30 novembre 2013

Barbados e Scozia

Com Barbados festeggiamo l’Inidipendenza (1966). La chiesa cattolica nell’isola caraibica è presente con 10.443 cattolici (4,2%) su 250.010 abitanti.
Con la Scozia celebriamo la Festa di Sant’Andrea. La chiesa cattolica è presente con 2 arcidiocesi e 6 diocesi suffraganee, e conta circa 690.000 fedeli.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

28 novembre 2013

Albania e Mauritania

Con l’Albania festeggiamo l’Indipendenza (1912). La chiesa cattolica è presente con 500.000 cattolici su 3 milioni di abitanti.
Con la Mauritania festeggiamo l’Indipendenza (1960). I cattolici sono 4.500 su 3.138.000 abitanti.
Celebriamo l’Indipendenza anche con Timor Leste (1975), dove i cattolici sono 767.209, pari al 93,10% della popolazione.

(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

25 novembre 2013

Suriname

Con il Suriname festeggiamo l’Indipendenza (1975). La chiesa cattolica nell’ex Guyana Olandese è presente con 10.664 cattolici (23,0%) su 481.146 abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

22 novembre 2013

AMERICA/VENEZUELA - Annunciare il Vangelo in un mondo multiculturale: si avvicina l’apertura del CAM 4

Maracaibo – Come annunciare il Vangelo e testimoniarlo oggi, in un mondo che cambia, un mondo multiculturale e secolarizzato? A questa domanda sono chiamati a rispondere gli oltre 4.000 partecipanti al IV Congresso Missionario Americano (CAM 4) e IX Congresso Missionario Latinoamericano (COMLA 9), che si apre a Maracaibo (Venezuela), il 26 novembre e si concluderà il 1° dicembre. Molti gruppi e delegazioni di missionari e di operatori pastorali di tutto il continente sono già in viaggio. 
"Dobbiamo prepararci a vivere in uno stato permanente di missione, lasciare le preoccupazioni immediate e alzare lo sguardo oltre le frontiere, vivere pienamente la nostra chiamata alla missione, dobbiamo essere profeti per la missione in questo mondo che cambia” afferma all’Agenzia Fides padre Andrea Bignotti, IMC, Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Venezuela, nella nota che accompagna il programma dei lavori.
Il CAM 4 inizierà il pomeriggio di martedì 26 novembre, con la solenne apertura presieduta dall’Inviato speciale del Santo Padre, il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, presso la Basilica de Nostra Signora di Chinquinquirà.
Il giorno 27, la prima conferenza: "L'annuncio di Gesù Cristo nel mondo di oggi, un mondo multiculturale e secolarizzato" a cura del teologo argentino Lucas Cerviño, esperto nel campo interculturale e nel dialogo religione-cultura, docente all'Istituto Latinoamericano di Missionología dell'Universidad Católica Boliviana (UCB). La seconda conferenza sarà tenuta da Sua Ecc. Mons. Silvio Baéz, Ausiliare di Managua, Segretario generale della Conferenza Episcopale del Nicaragua, sul tema "La Parola di Dio, fonte di significato per il mondo attuale". Nel pomeriggio ci saranno i forum tematici, ad uno di questi interverrà P. Vito del Prete, Segretario generale della Pontificia Unione Missionaria, sul tema "La Missione evangelizzatrice in Asia" (Le grandi religioni, le masse dei poveri).
Il 28 novembre, la terza Conferenza su "L'urgenza della missione nel contesto della Nuova Evangelizzazione e della Missione Ad Gentes" sarà proposta da P. Raul Biord Castillo, salesiano, Vicario provinciale dei Salesiani in Venezuela. Quindi la quarta Conferenza: "Verso una Chiesa americana in stato permanente di missione" sarà tenuta dalla Dottoressa Consuelo Vélez (Colombia), Teologa e Docente della Pontificia Universidad Javeriana, e da fratel Israel Neri (Brasile).
Il 29 novembre sarà dedicato alle testimonianze e allo scambio di esperienze, quindi verranno stilate le Conclusioni e ci si preparerà alla celebrazione finale. Sabato 30 si celebrerà la Giornata Missionaria in ogni parrocchia della città, con la presenza dei partecipanti al CAM 4. Nel tardo pomeriggio la chiusura solenne nella Basilica de Nostra Signora di Chinquinquirà con l'invio missionario.


Links: 
Il sito del CAM4



Fonte: www.fides.org 

Libano

Con il Libano celebriamo l’Indipendenza (1943). Nel paese dei cedri la chiesa cattolica è presente con 1,5 milioni di fedeli su 4 milioni di abitanti. In Libano coesistono da secoli comunità musulmane e cristiane. La convivenza fu sancita da un patto nel 1943, che creò una democrazia basta sulle comunità confessionali. Un’ esperienza che non ha tenuto a lungo.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

19 novembre 2013

Oman e Monaco

Con l’Oman festeggiamo il Compleanno del Sultano. La chiesa cattolicica è presente con 55.000 cattolici su 3 milioni di abitanti. Il cattolicesimo è tollerato dal governo. Il sultano ha fatto edificare le chiese a proprie spese e regalato un organo alla chiesa di Mascate.
Con Monaco celebriamo la Festa nazionale. Quella cattolica è la religione di stato del Principato. L’archidiocesi monegasca comprende sei parrocchie e alle sue cure pastorali sono affidati alcuni Comuni limitrofi francesi.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

18 novembre 2013

AMERICA/VENEZUELA - A una settimana dell’evento missionario continentale è on line il sito del CAM 4

Maracaibo– A pochi giorni all'inizio del maggiore evento missionario continentale, è completamente attivo il sito internet del IV Congresso Missionario Americano (CAM 4) e IX Congresso Missionario Latinoamericano (COMLA 9), che si terrà a Maracaibo (Venezuela), dal 26 novembre al 1° dicembre 2013.
La nota inviata all’Agenzia Fides dalle Pontificie Opere Missionarie (POM) del Venezuela spiega che una prima sezione del sito illustra la storia dei CAM e dei COMLA, un'altra presenta l'attuale Congresso e introduce il tema "Discepoli Missionari di Gesù Cristo, dall'America in un mondo secolarizzato e multiculturale", con lo slogan "America Missionaria, condividi la tua Fede". Nel sito inoltre sono riportate le notizie sulla preparazione all’evento nei diversi paesi americani, come anche la nomina dell’Inviato speciale di Papa Francesco al Cam 4, il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.
“La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria” scrive il Papa, citando il documento conciliare Ad Gentes, nella sua lettera al Card. Filoni pubblicata sul sito. Quindi prosegue: “Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l'influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell'obbedienza, del servizio”.

Links: 



Fonte: www.fides.org

Lettonia

Con la Lettonia celebriamo l’Indipendenza (1918). La chiesa cattolica è presente con 4 diocesi e con 400.000 cattolici su 2 milioni di abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

14 novembre 2013

Prima Spedizione Missionaria - 14 novembre 1877

Don Bosco annuncia la prima partenza delle missionarie per l’America

L’8 settembre - festa di Maria SS.ma e primo sabato - viene comunicata alla comunità la decisione di don Bosco per una prima partenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’America: loro méta sarà l’Uruguay.
Alla bella notizia un inno di gioia si innalza da ogni cuore: tutte sono riconoscenti alla Madonna per la scelta che ha voluto fare di così povere figlie da lanciare attraverso l’oceano, a redenzione di tante anime assetate di luce, di bene, di vita eterna.
Tanta gioia é però offuscata da un’altra notizia: anche don Costamagna é stato scelto per le missioni d’America! Scrive in proposito egli stesso: «Il signor teologo Cagliero, ottenuta la prima spedizione di suore missionarie, ottenne pure di sloggiare il merlo da Mornese, perché accompagni le suore a Montevideo. Così finisce la dolorosa storia: Isacco s’incammina al monte Moria»!
Se ogni suora vorrebbe essere nel numero delle missionarie, con molta ragione vorrebbe essere nel gruppo guidato dal direttore; ma la madre ripete il tratto di lettera che esprime chiaramente il pensiero di don Bosco: «Quelle che desiderano consacrarsi alle missioni straniere, per cooperare con i salesiani alla salvezza delle anime e particolarmente delle  fanciulle, facciano la loro domanda per iscritto: poi si sceglierà!».
E’ una gara generale per questa domanda e ciascuna si esprime nei termini più convincenti, sperando di essere tra le prescelte.
Col ritorno di don Costamagna a Mornese dopo il Capitolo generale, s’intensifica in casa lo studio dello spagnolo; qualcuna si dà pure al francese, perché é ormai prossima la fondazione di Saint Cyr, in Francia; e si lavora a preparare il necessario per le partenti.

Le prime missionarie

Il giorno 27 settembre si comunica finalmente il nome delle prescelte per l’America: suor Angela Vallese di Lu, direttrice del fortunato drappello; suor Giovanna Borgna, nativa di Buenos Aires, suor Angela Cassulo di Castelletto d’Orba, suor Angela Denegri di Mornese, suor Teresa Gedda di Pecco (Torino), suor Teresina Mazzarello detta Baroni.
Le prescelte si interessano subito per ottenere dalle famiglie il relativo permesso, essendo desiderio di don Bosco che i genitori partecipino con piena e cristiana adesione al nuovo e più grande sacrificio dei figli e al loro merito.

A Roma, dal Papa

Alle […] missionarie [il Papa Pio IX] lascia come ricordo di essere come le grandi conche delle fontane, che ricevono l’acqua e la riversano a pro di tutti: conche cioé di virtù e di sapere, a vantaggio dei loro simili.


Cronistoria vol. 2


«Del Primer Anuncio al Discipulado Misionero en América y el Caribe»

Carissime Sorelle,
L’Ambito sta vivendo un mese molto impegnativo che ci darà tanta ricchezza da condividere con voi, care sorelle, per suscitare più speranza e gioia nelle nostre realtà di frontiera missionaria in tutto il mondo.
Oltre la visita di animazione missionaria realizzata in Messico (MMO) per la chiusura del 50° di presenza missionaria in quella realtà, e la partecipazione a San Paolo, Brasile, al XI Incontro Nazionale delle Comunità Inserite in Ambienti Popolari (ENCIS), ci stiamo avviando verso le Giornate di Studio, dal tema: «Del Primer Anuncio al Discipulado Misionero en América y el Caribe», che si realizzeranno a Los Teques (Caracas – Venezuela), dal 20 al 25 novembre 2013.
Come sapete queste giornate sono organizzate dall’Ambito delle Missioni FMA e dal Dicastero delle Missioni SDB. Con questo incontro in America e Caraibi concluderemo gli incontri sul Primo Annuncio di Gesù nei 5 Continenti. Dopo ogni incontro si pubblicano gli Atti che poi vengono inviati alle Ispettorie coinvolte.
Dal 26 novembre al 1°dicembre si realizzerà a Maracaibo-Venezuela il 4° Congresso Missionario Americano (CAM 4) e il 9° Congresso Missionario Latino Americano (COMLA 9), dal tema: «Discípulos misioneros de Jesuscristo, desde América, en un mundo secularizado y pluricultural» – «América Misionera comparte tu fe». A questo grande avvenimento della Chiesa in America parteciperanno molte FMA di tutta l’America, e dell’Ambito saranno presenti la Consulente Sr. Maike Loes e Sr. Maria Ko, Consulente esterna dell’Ambito.
Care Sorelle, ci avviciniamo all’Avvento, tempo di attesa e di conversione, di verifica personale del nostro essere e del nostro fare per meglio preparare le vie del Signore. Per l’Ambito Missione ad/inter gentes, nelle diverse realtà ispettoriali, è una eccellente opportunità per aiutare i nostri fratelli e sorelle ad aprire il cuore a Cristo Gesù, che vuole stabilire per sempre la sua dimora nel cuore dell’umanità.
Seguendo la parola di Papa Francesco, siamo invitate ad annunciare Gesù nelle «periferie esistenziali, qualsiasi esse siano. Gesù ci dice: andate per tutto il mondo. Gesù è dentro di noi e bussa per uscire e noi non lo lasciamo uscire… Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo».
Il Papa sottolinea che il mondo oggi ha bisogno di misericordia. «La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore, che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene».
Vogliamo impegnarci in questo Avvento a vivere la misericordia, la tenerezza del Signore, «che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene». Il Signore Gesù e Maria Ausiliatrice ci accompagnino in questo cammino perché possiamo annunciare con la vita la Buona Notizia.
In comunione e nella preghiera reciproca,
un fraterno abbraccio.

Sr. Alaíde Deretti
Consigliera per la Missione ad/inter gentes

12 novembre 2013

La Chiesa cattolica, da 50 anni in dialogo con le altre religioni

In un volume presentato questa mattina in Vaticano, una raccolta di brani conciliari, di encicliche, esortazioni apostoliche, e discorsi dei pontefici, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI. Ricordato quanto disse papa Francesco all'inizio del pontificato: "La Chiesa cattolica è consapevole dell'importanza che ha la promozione dell'amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose".

Città del Vaticano - "La Chiesa cattolica è consapevole dell'importanza che ha la promozione dell'amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose": la frase che papa Francesco rivolse all'inizio del suo pontificato ai rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali e di altre religioni conferma l'importanza che, soprattutto dopo il Vaticano II, la Chiesa cattolica dà al dialogo con i credenti di altre fedi, peraltro evidenziato dal fatto che lo stesso Francesco ha voluto firmare personalmente, a inizio agosto, il messaggio annuale di auguri alla comunità musulmana per la festa della fine del Ramadan.
E' un "dialogo dell'amicizia" portato avanti nel corso degli ultimi sei pontificati, da Giovanni XXIII ad oggi, documenti e testi del quale sono raccolti nel volume "Il Dialogo Interreligioso nell'insegnamento ufficiale (1963-2013)", presentato questa mattina in Vaticano. In 2.100 pagine si ha una raccolta di brani conciliari, di encicliche, esortazioni apostoliche, e discorsi dei pontefici, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI. Vi sono poi alcuni documenti di Dicasteri della Curia Romana, riguardanti il dialogo interreligioso. In totale, si tratta di 909 documenti, di cui 7 testi conciliari, 2 di Giovanni XXIII, 97 di Paolo VI, 2 di Giovanni Paolo I, 591 di Giovanni Paolo II, 188 di Benedetto XVI, 15 della Curia Romana, 3 testi legislativi, e 4 della Commissione Teologica Internazionale.
Giunto alla sua terza edizione, il volume, come ha evidenziato il card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso contiene anche i 188 interventi dedicati da Benedetto XVI in sette anni di pontificato al dialogo interreligioso. Inoltre, "come i suoi predecessori, Benedetto XVI ha affermato che la libertà religiosa è un diritto sacro e inalienabile, e non ha perso occasione per sostenerla. Convinto che negare o limitare in maniera arbitraria la libertà religiosa significhi coltivare una visione riduttiva della persona umana e rendere impossibile l'affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana (Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace, 1° Gennaio 2011, n.1.4.), Benedetto XVI ha individuato nel processo di globalizzazione mondiale, tuttora in corso, un'occasione propizia per promuovere relazioni di universale fraternità tra gli uomini".
Una sintesi "telegrafica" dei contenuti del volume è stata poi data da padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, M.C.C.J., segretario del Pontificio consiglio. "Si può cominciare da Giovanni XXIII, che nel Discorso di apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962) invitò a promuovere l'unità basata sulla stima e il rispetto che coloro che seguono le diverse forme di religione non ancora cristiane nutrono verso la Chiesa cattolica, e non solo l'unità nella famiglia cristiana e umana, l'unità dei cattolici, l'unità con i cristiani non ancora in piena comunione (Gaudet Mater Ecclesia, § 8.2). Anche nell'Enciclica Pacem in Terris (11 aprile 1963), Giovanni XXIII metteva in guardia: «Non si dovrà confondere l'errore con l'errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale o religioso. L'errante è sempre e anzitutto un essere umano e conserva, perciò, la sua dignità di persona; va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità» (n. 83)".
"Paolo VI, nell' Ecclesiam Suam (6 agosto 1964), espresse la profonda convinzione che «la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere; la Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67)".
"Giovanni Paolo I, pur nella brevità dei suoi 33 giorni di pontificato, si è incamminato sulla strada tracciata dal suo Predecessore, «chiamando tutti alla collaborazione per fare argine, all'interno delle nazioni, alla violenza cieca e, nella vita internazionale, promuovere l'elevazione dei popoli meno favoriti»".
"Giovanni Paolo II sviluppò la "cultura del dialogo". Sarebbe impossibile elencare qui tutti gli incontri che hanno costellato il suo pontificato. Mi piace ricordare quando, nel 1986, ad Assisi incontrò i seguaci di tutte le religioni del mondo per una Giornata di Preghiera. O quando, nel 2002, dopo i drammatici avvenimenti di New York e Washington dell'11 settembre 2001 e le loro tragiche conseguenze nel Medio e Vicino Oriente, propose un Decalogo per la pace ai Capi di Stato e ai Rappresentanti dei Governi di tutto il mondo".
"Nel 50° dell'apertura del Concilio, Benedetto XVI ha ribadito che, per trovare l'autentico spirito del Vaticano II, si deve ritornare alla sua "lettera", cioè ai suoi testi. Ad illustrare l'apertura della Chiesa vi sono, soprattutto, le due Dichiarazioni: Nostra Aetate (28 ottobre 1965) e Dignitatis Humanae (6 dicembre 1965). Nella prima, ormai considerata "la Magna Charta del dialogo", vi è il riconoscimento del bene presente in tutte le tradizioni religiose. La seconda insiste sulla libertà, propria di ogni uomo, di seguire la propria coscienza in ambito religioso. In cinquant'anni sono stati compiuti passi significativi verso le tappe indicate dal Concilio Vaticano II e dagli ultimi cinque papi, passi documentati in questo volume".


LECTIO DIVINA, DOMINGO XXXIII - Lc 21, 5 – 19

P. Juan José Bartolomé, sdb

Escuchar este evangelio nos puede parecer extraño. Pocas veces resultan las palabras de Jesús tan ajenas a cuanto nos ocupa a diario; las sentimos alejadas de nuestras preocupaciones normales. ¿A quién de nosotros le interesa la destrucción del templo de Jerusalén, un acontecimiento que ocurrió hace más de dos mil años? ¿O quién hoy cuenta con un fin del mundo inminente?
También es verdad que no faltan voces que anuncian próximas catástrofes, que ven las actuales dificultades como un mal presagio. Siempre hay alguien que piensa que no estamos bien, que estaremos peor. Pero semejantes predicciones no nos convencen: tan habituados estamos a que mañana sea como ayer, tan convencidos de que ya lo hemos visto todo; por eso no esperamos algo nuevo. En resumen, ni tememos algo peor, pues ya vivimos suficientemente mal; ni deseamos lo mejor, pues hemos aprendido a contentarnos con que no nos vaya mal del todo. Y es que para no inquietarnos, hemos dejado de esperar. No era así en tiempos de Jesús, ni en los inicios de la iglesia: ellos, Jesús y los primeros cristianos, vivían convencidos de que el fin del mundo estaba por venir y temían el día del juicio universal. Eran ya fieles, pero esperaban, y temían, ser confirmados como tales.

SEGUIMIENTO:

Como algunos hablaban del Templo, de cómo estaba adornado de bellas piedras y ofrendas votivas, él dijo:
«De esto que ven, llegarán días en que no quedará piedra sobre piedra que no sea derruida.»
Le preguntaron: «Maestro, ¿cuándo sucederá eso? Y ¿cuál será la señal de que todas estas cosas están para ocurrir?»
Él dijo: «Miren, no se dejen engañar. Porque vendrán muchos usurpando mi nombre y diciendo: `Yo soy' y `el tiempo está cerca'. No les sigan.
Cuando oigan hablar de guerras y revoluciones, no se aterren; porque es necesario que sucedan primero estas cosas, pero el fin no es inmediato.»
Entonces les dijo: «Se levantará nación contra nación y reino contra reino.
Habrá grandes terremotos, peste y hambre en diversos lugares, habrá cosas espantosas y grandes señales del cielo.
«Pero, antes de todo esto, echarán mano de ustedes y les perseguirán, les entregarán a las sinagogas y cárceles y les llevarán ante reyes y gobernadores por mi nombre; esto os sucederá para que deis testimonio.
Proponed, pues, en vuestro corazón no preparar la defensa, porque yo les daré una elocuencia y una sabiduría a la que no podrán resistir ni contradecir todos sus adversarios.
Serán entregados por padres, hermanos, parientes y amigos, y matarán a algunos de ustedes.
Todos los odiarán por causa de mi nombre. Pero no perecerá ni un cabello de su cabeza.
Con su perseverancia salvarán sus almas.

LEER: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice
Una ingenua observación de los discípulos, mientras recorrían el Tempo (Lc 21,5), ocasiona un duro e inesperado discurso de Jesús (Lc 21,36). Era más que lógico que unos galileos, recién llegados a Jerusalén, se quedaran sin palabras ante la monumentalidad del Templo, y eso que aún estaba en construcción… Cuando lo cuenta Lucas, la caída de Jerusalén y la ruina del Templo, ya han ocurrido. Para sus lectores las palabras de Jesús tienen la fuerza de los hechos, son parte de su experiencia.
Jesús tiene un modo diverso de 'mirar' las cosas: no se fija en la apariencia de este mundo, por impresionante que se nos antoje, sino en si tiene porvenir (Lc 21,6); contempla la realidad desde Dios. La reacción de los oyentes es explicable; se preocupan por el «cuando» y el «cómo»; quieren conocer cuándo sucederá, qué señales les advertirán de que está por ocurrir (Lc 21,7). Sin darles respuesta, Jesús les adelanta tres circunstancias:
Primero, dice, al 'último día' precederán pretendidos mesías y falsos profetas que agitarán a los creyentes anunciando guerras y revoluciones, hechos que no serán el final, sino su precedente (Lc 21,8-9).
Segunda: La situación se hará, espantosa: el mal reinará en la tierra, donde los discípulos serán perseguidos "por su causa", no por ser malos sino por serle fieles; será el tiempo del testimonio extremo, durante el cual Cristo será su 'abogado' (Lc 21,10-15).
Tercera: Por último, la división y el desamor triunfarán, al parecer, sobre los probados creyentes; incluso sus más allegados, los seres más queridos, los odiarán, los traicionarán y matarán. Entonces, solo entonces, habrá llegado el tiempo definitivo, la perseverancia, a la que anima Jesús comprometiéndose a que no perderán, no ya la vida, sino un solo cabello de sus cabezas. Hasta en lo más nimio serán cuidados por Dios ese 'día' (Lc 21,16-19).
El evangelio de hoy no debe aterrizarnos, aunque tengamos que tomarlo en serio: por más mal que estemos, por peores males que suframos o temamos, Dios cuida de nosotros hasta de lo superfluo e insignificante; todo lo que somos o tenemos le interesa y todo será salvado..., si le somos fieles, incluso cuando nos traicionen nuestros seres más queridos.

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a nuestra vida

Probablemente Jesús se encuentra en los atrios del templo, considerado el sitio señalado para los dones votivos. Lucas no especifica quiénes son los oyentes, es dirigido a todos, universaliza el discurso escatológico. Este puede referirse al final de los tiempos, pero también al final de cada persona, del propio tiempo de vida. En común está el encuentro definitivo con el Señor resucitado.
Jesús introduce un lenguaje de desgracias (17,22; 19,43) y vuelve a repetir las admoniciones de los profetas con respecto al templo (Micheas 3,12: Jer 7,1-15; 26,1-19). Es también una consideración sobre la caducidad de toda realización humana, por más maravillosa que sea. La comunidad lucana ya conocía la destrucción de Jerusalén (año 70). Su templo era el edificio más imponente y magnífico de toda la ciudad; orgullosos por tener a Dios entre ellos, no habían parado de embellecerlo durante siglos. Jesús estaba seguro de su ruina futura. Como así sucedió.
Consideremos nuestra conducta ante las cosas que perecen con el tiempo. Los oyentes de Jesús estaban interesados ante los sucesos que caracterizaban esos acontecimientos. ¿Cuál es nuestra actitud ante el final, ante la destrucción? ¿Qué pensamos? ¿Cómo esperamos el futuro?
Jesús no responde a esta específica pregunta. El “cuándo” no lo coloca Lucas en relación con la destrucción de Jerusalén; subraya que “el fin no es inmediato” (versículo 9) y que “ antes de todo esto...” (v. 12) deberán acontecer otras cosas.
Nos interroga sobre la relación entre los acontecimientos históricos y el cumplimiento de la historia de la salvación. Los tiempos del hombre y los tiempos de Dios. Él dijo: Miren, no se dejen engañar. Porque vendrán muchos usurpando mi nombre. El tema de la VIDA ETERNA, es un tema fundamental para los cristianos,
La comunidad de los primeros cristianos está superando la fase de un regreso próximo del Señor y se prepara al tiempo intermedio de la Iglesia. Jesús recomienda no dejarse engañar o mejor, no ser seducidos por impostores. Hay dos tipos de falsos profetas: los que pretenden venir en nombre de Jesús diciendo “soy yo” o los que afirman que el
tiempo ha llegado, que ya se conoce la fecha (10,11; 19,11). También los acontecimientos bélicos, y la acciones terroristas, no son principio del fin.
¿Dónde está la Buena Noticia en este discurso escatológico? No nos dejemos arrastrar por las convulsiones exteriores, sino vayamos al interior del texto que nos preanuncia y prepara para el encuentro con el Señor.
Todo esto sucede, pero no es la señal del final (Dn 3,28). Lucas quiere prevenir la ilusión del final inminente de los tiempos con la consiguiente desilusión y abandono de la
fe. Entonces les dijo: “Se levantará nación contra nación y reino contra reino,
¿Qué sentimientos me embargan: angustia, espanto, seguridad, confianza, esperanza, duda...?
El cristiano está llamado a conformarse con Cristo. Me han perseguido a mí, también os perseguirán a vosotros. Lucas tiene presente la escena de Pablo delante del rey Agripa y del gobernador Festo (Act. 25,13-26,32).
¿Puedo hacer una conexión entre estos hechos y los sucesos históricos que estamos viviendo?
Llega el momento de la prueba. No necesariamente bajo forma de persecución. Santa Teresa del Niño Jesús ha sufrido por 18 meses, desde el descubrimiento de su enfermedad, la ausencia de Dios. Un tiempo de purificación que prepara al encuentro. Es la condición normal del cristiano, la de vivir en una sana tensión, que no es frustración. Los cristianos están llamados a dar testimonio de la esperanza de la que están animados.
¿Amamos lo que esperamos y nos conformamos a sus exigencias?
Llega también el momento de poner la confianza total en Dios, sólo Dios basta. Es aquella misma sabiduría con la que Esteban refutaba a sus adversarios (Act 6,10). El creyente Dios le da la capacidad de resistir a la persecución. Es muy importante acrecentar la confianza en que Dios nos protege en los momentos de prueba. Está garantizada también al creyente la custodia de su integridad física.
¿Cómo reacciono en las pruebas y qué tanto confío en Dios?
¿Qué lugar tiene Jesús hoy en la historia?
La victoria final es cierta: el Reino de Dios será instaurado por el Hijo del hombre. Es necesario ahora ser perseverantes, vigilantes y estar en oración (v.36 y 12,35-38). La manera de vivir de nosotros, los cristianos, debe ser signo del futuro que vendrá para quienes nos traten, nos vean, nos escuchen.

III: ORAMOS nuestra vida desde este texto

Dios bueno, nuestro mundo rechaza a Jesús, y a su evangelio; no quiere compromisos contigo, ni siente la necesidad de ser salvado. Pareciera que no espera un porvenir; ni que le interese empeñarse en la construcción de tu Reino, reino de amor, de paz y de justicia.
Haznos comprender que no te tenemos en un lugar, sino que Tú nos tienes, que Tú estás con nosotros y nos propones hacer de este mundo, el nuestro, familia, comunidad cristiana, lugar de trabajo o estudio, y todos nuestro espacios, ‘templos vivos’. Que no nos espante que viene a menos todo lo que se opone a tu Plan de Salvación. Sabemos que no quieres inquietarnos con un final horrendo y que no vas a destruir el mundo, en el que estás presente. Que entendamos que la constancia es el medio para alcanzar la salvación. No queremos perderte para siempre, sino vivir en tu amistad y en armonía con quienes nos rodean, para empezar a gozar ya el cielo que nos tienes preparado. ¡Amén!

11 novembre 2013

Mons. Montenegro: a Bruxelles è difficile prendere insieme decisioni

Agrigento - “La voce dei poveri a Lampedusa è duplice: c’è la voce degli immigrati, ma anche quella degli isolani, che si trovano schiacciati da queste presenze, ma non sono aiutati ad aiutare”. Per questa ragione, spiega in un’intervista al Sir l’arcivescovo della diocesi di Agrigento e Presidente della Fondazione Migrantes, monsignor Francesco Montenegro, “sono venuto nelle sedi comunitarie di Bruxelles a raccontare cosa succede sull’isola e nelle terre che accolgono i migranti”. Mons. Montenegro è stato tre giorni a Bruxelles dove ha incontrato i rappresentanti delle principali istituzioni europee. A seguito dell’incontro i commissari europei e con il presidente del Consiglio Ue, Van Rompuy, riferisce l’arcivescovo, “hanno affermato di essere stati profondamente toccati dalle ultime vicende e che hanno incominciato a riflettere maggiormente sul problema”. Però è apparsa chiara la “difficoltà di prendere insieme delle decisioni. Sono state assunte delle iniziative, come Frontex e l’avvio della task force europea nel Mediterraneo. Ma dobbiamo sperare che non si tratti solo di strumenti per ostruire il passaggio dei migranti”. Se si pensa di fermare l’emigrazione con qualche legge più severa “credo che sarà un fallimento”, e ai cattolici come cittadini europei monsignor Montenegro dice che “noi tutti abbiamo il dovere di mettere in moto la coscienza, dobbiamo sostenere persone che sappiano guardare lontano, andando al di là degli interessi personali e dei nazionalismi. Bisogna spostare tutta l’attenzione sull’uomo”.

http://www.migrantesonline.it/

Himno Oficial CAM 4 Comla 9

Angola e Polonia

Con l’Angola celebriamo l’Indipendenza (1975). I cattolici sono circa 8.600.000 su una popolazione di 16 milioni: il 53,7%.
Celebriamo l’Indipendenza anche con la Polonia (1918). La chiesa cattolica vi è presente con 36 milioni di fedeli su una popolazione di 38 milioni.

(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

8 novembre 2013

Perù: esclusione e discriminazione per le donne indigene di tutto il mondo

Povertà, ignoranza, indifferenza, sono parole spesso associate ai gruppi indigeni sparsi per il mondo, i più colpiti dalle discriminazioni per opportunità, redditi e accesso ai servizi basilari. Il fenomeno si aggrava quando si tratta di donne. L’argomento è stato ampiamente affrontato nel corso della Conferenza Mondiale delle Donne Indigene, appena concluso a Lima, dove le leader di varie etnie, provenienti da diversi Paesi del mondo, hanno lanciato il loro appello ai governi e alla società in generale per porre fine alla discriminazione e alla violenza che subiscono sia dentro che fuori dai loro territori. Le 200 rappresentanti hanno chiesto ai governi una maggiore presenza nell’agenda sociale. Nonostante le differenze etniche, linguistiche e culturali, hanno condiviso in piena sintonia storie e esperienze simili di esclusione e discriminazione, ma anche di lotta e di resistenza. Secondo la Commissione Economica per America Latina e Caraibi (Cepal), solamente in America Latina ci sono più 23 milioni di donne indigene che affrontano profonde disuguaglianze sociali, etniche e di genere. In Africa e in Asia sono il triplo. Nel 2004, il Foro Permanente per le Popolazioni Indigene ha riconosciuto che le donne originarie sono tra i gruppi più emarginati e subiscono discriminazioni non solo per questioni di genere, ma anche di etnia, cultura e classe sociale. L’Onu, dal canto suo, segnala che la violenza contro le indigene ha forme diverse, tra stupri, prostituzione forzata, violenza nei conflitti armati, schiavitù sessuale, mutilazione genitale, più altre pratiche e tradizioni nocive. La violenza sessuale è la più diffusa. In Perù, ad esempio, circa il 37,6% delle donne indigene hanno subito violenza fisica o sessuale da parte dei congiunti. Inoltre, secondo il Fondo dell’ONU per la Popolazione, milioni di queste donne e bambine, la maggior parte in Africa, Medio Oriente e Asia, sono state sottoposte alla mutilazione genitale. Secondo le Nazioni Unite, in tutto il mondo ci sono circa 370 milioni di indigene, e rappresentano il 5% della popolazione mondiale e il 15% dei poveri del pianeta. (R.P.)


7 novembre 2013

Campaña pretende disminuir violencia contra mujeres indígenas rarámuris

Investigaciones recientes indican que el 21,6 por ciento de las mujeres indígenas Rarámuri del Estado de Chihuahua, al norte de México, admitió haber sido víctimas de la violencia. Según datos del Instituto de la Mujer Chihuahua (Ichmujer) y la Comisión Nacional para el Desarrollo de los Pueblos Indígenas (CDI), 33.5% de las indígenas expresan que necesitan apoyo para prevenir la violencia masculina contra las mujeres, 8.9 por ciento, para prevenir la violencia de las mujeres hacia los hombres y 16,9 por ciento, para prevenir la violencia contra las mujeres y los niños. Datos complementarios, que se presentaron espontáneamente en las respuestas de las indígenas.
Para combatir esta situación, el Ichmujer y la CDI están promoviendo talleres de multiplicación, donde las víctimas de la violencia que participaron en los talleres, reproducen con otras mujeres, lo que han aprendido en sus comunidades. Con la presencia de mujeres y hombres indígenas Basigorovo y San Elías, el taller titulado "Por qué hombres y mujeres son como son”, fue recorriendo las escuelas y organizaciones comunitarias. Los facilitadoras de talleres del Instituto de la Mujer de Chihuahua, han sido entrenadas desde 2006 para crear conciencia sobre la violencia doméstica entre los pueblos indígenas, son supervisadas por el Departamento de Educación y Sensibilización sobre cuestiones de Género del Ichmujer, apoyado por el Fondo de la Comisión Nacional para el Desarrollo de los Pueblos Indígenas, con acciones que van a la raíz del problema para que puedan ser realmente transformadora.
Las mujeres rarámuris se dieron a conocer en 2012, debido a un episodio de esclavitud moderna, porque con motivo a la sequía en la región Chihuahua emigraron para trabajar como jornaleras, trabajando hasta 13:00 horas al día bajo el sol. Fueron miles de mujeres afectadas por la sequía – en su mayoría indígenas – procedentes de la Sierra Tarahumara, en el noroeste de Chihuahua y los Estados de Hidalgo, Sonora, Guerrero, Veracruz y Durango, abandonando sus comunidades de origen para trabajar en condiciones de explotación en los campos agrícolas del noroeste de Chihuahua.

Traducción: ricazuga@yahoo.com


6 novembre 2013

AMERICA/MESSICO - Evento storico: un Vescovo al Congresso di Coahuila apre un dialogo per i diritti dei migranti

Coahuila – “All'estero siamo diventati un paese che si distingue perché qui uccidiamo i migranti” ha denunciato il Vescovo della diocesi di Saltillo (Coahuila, Messico), Sua Ecc. Mons. José Raúl Vera López, O.P., parlando il 5 novembre, nella sede del Congresso di Coahuila, sede della massima autorità dello stato, e poi ha aggiunto che per quanto accade nel paese, "il Messico è bocciato in materia di diritti umani”.
La nota pervenuta all’Agenzia Fides sottolinea che si tratta di un “evento storico” in quanto Mons. Vera Lopez è il primo Vescovo della Chiesa cattolica a parlare nella sede del potere legislativo di Coahuila, dove ha tenuto la conferenza intitolata "I diritti umani dei migranti", davanti a più di 500 persone. Mons. Vera Lopez dal 2010 porta avanti in modo energico la difesa dei diritti dei migranti nel mondo, e proprio per questo motivo è andato a parlare nelle sedi dei più importanti organismi internazionali.
Nella sua relazione Mons. Vera Lopez ha denunciato che "la polizia ha consegnato nelle mani della criminalità organizzata i migranti; i treni si fermano per fare in modo che le guardie riescano a riscuotere dai migranti un migliaio di dollari e chi non paga viene gettato fuori dal treno". Il Vescovo di Saltillo ha poi affermato che ogni persona "senza documenti" paga da 3.000 a 5.000 dollari ai trafficanti per attraversare il confine ed arrivare negli Stati Uniti in cerca di lavoro. Ha sottolineato inoltre la complicità delle autorità in alcuni casi, come il crimine di San Fernando, Tamaulipas (vedi Fides 27/08/2010 e 1/08/2010), dove tre anni fa ci fu una strage di migranti, per lo più centroamericani, proprio dove passavano i convogli dell'esercito: "Come non accorgersene ?" ha domandato il Vescovo. Infine ha invitato tutti ad unirsi alla difesa degli immigrati privi di documenti, attraverso la campagna "Visa Transmigrante, por una migracion sin violencia".
Il secondo relatore della Conferenza, lo specialista di migrazioni Rodolfo García Zamora, dell'Università Autonoma di Zacatecas (UAZ), ha dichiarato che hanno lasciato il paese 11 milioni di messicani a causa dell’incapacità del modello economico e dell'assenza di una politica di sviluppo sociale.
Più di un rappresentante politico e sociale ha espresso il proprio riconoscimento alla Chiesa cattolica e alle autorità di Coahuila perché questo evento apre di fatto un dialogo pubblico fra la Chiesa e il potere politico su un problema molto grave della società messicana.


3 novembre 2013

Dominica e Panama

Con la Dominica festeggiamo l’Indipendenza (1978). I cattolici sono 42.174 (61,4%) su 68.635 abitanti.
Con Panama celebriamo l’Indipendenza (1903). La chiesa cattolica è presente con 1,8 milioni di fedeli su 2 milioni di abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

1 novembre 2013

Algeria, Antigua e Barbuda

Con l’Algeria festeggiamo il Giorno della Rivoluzione. La chiesa cattolica è presente con 5.042 fedeli su 34 milioni di abitanti.
Celebriamo l’Indipendenza con Antigua e Barbuda (1981), dove i cattolici sono circa 10.000 su un totale di 80.000 abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

Papua: il dramma dei rifugiati, "cittadini di serie B" dimenticati dal mondo

di Giorgio Licini*

Il Campo Iowara ospita i rifugiati dalla West Papua, scappati dal conflitto indonesiano negli anni '90. Dopo quasi 30 anni non hanno cittadinanza o libertà di movimento, e chi si dovrebbe curare di loro sembra averli abbandonati. Sul campo oramai "solo la Chiesa, che cerca di mantenere i servizi educativi e sanitari". Il racconto di un sacerdote verbita, da decenni impegnato per migliorare la situazione.

Port Moresby - Il p. Franco Zocca SVD si è occupato negli ultimi 25 anni della crisi dei rifugiati dalla West Papua. Qualche tempo fa ha viaggiato nella Provincia occidentale della Papua Nuova Guinea per valutare la situazione del Campo profughi Iowara, che si trova ai margini del confine con l'Indonesia.

Qual è la situazione attuale del confine?
Ci sono diverse comunità di rifugiati disperse per tutta l'estensione del confine. E poi c'è ancora il Campo Iowara nella Provincia occidentale. È stato creato nel 1987 dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Il suo scopo era quello di "riposizionare" i rifugiati della West Papua, circa 12mila persone che avevano attraversato il confine tra la Papua e la provincia indonesiana di Irian Jaya (come era conosciuta allora) per evitare scontri con l'esercito di Jakarta. L'offerta di "riposizionamento" è stata accettata solo da circa un terzo di quelle persone. Il resto ha scelto di rimanere nei pressi del confine o di essere rimpatriato. Il campo si può raggiungere da Kiunga, Provincia occidentale, con circa mezz'ora di viaggio in battello sul Fly River e poi qualche ora di macchina su una strada - circa 40 chilometri - davvero malmessa.

Ha appena visitato Iowara...
Sì, sono tornato lì dopo 19 anni su invito di mons. Gilles Coté, della diocesi cattolica di Daru-Kiunga. Nel 1994 vivevano nel campo 3.636 persone, ma nell'ottobre del 2013 ne ho contate solo 2.190. Come si spiega questo calo, dato che negli ultimi 19 anni ci sono stati centinaia di nuovi arrivi e nel Campo c'è un alto tasso di natalità? Ci sono varie ragioni. Da una parte c'è il fatto che nel 1997 e nel 2003 il governo papuano ha offerto ai residenti del Campo la residenza permanente (ma non la cittadinanza), con il risultato che molti lo hanno lasciato e si sono stabiliti da qualche parte in Papua Nuova Guinea. Molti se ne sono andati perché hanno diverse capacità e sono riusciti a trovare lavoro, oppure perché volevano riunirsi ai parenti qui o in West Papua. Più di 500 rifugiati si sono stabiliti a Kiunga. Quelli rimasti a Iowara sono per lo più contadini che vivono di sussistenza.

I bambini ricevono un'istruzione?
Dato che molte persone sono andate via, 4 dei 16 villaggi creati nel 1994 sono oggi del tutto abbandonati. Il numero di studenti tra elementari, medie e liceo è calato dai 1.023 del 1994 ai 694 attuali. In passato a scuola si usava la lingua indonesiana. Ma nel 1997 le scuole del Campo sono state registrate in maniera ufficiale dal Dipartimento nazionale per l'istruzione della Papua Nuova Guinea, e nelle classi oggi si insegna usando l'inglese. Decine di studenti di Iowara stanno seguendo classi professionali o secondarie a Kiunga. La diocesi cattolica di Daru-Kiunga, attraverso le sue agenzie, continua a essere responsabile per l'istruzione e i servizi sanitari del Campo. Oltre al Centro sanitario - che si è espanso aggiungendo un reparto maternità, un consultorio, un centro per i test su Hiv e Aids e una clinica per la tubercolosi - sono stati costruiti altri quattro nuovi centri di aiuto. Insieme al Jesuit Refugee Service, la diocesi ha creato un ufficio retto dalle Sorelle della Misericordia australiane, che fornisce assistenza ai rifugiati e scolarizzazione per gli studenti più adulti.

Com'è la vita di queste persone, lontane dai loro luoghi di origine?
I residenti di Iowara sembrano molto più a loro agio oggi rispetto a 19 anni fa. Le tensioni e i conflitti con i proprietari originari delle terre sono per lo più spariti, dopo che il governo ha fornito a questa gente più di 6mila ettari di terreno. Le tensioni si sono ridotte ancora con la partenza dei militanti rifugiati, ossessionati dall'indipendenza della Papua occidentale. Tuttavia, alcune volte nuove tensioni si scatenano fra i rifugiati di diverse etnie tribali. Il Dipartimento governativo per il governo provinciale e locale e per gli affari di confine ha gestito Iowara dal 1987 con un amministratore e diversi assistenti. I rifugiati sono poi sotto l'autorità del Comitato centrale Iowara, un corpo eletto stabilito dall'Onu i cui membri sono scelti fra i rifugiati e i proprietari terrieri locali che vivono nel Campo. Sfortunatamente, come anche io avevo notato già nel 1994, il Comitato centrale non lavora in maniera corretta. C'è sfiducia fra i membri, i fondi vengono usati in maniera inappropriata e ci sono tensioni etniche.

Quindi qual è l'impegno attuale dell'Onu, del governo e della Chiesa a Iowara?
Le Nazioni Unite non hanno mantenuto un impegno continuo con i papuani occidentali in Papua Nuova Guinea. Dal 1987 al 1996 hanno avuto un ufficio e un rappresentante a Port Moresby. L'ufficio è stato chiuso nel 1996 e riaperto 11 anni dopo, solo per essere chiuso di nuovo nel 2013. Le Nazioni Unite vogliono che il governo nazionale e quello provinciale della Papua Nuova Guinea prendano in pieno carico il Campo. In questo contesto è stato firmato nel gennaio 2013 un accordo formale sul "servizio continuo di consegna e sostegno di settore per i rifugiati di Iowara-East Awin dopo il disimpegno dell'Onu". I firmatari erano il Segretario del Dipartimento provinciale e locale, l'amministrazione provinciale del governo del Fly River, il vescovo di Daru-Kiunga, il presidente del Comitato centrale del campo e il rappresentante uscente dell'ufficio dell'Onu. I rifugiati che ho intervistato erano abbastanza scettici sul nuovo accordo. Hanno visto i macchinari pesanti per il mantenimento delle strade - inviati da diverse agenzie - rimanere inutilizzati e lasciati arrugginire per mancanza di carburante e operai; non vedono interesse, da parte delle amministrazioni locali, per il loro sviluppo; e dubitano che il denaro loro assegnato sarà mai usato in maniera corretta. Al momento le loro speranze sono riposte in una compagnia energetica, che progetta di estrarre petrolio e gas dalla zona fornendo così strade migliori e lavoro per i giovani. La Chiesa cattolica è virtualmente lasciata sola ad amministrare quanto meno sanità e istruzione a Iowara.
 
Dal suo punto di vista, cosa dovrebbe fare il governo della Papua Nuova Guinea?
Oggi, dopo 20 o 30 anni in questo Paese, ai rifugiati dovrebbe essere concessa la cittadinanza. Senza questo riconoscimento possono vivere nel Paese ma non possono viaggiare. Qualche tempo fa tre candidate che volevano entrare nelle Figlie della Saggezza non sono potute andare nelle Filippine per il loro anno di noviziato e quindi non sono potute entrare nella congregazione. Questo costituisce una seria violazione ai diritti umani, alla libertà religiosa e alla libertà di movimento. Migliaia di bambini della West Papua, nati in Papua Nuova Guinea, hanno un certificato di nascita, crescono nello stesso modo e ricevono la stessa istruzione dei bambini papuani, ma non sono cittadini. Non potranno votare alle elezioni o viaggiare. Ma sono fratelli e sorelle melanesiani molto più dei rifugiati asiatici nell'isola di Manus, per i quali l'Australia e la Papua Nuova Guinea stanno investendo così tanto.

* missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere in Papua Nuova Guinea