Presentando la giornata di
preghiera e digiuno per i missionari e le missionarie uccisi durante il loro
servizio di evangelizzazione, non possiamo ignorare il dibattito sempre aperto
attorno a questo evento: martiri o no? Già di san Massimiliano Kolbe,
missionario in Giappone, ucciso dai nazisti nel campo di Auschwitz, ce lo si
chiedeva. Secondo Giovanni Paolo II fu ucciso a causa della fede e quindi fu
martire. La provocazione, da lasciare agli esperti, suggerisce a noi di
rileggere la proposta della giornata alla luce dell’anno della fede. Chi
si incammina per la via della fede cristiana non può ignorare che la parola di
Gesù, che propone amore, condivisione e pace, si scontra comunque con i poteri
dominanti e la mentalità prevalente. I primi secoli del cristianesimo furono
soprattutto tempi di martirio per masse di credenti i cui nomi ignoriamo.
Ricordare i missionari uccisi – insieme all’enorme numero di quanti per
la fede hanno subito e subiscono persecuzione fino alla morte – è anche
affermare che non c’è credere senza “dare la vita” come Gesù. L’anno della fede
ci ripete che essa è autentica se si mostra all’esterno e si spende per gli altri,
anche se c’è un prezzo da pagare.
Don Gianni Cesena,
direttore nazionale Missio
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