e il 5 agosto 1970 da Madras passò a Bangalore per il Noviziato. Il 5 agosto 1972 fece la prima Professione con altre 20 novizie. Dopo l’anno intensivo di Iuniorato a Vellore Katpadi, fu incaricata dei lavori comunitari e assistente d’oratorio nella stessa casa. Contemporaneamente frequentò un corso di Pronto Soccorso. Dal 1974 al 1977 fu a Madras Broadway addetta ai lavori comunitari e catechista. Di qui passò a Yercaud nella casa delle suore anziane dove lavorò fino al 1979. Ogni domenica, assieme a un sacerdote e alcune giovani oratoriane, andava al villaggio di Nagaloor per preparare i fedeli per la Messa, visitare le famiglie e insegnare il catechismo.
Nel 1978, durante gli Esercizi Spirituali in preparazione ai voti perpetui, l’ispettrice suor Helen Fernandes, seguendo un’ispirazione, le chiese se desiderava andare in missione. Suor Annina, che nel compimento dell’incarico affidatole dall’obbedienza sentiva già di svolgere un lavoro missionario, rispose che non ci pensava. L’ispettrice però le suggerì di presentare la domanda missionaria. Lei la scrisse e fu accettata.
Suor Annina partì per la Thailandia il 31 maggio 1980, per prendersi cura dei bambini cambogiani accolti nel campo profughi al confine tra Thailandia-Cambogia. Quando il Governo fece chiudere quel campo, suor Annina rimase in Thailandia.
Mentre studiava la lingua Thai, fu incaricata di assistere le sorelle anziane e ammalate nella casa di Ban Pong. Dal 1982 al 1984 la troviamo al Centro delle cieche di Sam Phran, poi per due anni fu a Phon Sung incaricata dei lavori comunitari e dedita alle visite alle famiglie del villaggio. Fino al 1989 a Ban Pong fu ancora infermiera delle sorelle anziane e ammalate. Passò poi a prendersi cura della cucina dei Salesiani della scuola Sarasit a Ban Pong. Nel 1991 viene trasferita a Hat Yai dove rimase per quattro anni incaricata dei lavori comunitari. Dal 1997 al 1999 la troviamo a Chayaporn/Bueng Kan con lo stesso incarico, e con un vasto campo missionario nella visita alle famiglie.
Dal 1999 al 2001 fu vicaria nel pensionato di Ubon Ratchathani. Ritornò al Centro per le cieche di Sam Phran fino al 2002 e di nuovo a Ubon Ratchathani ancora per due anni. Per un periodo di otto anni lavorò a Phon Sung, nel suo campo preferito, come incaricata dei lavori comunitari e zelante catechista in casa e nel villaggio. Dal 2014 faceva parte della comunità “Marie Upatham” di Sam Phran in riposo e in cura.
Nel 1999 le era stato riscontrato un cancro al seno e fu sottoposta ad un intervento e alla chemioterapia. Trascorsi circa tredici anni, il cancro che sembrava vinto si manifestò nell’intestino, per cui dovette subire un secondo intervento. Suor Annina si era tuttavia ripresa. Verso la fine di ottobre dovette nuovamente essere ricoverata per gravi disturbi all’apparato digerente. Benché avesse tanto desiderio di guarire, seppe uniformarsi pienamente alla volontà di Dio. Aveva una grande capacità di sopportazione del dolore e anche i medici e le infermiere si meravigliavano di questa sua forza d’animo.
Ciò che spiccava in suor Annina era la preghiera, lo zelo apostolico verso le persone di tutte le età e di tutti i ceti sociali. Non aveva esigenze per sé. Durante la malattia mantenne sempre uno spirito sereno.
Fino alle ultime ore, ancora lucida, ringraziava chi l’andava a visitare. Il Signore venne a prenderla all’alba del giorno 3 dicembre. Offriamo per lei la nostra riconoscente preghiera di suffragio.

L’Ispettrice
Suor Maria Anna Tovichian

TRONO E ALTARE, SPADA E CULTURA: UN INTRECCIO CHIAMATO ISLAM

Parla il missionario comboniano padre Giuseppe Scattolin, professore di mistica islamica all’Università Gregoriana, al Pisai (Pontificio istituto di studi arabi e di islamistica) di Roma, e all’Istituto di Studi Arabi e Islamici “Dar Comboni” del Cairo.

Padre Giuseppe Scattolin (primo a sinistra)
E' un raffinato analista. Ed un appassionato testimone. Padre Giuseppe Scattolin è un missionario comboniano. Ha lavorato in Libano, Sudan ed Egitto. Attualmente è professore di mistica islamica all’Università Gregoriana e al Pisai (Pontificio istituto di studi arabi e di islamistica) di Roma, e all’Istituto di Studi Arabi e Islamici “Dar Comboni” (Egitto, Cairo), dove lo incontriamo. Riconosciuto come uno dei massimi esperti di mistica islamica a livello internazionale, Scattolin ha pubblicato sull’argomento oltre 50 fra libri e articoli. «L’Islam è un insieme di quattro aspetti: religione, legge, civiltà e politica - spiega -, e nessuno va trascurato, se si vuole parlare di Islam reale. L’Islam è religione, significa che porta un’esperienza spirituale. Altrimenti non si spiegherebbero ben 14 secoli di vita, nonostante vicissitudini turbolente. Non solo l’Islam oggi è ancora vivo, ma è anche in espansione nelle nostre società moderne».

L’Islam è legge. «Non regola solo l’aspetto interiore della persona, ma anche quello sociale: il matrimonio innanzitutto, l’eredità, i rapporti umani di convivenza… La legge domina tutto nell’Islam e questo è un grosso problema, soprattutto nello scontro con la modernità. La nostra società è pluralista, si basa sull’uguaglianza di diritti e doveri. Noi riconosciamo che tutti gli uomini hanno diritti fondamentali, nonostante le differenze di sesso, di razze, di fedi… Invece la legge islamica distingue tra musulmano e non. E negli Stati islamici mi pare che i diritti umani siano pochissimo rispettati». L’Islam è civiltà. «I musulmani hanno dimostrato di essere aperti a culture differenti. Con gli Abbasidi (750-1258), Baghdad, in Iraq, è stata per cinque secoli uno dei centri culturali più importanti del mondo. Venivano tradotte in arabo le grandi opere greche di filosofia e scienze. Guardando al passato, i musulmani possono capire che dalle altre culture possono assimilare moltissime conoscenze, per poi integrarle nella visione islamica. Se invece l’Islam si isola, diventa pericoloso, diventa una civiltà chiusa, tribale, come accade a tutte le civiltà quando si isolano». 

L’Islam è politica. «Questa miscela tra politica e religione nell’Islam c’è stata fin dall’inizio, perché Muhammad è stato sia un profeta religioso che un capo politico, e ha imposto una visione religiosa della politica; i musulmani avevano la prevalenza, i non musulmani erano a margine. E poi non va dimenticato l’aspetto imperialista dell’Islam, che nella storia si è espanso anche con conquiste militari. Nelle lettere inviate agli imperatori di Bisanzio, della Persia, dell’Etiopia e al governatore dell’Egitto, ovvero ai leader delle quattro potenze che circondavano la Penisola araba, Muhammad scriveva: “Fatti musulmano e sarai salvo”. Nell’Islam c’è questa visione di un mondo diviso in due parti: il mondo islamico è quello della pace, il mondo non islamico è quello dell’incredulità, e va combattuto, perché può costituire un pericolo per il primo. I vari movimenti islamisti – da al-Qaeda all’Isis - vogliono tornare a quella tradizione del “sottomettiti e sarai salvo”, e lo fanno con la guerra». 
Qual è il vero significato di Jihad che si sente sempre tradurre con guerra santa? «In senso generale, jihad indica lo sforzo per far trionfare la causa di Dio. Per raggiungere questo obiettivo, ci sta dentro tutto: la guerra, ma anche la partecipazione di ciascuno alla vita sociale, così come gli insegnamenti del professore che afferma che l’Islam è la religione più  avanzata. Combattere gli infedeli con la spada è sempre stato chiamato jihad; e gli islamisti oggi usano la violenza. Jihad è stato usato anche per le guerre tra musulmani: gli Abbasidi hanno spodestato gli Omayyadi, considerati infedeli, e questo in favore della verità del mondo islamico. Poi c’è il jihad spirituale, quando uno applica questo sforzo per migliorare sé stesso».

I musulmani sostengono che l’Islam sia una religione di pace. «Ancora una volta io guardo alla storia. L’Islam la prima guerra l’ha fatta contro gli arabi della penisola arabica per riconquistarli, poi si è lanciato in guerre di conquista militare, riuscendo a sconfinare in Cina in Oriente, e in Francia in Occidente. Queste sono guerre di attacco, di conquista, non di difesa. La questione dell’imperialismo non è affare solo occidentale. Dire che l’Islam è pace, certo, idealmente ce lo auguriamo, però per arrivare alla pace, bisogna fare dei passi. Se io come cristiano sostenessi ancora la legittimità di guerre militari in difesa del cristianesimo, sarei molto equivoco se poi affermassi che il cristianesimo è una religione di pace. Uno dei gesti più grandi che ha fatto papa Giovanni Paolo II è aver confessato, a nome di tutta la Chiesa, la violenza del cristianesimo nella storia, e averla rigettata, affinché non avvenga più. Mi piacerebbe vederlo fare dai leader di molte altre religioni e ideologie. Se fossi un musulmano, mi farei delle domande. Anche l'Islam ha fatto una storia di guerre, è ora che gli islamici illuminati dicano che le guerre in nome di Dio non si devono più fare. Serve una riforma, una nuova ermeneutica del testo coranico». 

Quali sono le sfide che l’umanità ha di fronte?
 «La globalizzazione mercantilistica: il profitto domina tutto e per il profitto siamo disposti a fare di tutto; dallo sfruttamento della natura, a quello dell’essere umano, fino alla sua manipolazione. Sradicato dalle tradizioni che nel passato davano un certo indirizzo morale, oggi l’essere umano può compiere qualsiasi delitto, giustificandolo, grazie al relativismo imperante. Abbiamo bisogno di una riumanizzazione, perché stiamo perdendo l’umanità e questa è una perdita irrimediabile. La seconda sfida è quella dei tribalismi, esplosi per combattere questa cultura massificante che vuole imporsi a tutti. Questi tribalismi vogliono costituirsi come identità, e lo fanno in modo violento. Quando poi sopra si mettono delle giustificazioni religiose, quello che succede è sotto gli occhi di tutti».

Il dialogo tra religioni è possibile? «Occorre una rilettura di ciascuna religione per dividere l’essenziale dal secondario. La legge dell’amore di Gesù è fondamentale; i ritualismi sono secondari. Per l’Islam il primo attributo di Dio, ripetuto all’infinito dai fedeli, è il clemente e il misericordioso. La misericordia è il valore fondamentale, e questo è un punto comune. Amore, misericordia, giustizia e pace sono secondo me gli elementi fondamentali, senza i quali rischiamo di vivere una religione farisaica. Ma serve anche una purificazione della memoria storica, perché tutti hanno perpetrato violenze in nome di Dio, nessuno è innocente».

3 dicembre 2015

Papa Francesco e i missionari

PAPA FRANCESCO - UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 2 dicembre 2015

Vorrei dire una parola sui missionari. Uomini e donne che hanno lasciato la patria, tutto … Da giovani se ne sono andati là, conducendo una vita di tanto tanto lavoro, alle volte dormendo sulla terra. A un certo momento ho trovato a Bangui una suora, era italiana. Si vedeva che era anziana: “Quanti anni ha?”, ho chiesto. “81” – “Ma, non tanto, due più di me”. - Questa suora era là da quando aveva 23-24 anni: tutta la vita! E come lei, tante. Era con una bambina. E la bambina, in italiano, le diceva: “Nonna”. E la suora mi ha detto: “Ma io, proprio non sono di qua, del Paese vicino, del Congo; ma sono venuta in canoa, con questa bambina”. Così sono i missionari: coraggiosi. “E cosa fa lei, suora?” – “Ma, io sono infermiera e poi ho studiato un po’ qui e sono diventata ostetrica e ho fatto nascere 3.280 bambini”. Così mi ha detto. Tutta una vita per la vita, per la vita degli altri. E come questa suora, ce ne sono tante, tante: tante suore, tanti preti, tanti religiosi che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. E’ bello, vedere questo. E’ bello.
Io vorrei dire una parola ai giovani. Ma, ce ne sono pochi, perché la natalità è un lusso, sembra, in Europa: natalità zero, natalità 1%. Ma mi rivolgo ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita. Pensate a questa suora e a tante come lei, che hanno dato la vita e tante sono morte, là. La missionarietà, non è fare proselitismo: mi diceva questa suora che le donne mussulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene, e non fanno la catechesi per convertirle! Rendono testimonianza; poi a chi vuole fanno la catechesi. Ma la testimonianza: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa. Annunciare Gesù Cristo con la propria vita! Io mi rivolgo ai giovani: pensa a cosa vuoi fare tu della tua vita. È il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo: no. Quello lo fanno quanti cercano un’altra cosa. La fede si predica prima con la testimonianza e poi con la parola. Lentamente.

Lodiamo insieme il Signore per questo pellegrinaggio in terra d’Africa, e lasciamoci guidare dalle sue parole-chiave: “Siate saldi nella fede, non abbiate paura”; “Sarete miei testimoni”; “Passiamo all’altra riva”.

PAPA FRANCISCO AUDIÊNCIA GERAL Quarta-feira, 2 de Dezembro de 2015

Gostaria de dizer uma palavra sobre os missionários. Homens e mulheres que deixaram a pátria, tudo... Quando eram jovens, partiram para lá, levando uma vida de trabalho muito árduo, e às vezes até dormindo no chão. A uma certa altura, encontrei-me em Bangui com uma religiosa italiana. Via-se que era idosa: «Quantos anos tem?», perguntei-lhe: «81». «Mas não eram muitos, era dois mais mais velha do que eu». Aquela irmã estava lá desde quando tinha 23-24 anos: a vida inteira! E como ela, muitas! Estava com uma criança. Em italiano, a menina dizia: «Avó!». Então, a religiosa disse-me: «Eu não sou daqui, mas do país vizinho, do Congo; e vim de canoa, com esta menina». Os missionários são assim: intrépidos! «E o que a senhora faz, irmã?». «Eu sou enfermeira, também estudei um pouco aqui e tornei-me parteira: fiz nascer 3.280 crianças!». Eis quanto ela me disse. A vida inteira a favor da vida, da vida dos outros. E como esta religiosa, há muitas outras: numerosas irmãs, sacerdotes, religiosos que consomem a própria vida para anunciar Jesus Cristo. É bonito ver isto. É lindo!
Gostaria de dizer uma palavra aos jovens. Mas há poucos, porque parece que na Europa a natalidade é um luxo: natalidade zero, natalidade 1%. Mas dirijo-me aos jovens: pensai no que fazeis da vossa vida. Pensai naquela religiosa e em muitas outras como ela, que deram a vida e tantas morreram lá. A missionariedade não consiste em fazer proselitismo: aquela irmã dizia-me que as mulheres muçulmanas vão ter com elas porque as religiosas são boas enfermeiras que as curam bem, sem fazer catequese alguma para as converter! Dão testemunho; depois, às que quiserem fazem a catequese. Mas o testemunho: nisto consiste a missionariedade, grandiosa e heróica, da Igreja. Anunciar Jesus Cristo com a própria vida! Dirijo-me aos jovens: pensa tu o que queres fazer da tua vida. É o momento de pensar e de pedir ao Senhor que te faça sentir a sua vontade. Mas por favor, não excluas a possibilidade de te tornares missionário, para levar o amor, a humanidade e a fé a outros países. Não para fazer proselitismo: não! Quantos o fazem procuram algo diferente. A fé prega-se em primeiro lugar com o testemunho e depois com a palavra. Lentamente.

Juntos louvemos o Senhor por esta peregrinação à terra da África, e deixemo-nos orientar pelas suas palavras-chave: «Permanecei firmes na fé, não tenhais medo!»; «Sereis minhas testemunhas»; «Passemos à outra margem».

PAPE FRANÇOIS - AUDIENCE GÉNÉRALE - Mercredi 2 décembre 2015

Je voudrais dire un mot sur les missionnaires. Des hommes et des femmes qui ont quitté leur patrie, tout... Ils sont allés là-bas jeunes, en menant une vie marquée par beaucoup, beaucoup de travail, parfois en dormant par terre. À un moment, j’ai rencontré une sœur à Bangui, elle était italienne. Cela se voyait qu’elle était âgée : « Quel âge avez-vous ? », ai-je demandé. « 81 ans » — « Eh bien, pas tant que cela, vous avez deux ans de plus que moi ». — Cette sœur était là depuis qu’elle avait 23-24 ans : toute la vie ! Et beaucoup sont comme elle. Elle était avec une petite fille. Et la petite fille, en italien, lui disait : « Mamie ». Et la sœur m’a dit : « Mais moi, je ne suis pas précisément d’ici, je viens du pays voisin, du Congo ; mais je suis venue en canoë, avec cette petite fille ». Les missionnaires sont ainsi : courageux. « Et que faites-vous, ma sœur ? » — « Je suis infirmière et ensuite j’ai étudié un peu ici et je suis devenue obstétricienne et j’ai fait naître 3.280 enfants ». C’est ce qu’elle m’a dit. Toute une vie pour la vie, pour la vie des autres. Et il y en a beaucoup qui sont comme cette sœur, beaucoup : de nombreuses sœurs, de nombreux prêtres, de nombreux religieux qui consument leur vie pour annoncer Jésus Christ. C’est beau de voir cela. C’est beau.
Je voudrais dire un mot aux jeunes. Mais il y en a peu, car il semble qu’en Europe, la natalité soit un luxe : natalité zéro, natalité un pour cent. Mais je m’adresse aux jeunes: pensez à ce que vous faites de votre vie. Pensez à cette sœur et tant de personnes comme elle, qui ont donné leur vie et beaucoup sont mortes, là-bas. La missionnarité, ce n’est pas faire du prosélytisme: cette sœur me disait que les femmes musulmanes vont les voir car elles savent que les sœurs sont de bonnes infirmières, qui les soignent bien, et elles ne font pas de catéchèse pour les convertir ! Elles rendent témoignage ; puis elles font une catéchèse pour ceux qui le veulent. Mais le témoignage : telle est la grande missionnarité héroïque de l’Église. Annoncer Jésus Christ avec sa propre vie ! Je m’adresse aux jeunes : pense à ce que tu veux faire de ta vie. C’est le moment de penser et de demander au Seigneur qu’il te fasse ressentir sa volonté. Mais ne pas exclure, s’il vous plaît, cette possibilité de devenir missionnaire, pour apporter l’amour, l’humanité, la foi dans d’autres pays. Pas pour faire du prosélytisme: non. C’est ce que font ceux qui cherchent autre chose. La foi se prêche d’abord par le témoignage et ensuite par la parole. Lentement.
Louons ensemble le Seigneur pour ce pèlerinage en terre d’Afrique, et laissons-nous guider par ses paroles-clés : « Soyez fermes dans la foi, n’ayez pas peur » ; « Vous serez mes témoins » ; « Passons à l’autre rive ».