di Francesco Montenegro
Si celebra
un’altra Giornata mondiale del rifugiato, mentre continua sotto i nostri occhi
la sofferenza di chi scappa dai conflitti, di chi è respinto da paesi europei
sempre più chiusi e litigiosi. «Sogno un’Europa giovane, capace di essere
ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre
speranze di vita (…). Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo
impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia». Queste le chiare
parole di papa Francesco proprio ai vertici dell’Unione europea, ricevuti in
udienza il mese scorso. Parole che si aggiungono all’appello che aveva già
fatto insieme ai patriarchi ortodossi, in occasione della sua visita a Lesbo,
ennesima tappa di un cammino iniziato a Lampedusa tre anni fa.
Muri preventivi
Ma,
al di là degli applausi, quali effetti avranno sulle istituzioni e i governi
dell’Unione? Si apriranno canali umanitari, per fare arrivare in sicurezza le
persone che sono costrette ad abbandonare il proprio paese? Si amplieranno nel
contempo le vie ordinarie di arrivo, dando più opportunità alle persone per
integrarsi nelle nostre società?
Anche
io, con una delegazione Caritas, andrò in Grecia l’8 luglio, a tre anni dalla
visita di papa Francesco a Lampedusa: per dire no a un’Europa che arriva a
costruire “muri preventivi”, e dire sì a un’Europa diversa, dove i valori di
solidarietà e giustizia sociale siano al centro della cultura e della politica.
Per cercare di dare concretezza al sogno del Papa, di «un’Europa che promuove e
tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti». Che
trasmette i valori, e sa dare priorità ai volti e alle persone.
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