29 agosto 2011

"Il mio canto per i profughi". Sul palco artisti italiani e dal Maghreb: “la musica è accoglienza”


Ancona - Cantare il dramma dei profughi che attraversano il mare è una sfida coraggiosa. Significa tradurre in musica la tragedia e la speranza, la paura e l’accoglienza. La raccoglie Eugenio Bennato con Le carrette del mare nuovo progetto che debutta sabato prossimo ad Ancona nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo. Con il fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare e del Taranta Power, con cui ha rilanciato la tradizionale musica salentina, saliranno sul palco musicisti dal mondo arabo, dalla Calabria, dalla Campania.

Quello delle 'carrette del mare' è da settimane un tema di cronaca. Lo spettacolo nasce a ridosso di questi fatti?
No, viene da lontano. Lo spunto deriva da Ninna Nanna 2002, in cui cantavo il viaggio di un bambino attraverso il mare sui barconi della speranza. Ed è nel dna di Taranta Power, movimento che fondai con la lucida premonizione dell’esplosione della musica etnica del Sud e che già molti anni fa estesi alle energie delle altre sponde del Mediterraneo. È un tema, quindi, che ho a cuore da anni, e che ho deciso di trasformare in concerto prima degli ultimi eventi. Il fatto che sia di tragica attualità è dimostrazione della lungimiranza del progetto.

Che ruolo può avere la musica in questa situazione?
La musica, più che denunciare, sa ammorbidire i linguaggi e abbattere le distanze. La nostra è una terra che sa accogliere con il canto. Ad Ancona ci saranno artisti dalla Tunisia, dall’Algeria, dal Marocco. Voci che da anni ho voluto per ragioni estetiche nella mia musica. Il loro modo di intonare una frase musicale, infatti, è molto più simile a quello della nostra autentica tradizione delle voci rieducate dalla musica pop anglosassone.

Come sarà strutturato lo spettacolo?
Ruoterà attorno al mio concerto, costruito sulla riscoperta della musica popolare. È un filo conduttore che dà spazio in modo naturale a ospiti internazionali che avranno piena libertà di azione, con brani solistici e momenti di assieme. Sarà un concerto a più voci.

Ci saranno momenti 'politici'?
Certamente Mohammed El Alaoui porterà una testimonianza diretta della Primavera araba. Ero con lui a Casablanca il 20 febbraio quando migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere riforme. Per il Marocco è diventata una data storica. In quell’occasione ho scritto un brano, Addio Sud, uno dei tanti inediti che canterò sabato: una ballata che racconta un fatto nuovo, quello di una terra che impara a muoversi sulle sue gambe, a prendere in mano il proprio destino, senza odi o fondamentalismi religiosi.

Oggi la taranta è diventato un vero fenomeno di costume. Lei, che è stato un pioniere del genere, come lo giudica?
Il revival della taranta è in grande salute. Lo si vede dalla richiesta sempre crescente. La gente si è accorta che una festa diventa davvero tale solo se usiamo in nostri strumenti. Mentre parlo sono in Calabria e qui non c’è festa di paese senza tarantella. È una moda? La preferisco di gran lunga a quella dei balli latino americani da villaggio vacanze.

Sta dicendo che quello che era nato come un recupero etnomusicologico è riuscito a fare il salto e a tornare popolare a tutti gli effetti?
Sì. E le dirò di più: sta diventando fenomeno di consumo. Lo dico in senso positivo. Lo indica il fatto che gli artisti della musica pop sentano sempre più il bisogno di contaminarsi, di riscattarsi con queste sonorità. È un grande segnale.

Qual è la sfida della taranta oggi?
Perde se la questione diventa protezionismo culturale. E tutto si rinchiude su se stesso se non intervengono gli artisti. Che sarebbe stato del flamenco se non avesse trovato nel suo percorso grandi artisti e grandi poeti, da Lorca a De Lucia, innovatori che hanno assunto su di sé la tradizione per proiettarla nel presente. La taranta deve battere il ritmo sulle istanze del presente: immigrazione, globalizzazione, l’abbandono del vittimismo del sud. Argomenti che vanno raccontati con quell’energia. (A. Feltrami – Avvenire)

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