Una testimonianza silenziosa, fatta di opere e non di parole, è quella delle
tre consorelle autorizzate a vivere nel nord del Laos. Lavorano nell’istituto
governativo di Luang Prabang, che ospita per la maggior parte giovani portatori
di handicap o appartenenti a minoranze etniche ai quali dona un futuro
insegnando loro professioni come il cuoco o il pasticcere. Nella parte
settentrionale del Laos, in seguito alla presa di potere dei comunisti nel
1975, sebbene la Costituzione del Paese preveda la libertà religiosa, di fatto
è proibita ogni forma di proselitismo e, sia il vicario apostolico di Luang
Prabang, mons. Tito Banchong Thopanhong, il solo sacerdote cui è permesso
vivere in quel territorio, vittima in passato di soprusi e torture, sia le
suore, devono attenersi scrupolosamente a questa regola. La situazione, inoltre
– riporta AsiaNews - è addirittura peggiorata dopo il 2011, in seguito alla
violenta repressione della sommossa avviata da alcuni gruppi appartenenti alla
minoranza Hmong. “La vita cristiana è molto difficile perché non possiamo
parlare apertamente della nostra fede – ha raccontato suor Marie-Bruno, che
pochi giorni fa ha partecipato a Parigi al convegno “La notte dei testimoni”
organizzato da Aiuto alla Chiesa che Soffre – e tutte le manifestazioni
esteriori della fede sono bandite: luoghi di culto, croci, immagini, libri
sacri, ma anche parole e gesti possono essere interpretati come proselitismo”.
La religiosa, appartenente alle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida
Thouret, proviene da una famiglia laotiana di tradizione buddista e animista,
ma si convertì molto giovane al cattolicesimo. Quella delle suore nel nord del
Laos, è dunque una presenza muta tra i bambini cui non possono impartire
un’educazione religiosa, anche se il centro in cui prestano quotidianamente la
loro opera è gestito in collaborazione tra le autorità locali e il delegato
apostolico per il Laos, mons. Salvatore Pennacchio. (R.B.)
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