Intervista alla prof.ssa Ilaria Morali, consultore per il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
Pubblichiamo in
seguito la seconda parte dell’intervista alla professoressa Ilaria Morali,
Dottore in Teologia Dogmatica e Docente presso la Gregoriana dal 1994. La
prof.ssa è stata nominata da papa Francesco, a marzo 2014, consultore per il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
In questa parte dell’intervista, la teologa risponde
riguardo alle sfide poste dinanzi alla Chiesa, come istituzione, e ai cristiani
nel mondo quanto al tema del dialogo interreligioso.
***
Lei è stata nominata di recente dal Papa
consultare per il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Vorrei
usare il titolo di un documento del 1991 «Dialogo e annuncio» per chiederle:
come si supera l’apparente contrasto tra i due gesti del dialogare con le altre
religioni e dell’annuncio dell’unicità salvifica di Gesù Cristo?
Prof.ssa Ilaria Morali: Nella letteratura missiologica
esistono correnti che continuano a contrapporre missione e dialogo. In molti
casi si giunge a disintegrare la parola stessa ‘missione’, sostituendola con
terminologie molto ambigue e nozioni ‘liquide’ in cui manca qualsiasi
riferimento alla matrice evangelica e per contro si tende ad ‘ipostatizzare’ il
dialogo, che viene ad essere quasi un criterio ideologico.
Nella mia modesta esperienza di confronto con persone
appartenenti ad altre religioni, ho colto nei miei interlocutori soprattutto un
desiderio: conoscere chi è il cristiano e quale sia la sua fede. Nessuno si è
mai sentito offeso o oltraggiato quando con serenità parlavo della mia fede e della
mia certezza. E d’altra parte, si possono fare esperienze di grande
condivisione nel rispetto della diversità.
Ci può parlare di
qualche esperienza concreta?
Prof.ssa Ilaria Morali: Alcuni mesi fa ho partecipato ad un
incontro con i rappresentanti delle diverse tradizioni religiose presenti in
Irak. Mi creda: al di là delle oggettive differenze, delle tensioni, che pure
esistono, mi ha colpito un fatto: la sofferenza trasversale che colpisce senza
esclusione di colpi tanto musulmani quanto cristiani. Un partecipante
all’incontro, che si teneva presso il Pont. Consiglio, mi diceva in una pausa
dei lavori: dopo un attentato, gli ospedali si riempiono di feriti, mutilati
gravi, donne uomini e bambini…le bombe non distinguono le fedi, ma colpiscono
chiunque.
Molti sono i valori che si possono condividere e queste
situazioni così dolorose lo dimostrano. Ciò non toglie che sussistano le
differenze e che io creda, nel profondo del cuore, che Cristo è venuto a
fasciare i cuori e a portare la sua parola di salvezza e di consolazione.
Se entrassi in dialogo rinunciando alla certezza che Cristo
è la risposta ad ogni uomo, non sarebbe un vero dialogo, né vi entrerei da
cristiano, né penso che il mio interlocutore sarebbe soddisfatto di trovarsi
davanti un cristiano a ‘targhe alterne’, in certi giorni sì ed in altri un po’
meno. Occorre quindi distinguere il metodo del dialogo, la pedagogia che lo
caratterizza, dai contenuti. Al metodo ed alla pedagogia va ricondotta
l’esigenza di creare le condizioni necessarie per un dialogo, quali il
rispetto, la moderazione, l’equilibrio, la conoscenza, ai contenuti
appartengono le certezze. Si dialoga per conoscere le rispettive certezze, per
confrontarle, per capire meglio e di più.
Come vede – o meglio
– come si vede quale donna consultore per il Pont. Consiglio per il
Dialogo interreligioso?
Prof.ssa Ilaria Morali: Rispetto alla recente nomina, che ho
accolto con stupore e riconoscenza, posso dirle che come donna avverto una
responsabilità specifica: una volta ad un incontro interreligioso feci notare
ai presenti, tutti rappresentanti delle alte gerarchie, delle diverse
tradizioni religiose, che i leaders religiosi sono tutti uomini e che
i conflitti tra le religioni sono molte volte conflitti generati da uomini e
dicevo loro anche che è un grande peccato che alle donne non sia dato modo di
parlare, perché molte cose si risolverebbero in modo diverso se fosse data alle
donne la parola e la possibilità di operare per le proprie comunità di
appartenenza.
A queste mie parole, colsi un disagio trasversale in tutti
gli uomini presenti, a prescindere dalla tradizione e fede di appartenenza.
Ammutolirono. In compenso vidi la collega musulmana che sedeva di fronte a me
mandarmi un abbraccio con un sorriso straordinario ed il segno del pollice per
dirmi la sua approvazione.
Le donne costituiscono, nelle comunità di cui queste persone
sono leaders, una maggioranza. Da loro dipende l’educazione al dialogo dei
giovani, nelle famiglie, nelle scuole, negli ospedali…il dialogo interreligioso,
nel tessuto della vita, è dialogo costruito e promosso grazie alle donne.
Negli incontri cui ho finora partecipato presso il Pont.
Consiglio, ho notato che le donne sanno e possono dire ciò che spesso gli
uomini, leaders, non dicono, anche in forza di una competenza teologica.
Abbiamo il senso del momento, la percezione dell’opportunità che si schiude ed
il coraggio di sfruttarla. Come donne non amiamo i compromessi, ma conosciamo
le strade dell’incontro. Sono perciò grata ed insieme consapevole della
responsabilità connessa al compito che questa nomina comporta.
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