31 agosto 2013

Settimana di preghiera per la pace in Siria promossa da “Aiuto alla Chiesa che Soffre”

Una Settimana di preghiera per la pace in Siria si è aperta ieri e durerà fino al 6 settembre, nei 17 Paesi in cui è presente l’opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (Acs). Come spiega una nota inviata a Fides dall’ufficio francese di Acs, la settimana era programmata in ottobre, ma gli avvenimenti di questi giorni hanno consigliato di anticiparla: “Non possiamo aspettare. Il tempo di pregare per la pace per il popolo siriano è ora. I nostri fratelli in Siria ne hanno bisogno, più che mai”, spiega la nota. La campagna, che prevede un specifica intenzione giornaliera, si unisce all’incessante orazione per la pace e per scongiurare un intervento militare di paesi occidentali, che va avanti in tutte le comunità cristiane in Siria. La preghiera diffusa da Acs, e destinata ai fedeli in tutto il mondo, invoca da Dio “un futuro di pace per la Siria, fondato sulla giustizia per tutti” e recita: “Dio di misericordia, ascolta il grido del popolo siriano, conforta coloro che soffrono a causa della violenza, consola quanti piangono i loro morti, converti i cuori di coloro che hanno preso le armi, proteggi quanti sono impegnati per la pace. Dio della speranza, ispira i leader a scegliere la pace invece della violenza e a cercare la riconciliazione con i loro nemici”.


Kirghizistan - Malaysia - Trinidade e Tobago

Con il Kirghizistan festeggiamo l’Indipendenza (1991). La chiesa cattolica è ivi presente con un’amministrazione apostolica affidata ai gesuiti. I cattolici sono 500 su 4 milioni di abitanti.
Celebriamo l’Indipendenza con la Malaysia (1957). La chiesa cattolica vi è presente con 1 milione di cattolici, ovvero il 4% dei 24 milioni di abitanti.
Anche con Trinidade e Tobago facciamo la Festa dell’Indipendenza (1962). I cattolici sono 383.000, pari al 26% di 1 milione e 227.000 abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

30 agosto 2013

Soccorsi due barconi con 350 migranti. Bimba nasce a bordo

SIRACUSA (28 agosto 2013) - Si chiama Nadha la bimba figlia di una coppia di profughi siriani venuta alla luce quattro giorni fa su una vecchia “carretta” del mare, giunta mercoledì al porto di Siracusa insieme a centinaia di altri migranti soccorsi nel Canale di Sicilia dalle unità italiane. «L'abbiamo trovata ancora con un tratto del cordone ombelicale attaccato - ha detto il comandante della Guardia costiera di Siracusa, Luca Sancilio -. La bimba, che sta bene così come la madre: sarebbe nata durante la traversata. Se così fosse sarebbe l'ennesima dimostrazione di come la vita trionfi sempre: si può venire alla luce anche in condizioni difficili e critiche». Il neonato è stato portato con la madre nel pronto soccorso dell'ospedale "Umberto I". Il neonato e la mamma stanno bene, ma i medici hanno disposto per entrambi ulteriori accertamenti. 
Un piccolo segnale di speranza, dunque, tra tanta sofferenza. Il barcone su cui viaggiavano i 191 profughi, tutti provenienti dalla Siria, è arrivato nel porto di Siracusa nella mattinata di oggi dopo essere stato soccorso dalla nave “Foscari” della Marina Militare. A bordo dell'imbarcazione ci sono circa 50 donne e altrettanti bambini.
Una volta completata l'operazione, le motovedette sono intervenute in soccorso di altri 150 migranti, alla deriva a bordo di un altro barcone nelle stesse acque. Il natante, che non era più in condizione di navigare, era stato notato da un motopesca che incrociava a circa 15 miglia dalla costa di Avola, nel Siracusano. L'equipaggio del motopesca non si è limitato a dare l'allarme ma anche prestato la prima assistenza ai migranti. Inizialmente sembrava che sul barcone si trovassero non più di una sessantina di migranti, ma quando il motopesca si è avvicinato da sotto coperta sono usciti gli altri migranti. Non è ancora stato possibile accertare le nazionalità dei migranti.
«Sono arrivati in maggioranza siriani negli ultimi giorni», ha spiegato Luca Sancilio, comandante della Capitaneria di porto di Siracusa. «Visto quello che sta accadendo in Siria proprio ora, ci aspettiamo altri arrivi». Secondo i dati forniti dal ministero dell'Interno circa 9mila migranti sono arrivati in Italia via mare tra il 1° luglio e il 10 agosto. Complessivamente, negli ultimi 12 mesi sono arrivate 24mila persone, contro le oltre 17mila dell'anno precedente e le quasi 25mila di due anni prima. «I rifugiati stessi ci dicono che l'Italia è un punto di passaggio, e la maggior parte cerca di trovare lavoro a nord delle Alpi», ha spiegato Sancilio.


Turks e Caicos

Con Turks e Caicos celebriamo la Festa della Costituzione (1976). Nella missione sui iuris di questo arcipelago caraibico la chiesa cattolica è presente con 2 parrocchie, 5 sacerdoti e 10.500 cattolici, che rappresentano il 28,4% dei 37.000 abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

Acto en recuerdo de Raimon Panikkar a los tres años de su muerte. Filósofo del diálogo interreligioso e intercultural

Un ciclo de charlas con la participación de 16 intelectuales conmemorará entre septiembre de este año y abril de 2014 el tercer aniversario de la muerte del filósofo, teólogo y escritor Raimon Panikkar, fallecido el 26 de agosto de 2010 en su casa de Tavertet (Barcelona).
El ciclo estará organizado por la Fundación Vivarium Raimon Panikkar, la Institució de les Lletres Catalanes y Fragmenta Editorial, y contarán con la colaboración del Instituto de Humanidades de Barcelona y Casa Ásia.
Los "Diálogos panikkarianos" incluirán ocho sesiones, una por cada libro publicado de la 'Ópera Omnia Raimon Panikkar', y en cada sesión dos intelectuales invitados mantendrán una conversación relacionada con cada uno de sus libros.
El ciclo, que comenzará el 12 de septiembre en las cocheras del Palau Robert de Barcelona, contará con la participación de Victoria Cirlot, Jordi Pigem, Francesc Torralba, Vicenç Villatoro, Laura Borràs, Jaume Pòrtulas, Eduard Cairol, Josep M. Terricabras, Victoria Camps, Salvador Giner, Joan-Carles Mèlich, Àlex Susanna, Xavier Melloni, Amador Vega, Vicente Merlo y Agustín Pániker.
El ciclo concluirá en el mes de abril del próximo año con la intervención del conseller de Cultura de la Generalitat de Catalunya, Ferran Mascarell.
En las conversaciones se abordarán temas como la mística y la plenitud de la vida; la religión; el pluralismo y la interculturalidad; la visión trinitaria y cosmoteándrica, Dios, Cosmos, Hombre; mitos, símbolos y cultos; el ritmo del ser; la espiritualidad como camino de vida; o la experiencia védica.
Raimundo Pániker Alemany (Barcelona 1918 - Tavertet 2010), más conocido como Raimon Panikkar, fue un pensador que desarrolló la denominada filosofía del diálogo interreligioso e intercultural, en la que abogaba por transformar la civilización con una fusión de ciencia y tradiciones occidentales y orientales.
Hijo de madre catalana y padre indio, Raimon Panikkar era el hermano del también filósofo y escritor Salvador Pániker y fue ordenado sacerdote en Roma en 1946, hasta que en 1955 viajó por primera vez a la India, donde comenzó a predicar doctrinas espiritualistas ecuménicas.


29 agosto 2013

ASIA/FILIPPINE - Al via un “Consiglio interreligioso islamo-cristiano” nella patria di Abu Sayyaf

Jolo – Dopo un anno di lavoro e di preparazione, ha preso il via ufficialmente il Consiglio Interreligioso dei Leader delle Sulu (“Interfaith Council of Leaders-Sulu”), la piccola corona di isole nelle Filippine Sud, note perché patria e base del gruppo terrorista “Abu Sayyaf”. Lo comunica a Fides il Centro per il dialogo islamo-cristiano “Silsilah”, con base a Zamboanga city (isola di Mindanao), promotore del nuovo Consiglio, esprimendo soddisfazione per quelle che è definito “l’inizio di qualcosa di grande”.
Come spiega la nota giunta a Fides, il nuovo Consiglio, che include leader cristiani e musulmani locali, ha il compiuto di “promuovere una migliore comprensione nelle relazioni fra cristiani e musulmani in questa provincia” e si impegnerà “per il bene comune della comunità”. L’esperienza di un Consiglio interreligioso locale era già partita a Mindanao e poi sull’isola di Basila, dando buoni risultati per l’armonia sociale e religiosa. Nella dichiarazione di intenti iniziale del Consiglio, inviata a Fides, i leder affermano: “Noi, membri del Consiglio interreligioso delle Sulu, guidati dall'Onnipotente, mossi dallo spirito di dialogo e di pace, ispirandoci al movimento per il dialogo ‘Silsilah’ che promuove il valori come rispetto, fiducia, comprensione e apertura, ci impegniamo a: rafforzare la nostra fede, in quanto musulmani e cristiani, e a lavorare insieme contro la violenza, la corruzione e le ingiustizie nella nostra comunità; ad agire come un forum che faciliterà a chiarire questioni riguardanti la pace, l'ordine, lo sviluppo e l'ambiente; a preservare la nostra funzione di gruppo che promuove la cultura del dialogo, via per la pace, servendo la nostra comunità come mediatori tra i cittadini e lo stato o altri enti sulle questioni di politica, economia e sulle diverse questioni sociali”.


Al via l'11esima Settimana nazionale di Spiritualità organizzata dalla Cei

DOMENICO AGASSO JR - TORINO

È iniziata l’altro ieri ad Assisi l'11esima Settimana nazionale di Formazione e Spiritualità missionaria, organizzata dalla Conferenza episcopale italiana (Cei). Il tema di quest'edizione, che terminerà sabato, è “Sulle strade del mondo – Con il Vangelo nelle ricerche degli uomini”.
La Settimana, “che torna ora alla sede originaria di Assisi – spiegano dalla Cei (Ufficio nazionale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese) - intende approfondire il tema scelto per l’anno pastorale successivo, che nel 2013-2014 sarà 'Sulle strade del mondo'”; e dalla Cei sottolineano “la seconda parte del titolo: le strade 'del mondo', non immediatamente quelle 'cristiane' o 'ecclesiali'”. 
Nella nota si legge: “I cristiani si accompagnano a uomini che tracciano strade buone, vivono in mezzo a loro e come loro. Questa la condizione imprescindibile dell'annuncio del Vangelo affinché parli agli uomini e alle donne di oggi. Le strade del mondo – proseguono - dicono la vita quotidiana, la speranza, e talvolta anche lo smarrimento dell'uomo contemporaneo. Non si tratta di abdicare all'istanza critica del Vangelo - che prima di tutto investe noi - ma di fare dell'uomo e della storia, in fedeltà al Maestro di Nazaret, le vie maestre della missione”. Ecco che “rivolgiamo la nostra proposta a tutti gli operatori della missione. Prima di tutto ai missionari e alle missionarie che si trovano in Italia per le vacanze o per qualche servizio ai propri Istituti; ai centri missionari delle diocesi e ai loro direttori e collaboratori; a gruppi, movimenti, ong e aggregazioni ecclesiali impegnati nel vasto campo missionario (per noi europei mai così vasto, visto che ormai riguarda in tutta evidenza anche l'Europa, come hanno detto i vescovi nel recente Sinodo sulla nuova evangelizzazione!)”; e ancora, “agli animatori missionari dei gruppi parrocchiali e dei vari gruppi di sostegno alle missioni presenti ovunque nella nostra ancora generosa Italia. Insomma, ci rivolgiamo ai molti che hanno a cuore il Vangelo e il suo annuncio di fraternità per tutti”.
Don Alberto Brignoli della Fondazione Missio della Cei ha dichiarato a Radio Vaticana: “La caratteristica della Settimana è quella di aprire l’anno pastorale dal punto di vista della sensibilità missionaria e lo facciamo attraverso la riflessione sul tema dell’anno che è questo tema della strada, del mondo, che poi è la prospettiva che papa Francesco ci regala ossia che la Chiesa deve essere una Chiesa di strada, che incontra gli uomini nelle realtà in cui essi vivono”. “Il missionario – ha aggiunto - si pone proprio in questo atteggiamento di accompagnamento, non di giudizio o di superiorità e su quelle strade che l’uomo percorre cerca di essere testimone della presenza di Dio”.
E poi, don Brignoli, riferendosi all'affermazione del Pontefice secondo cui siamo tutti, in quanto cristiani battezzati, chiamati all'evangelizzazione, ha detto: “La missione non è andare lontano; la missione è andare ai lontani ma i primi lontani siamo noi. Siamo proprio noi che facciamo fatica nel nostro piccolo quotidiano della vita di ogni giorno a vivere l’annuncio del Vangelo”; dunque “siamo missionari innanzitutto per noi stessi e comunque è a noi che viene data in dono questa aria nuova, questo respiro nuovo del vivere la fede, che poi ci porta con maggiore facilità a condividerlo con gli altri”.


Germania: aumenta la popolazione grazie all’immigrazione

Berlino - Gli abitanti in Germania sono 80,5 milioni, secondo dati resi noti dall’Istituto federale di statistica a Wiesbaden.
Rispetto alla fine del 2011 è risultato un aumento dello 0,2 per cento (196.000 persone) della popolazione per effetto esclusivamente - dicono gli analisti - dell’immigrazione. Il numero dei decessi è considerevolmente superiore a quello delle nascite. Un incremento analogo della popolazione era stato registrato l’ultima volta nel 1996. Gli aventi diritto al voto alle prossime elezioni il 22 settembre sono di circa 61,8 milioni.
Sul piano economico, la fiducia delle imprese tedesche è salita al massimo da 16 mesi ad agosto, rafforzando la sensazione che la crescita dell’economia tedesca stia prendendo vigore. L’indice Ifo - basato su interviste a oltre 7.000 manager di aziende - ha toccato quota 107,5 punti dai 106,2, per il suo quarto rialzo mensile consecutivo. Si tratta del livello più alto da aprile 2012.


28 agosto 2013

O coração da perícope do Bom Samaritano (Lc 10,25-37)

Frei Gilvander Luís Moreira

Para uma interpretação sensata e libertadora do episódio-parábola do Bom Samaritano (Lc 10,25-37) é preciso, entre vários exercícios, analisar os versículos-chave de Lc 10,25-37, que são os versículos 33 a 35. Eis o que segue.
Os versículos 33 a 35 descrevem as atitudes –a práxis- do samaritano. São versículos riquíssimos em detalhes e constituem a coluna vertebral do processo que começa com a compaixão e deságua na misericórdia. Eles são a referência com base na qual se define a identidade de cada um dos personagens de Lc 10,25-37. Vamos, agora, em busca das palavras do próprio texto, a fim de sondar seu significado mais profundo.
O samaritano percorre dez passos interligados e interdependentes (Lc 10,33-35):

1. "Certo samaritano...” anônimo, pois não é revelado o nome dele; herege, segundo a religião judaica; impuro, segundo o povo judeu; pagão, segundo a cultura judaica; representante dos samaritanos, que por quase mil anos foram discriminados pelos judeus que se aliavam aos poderes político, econômico e religioso.

2. O samaritano, em viagem, se aproxima da pessoa caída e semimorta. Não passa adiante. Não levanta teorias que justificam a exclusão e aliviam a própria consciência. Interrompe seus planos e deixa-se guiar pelo inesperado, pelo inédito, pelo que acontece. O samaritano estava em viagem porque estava trabalhando. Estava ocupado e provavelmente também preocupado com suas responsabilidades. Mas, por ironia da história, as pessoas que encontram mais tempo são as mais ocupadas. Diz a sabedoria dos engajados: "Se precisar de ajuda, procure alguém que está muito ocupado, pois este terá mais tempo”. Quem pouco trabalha não encontra tempo – por falta de opção - para ser solidário. Tempo é questão de preferência. Quem ama verdadeiramente sempre encontra tempo para estar com a pessoa amada. Encontra o seu jeito de multiplicar o tempo e conquista o tempo necessário para estar com o outro. O sacerdote e o levita voltavam do trabalho e teriam, em tese, mais tempo para dedicar ao pobre assaltado, mas foram insensíveis. O samaritano usa seu precioso tempo para ser solidário.

3. O samaritano "chega junto...”, não fica à distância, na arquibancada da vida; aproxima-se do outro que está em apuros. Padre Júlio Lancellotti, vigário episcopal do povo da rua, da cidade de São Paulo, certa vez, quando saía da prisão, foi nervosamente interpelado pelo diretor da prisão: "Pode voltar lá dentro, pois os menores infratores recomeçaram outra rebelião lá e já fizeram alguns funcionários como reféns”. Padre Júlio discerniu no calor do conflito e voltou. Ao entrar, pulou no meio dos menores rebelados e gritou: "Silêncio! Sentem todos!”. Um menor grandalhão levantou-se e disse para todos: "Vamos obedecer, pois o padre, nosso amigo, está falando”. Padre Júlio, continuando, conclamou os menores: "Vamos rezar um Pai-nosso. Pai nosso, que estais no céu...”. Todos rezaram e assim a rebelião foi contida.
No dia seguinte, perguntaram aos menores: "Por que vocês obedecem ao padre Júlio e não obedecem aos guardas penitenciários?”. Eles responderam em coro:
"Padre Júlio é gente fina; é nosso amigo; chega junto quando estamos em apuros; é verdadeiro; gosta de nós; não mente para nós”. No dia seguinte, padre Júlio constatou que alguns menores tinham sido torturados por dizerem a verdade e denunciarem as arbitrariedades cometidas pelos guardas.

4. O samaritano vê o excluído semimorto. Não foi um olhar frio, calculista, sobre o sofrimento do outro, mas um olhar com base no outro que sofre. Um olhar de benevolência e ternura. Deixa que a dor do outro entre através dos próprios olhos. Certamente foi um olhar penetrante. Passa a ver o mundo conforme a dor do outro. E deixa se guiar pela visão que vê o outro sofrendo. Diz a sabedoria popular: aquilo que os olhos não veem o coração não sente. Um provérbio indiano expressa semelhante compreensão ao dizer que os olhos veem mil vezes mais do que os ouvidos escutam. "Não basta se aproximar apenas para fazer uma visita”, alerta tio Maurício, bom samaritano do povo da rua, em Belo Horizonte, autor do livro O Beijo de Deus – o evangelho da Rua segundo tio Maurício.

5. O samaritano move-se de compaixão em face da dor do excluído. A dor do outro entra pelos olhos e invade todo o corpo. Penetra nas entranhas, no coração, revolvendo-os. Revira o corpo por dentro. Quem está comovido se entrega ao outro, não o agride. Sentir compaixão é associar-se à dor do outro, partilhando-a e, desse modo, diminuindo-a. A dor sentida pela pessoa assaltada foi suavizada pelo "odor” da companhia do samaritano. Segundo Dalai Lama, compaixão é admitir que a vida do outro é mais importante do que a minha própria vida; é orientar a vida segundo o outro que sofre. O outro se torna um absoluto na minha vida. Quem decidirá se o meu trabalho vai continuar é a situação do outro.

6. O samaritano se aproxima ainda mais da pessoa sofrida, entrega-se gradativamente ao outro. É na proximidade que se dá o encontro face a face, o encontro EU–TU. Foi assim que aconteceu com Moisés na sarça ardente (Ex 3,1-6). O Jó da Bíblia, pai da impaciência e da rebeldia, depois de passar por um processo dolorido de revisão da sua experiência de Deus, chega à seguinte conclusão: "Antes eu Te conhecia somente por ouvir dizer, mas agora meus OLHOS Te veem” (Jó 42,5). Quer dizer, Jó encontra-se face a face com um Deus solidário e libertador. Mas o encontro face a face com Deus se dá no encontro face a face com o outro, principalmente com o outro que está excluído, semimorto. Pelo rosto reconhecemos com muito mais facilidade uma pessoa que já vimos alguma vez. Mas se nos apresentar um corpo sem rosto será muito mais difícil o reconhecimento. Uma religiosa, de vida consagrada, desejava viver a contemplação no meio do povo excluído da periferia de Vitória da Conquista, BA. Ela decidiu rezar com o povo aflito da sua vizinhança. Um dia, enquanto visitava as famílias nos seus casebres, percebendo que muitas mães davam água com sal para tentar consolar os filhos que choravam pedindo alimento, a religiosa perguntou para uma mãe: "Por que você vendeu todas as camas, cadeiras e os móveis da casa?”. A mãe respondeu: "Irmã, a senhora nunca vai conseguir entender o que significa uma mãe ver o filho chorar e gritar com fome e não ter alimento para dar para o filho. Vendi todos os móveis, um a um, para comprar pão para meus sete filhos. Frio até que a gente aguenta, mas passar fome e ver os filhos pedirem alimento é ser cortada por dentro; mata a gente aos poucos. Nós, mães, não somos de ferro. Somos de carne e osso e amamos os nossos filhos”.

7. O samaritano cuida do outro no imediato e no mediato. Fez curativos, derramando óleo e vinho nas feridas. A compaixão move o coração e aciona as mãos para a prática da misericórdia, da solidariedade efetiva. O samaritano vive a espiritualidade do CUIDADO com o outro e consigo mesmo. Falam alto o modo como ele ajuda e o que ele usa para cuidar do outro. Revelam a experiência e a competência de quem já está familiarizado com o exercício da solidariedade. E o que ele usa para aliviar a dor do outro são frutos da mãe-terra e do seu esforço humano (suor, fadiga, tempo). Com produtos naturais, o samaritano recupera a vida do outro: óleo, para curar feridas, e vinho, que além de curar, dá alegria e ajuda a retomar a vida.

8. O samaritano "colocando-o sobre o seu próprio animal, levou-o a uma pensão, onde cuidou dele...” Fez-se solidário, prestou os primeiros socorros e encaminhou o semimorto para o restabelecimento completo. O samaritano não se contentou com o mínimo de assistência oferecida a alguém em perigo, mas deu seu tempo, seu dinheiro e o seu ser, sem calcular. A oferta do dinheiro não é substitutiva, mas um complemento da sua ação pessoal. Ele amou "com força”, isto é, com os seus próprios bens econômicos. Ele mostrou que amar é agir com o coração, é ter "coragem”. Para o samaritano, o grito por solidariedade é urgente. Seria tarde demais e chegaria atrasado se ele tivesse dito para o excluído semimorto: "Daqui a pouco eu te ajudo”; ou "espera um pouco”; ou "quando eu voltar, eu te ajudo”; ou "depois que eu me aposentar eu te ajudo”; ou "quando eu ganhar na loteria eu te ajudo”, ou, ou... Mas o samaritano cedeu o seu próprio jumento para carregar a vítima, desinstalando-se. Isso faz-nos recordar a alegria com que o povo pobre acolhe uma visita, oferece a própria cama para o hóspede e vai dormir no chão. O que normalmente não acontece na casa de pessoas ricas. Com frequência, observa-se hoje uma placa de advertência com a seguinte inscrição: "Cuidado, cão bravo!”; "Cuidado, cerca elétrica!”.

9. O samaritano pagou dois denários. Conforme Mt 20,2, um denário era o suficiente para pagar um dia de serviço. Mas "um denário por um dia de serviço” era o suficiente para alimentar a esposa e os filhos, comprar roupas, manter as necessidades do lar, pagar impostos, taxas do templo etc.?
Concordando com o biblista Fitzmyer, dizemos que "a descrição do samaritano é esplêndida; emprega todas suas posses materiais - azeite, vinho, cavalgadura, dinheiro - para ajudar um pobre infortunado que se encontra pelo caminho”. "Nenhum escritor do Segundo Testamento - salvo, talvez, o autor da carta de Tiago, e este somente de maneira análoga - põe maior ênfase na moderação com a qual o discípulo deve usar suas próprias riquezas materiais.” O samaritano cumpriu o que estava prescrito no shemáh: Dt 6,4-5, que diz "Ouça, Israel... ame a Javé seu Deus com todo o seu coração, com toda a sua alma e com toda a sua força”. "Amar com toda sua força” diz respeito à dimensão econômica da vida, a partilha dos bens econômicos. O samaritano deixa o semimorto protegido e encaminhado. Vai embora, mas deixa marcas de bondade e sai positivamente marcado para o resto da vida.

10. O samaritano não deixou nome nem endereço. Soube a hora exata de entrar e de sair da vida do outro. Foi embora. Agindo assim, impossibilitou que se criasse vínculo de dependência entre ele e o socorrido. Ele foi solidário de modo gratuito e libertador.

Belo Horizonte, MG, Brasil, 26 de agosto de 2013.

LECTIO DIVINA, Dom XX II, Ciclo ‘C’ (Lc 14, 1.7-14 )

Juan José Bartolomé, sdb

Jesús iba siempre donde lo invitaban. No tenía casa propia. Era huésped de gente influyente como de grandes pecadores. A nadie negaba su compañía ni el evangelio, que como Buena Noticia alimentaba su vida.
El evangelio de este domingo nos recuerda una de esas ocasiones; un importante fariseo le había pedido fuera a comer en sábado a su casa. Su presencia despertó cierta inquietud en los que estaban también en esa fiesta. No dejaban de observarlo.
El se dio cuenta de lo que sucedía y aprovechó la ocasión. Vio que querían los mejores puestos en la mesa, que se creían dignos de una cierta distinción y sobre esa actitud hizo una buena cátedra, que no se quedó en esa casa ni ese auditorio, sino que es para todos los que nos decimos ‘sus discípulos’. Jesús no quiso enseñarles la buena educación, no era maestro de buenas costumbres, sino que quiso descubrirles la malicia de su comportamiento, el deseo desenfrenado que mueve a los hombres de todos los tiempos a creerse más que los demás y a verlos como inferiores. Además hizo una advertencia que más allá del tiempo: ‘No se deben hacer favores esperando una recompensa’. Ser cristiano y vivir como Cristo es aprender a dar sin esperar nada a cambio.

Seguimiento:



1. Sucedió que un sábado, Jesús fue a comer a casa de uno de los jefes de los fariseos. Ellos le estaban observando.
7. Se dio cuenta de que los invitados elegían los primeros puestos, y les dijo una parábola:
8. «Cuando alguien te invite a una boda, no te pongas en el primer puesto, no sea que haya invitado a otro más distinguido que tú
9. y, viniendo el que te invitó a ti y a él, te diga: `Deja el sitio a éste', y tengas que ir, avergonzado, a sentarte en el último puesto.
10. Al contrario, cuando te inviten, vete a sentarte en el último puesto, de manera que, cuando venga el que te invitó, te diga: `Amigo, sube más arriba.' Y esto será un honor para ti delante de todos los que estén contigo a la mesa.
11. Porque todo el que se ensalce, será humillado; y el que se humille, será ensalzado.»
12. Dijo también al que le había invitado: «Cuando des una comida o una cena, no llames a tus amigos, ni a tus hermanos, ni a tus parientes, ni a tus vecinos ricos; no sea que ellos te inviten a su vez y tengas ya tu recompensa.
13. Cuando des un banquete, llama a los pobres, a los lisiados, a los cojos, a los ciegos;
14. y serás dichoso, porque no te pueden corresponder, pues se te recompensará en la resurrección de los justos.»

I. LEER: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice

Por quinta vez Lucas presenta a Jesús huésped de una familia: primero fue un publicano (Lc 5,29), luego un fariseo (Lc 7,36), después, Marta y María (Lc 10,38) y otro fariseo (Lc 11,37); ahora, uno de los principales fariseos (Lc 14, 1).
El hogar familiar y comer en común son ‘cátedra’ de un Jesús cercano a los hombres, se lo merezcan o no. Llama la atención que se deje invitar más por fariseos que por amigos o discípulos.
En esta escena el narrador da una razón: aunque la invitación era a comer, la intención verdadera era la de acecharlo. Jesús no está, pues, entre amigos, pero eso no le amedrenta, ni evita la oportunidad para enseñar a quienes lo han invitado verdades del Reino. Siempre se mostró, como lo que fue, ‘todo un maestro’.
Y es un simple detalle observado (Lc 14,7), un hecho de vida que quizá por repetido se haya vuelto irrelevante para muchos, lo que le da pie a una inesperada lección, o mejor a dos. Jesús argumenta con la vida para corregir un comportamiento que se va volviendo habitual.
Aunque Lucas presente las palabras de Jesús como parábola, son en realidad una doble instrucción de tipo sapiencial. La primera parte va dirigida a todos los invitados; la segunda, sólo al que los invitó.
A los invitados se les indica cómo comportarse en la elección de los lugares (Lc 14,8-11). Al que invita, cómo debe hacer la selección de las personas (Lc 14,12-14). En ambas, se va contra lo que se ve como normal y parece lógico. La primera enseñanza parece una simple lección de cortesía, con una cierta carga de cálculo y astucia (Prov 25,6-7).
Pero la conclusión eleva la anécdota a principio de vida: buscar la gloria propia es la vía para quedarse sin ella (Ez 21,31). Más exigente e inusitada es la lección que da a quien invita: es un increíble y poco razonable llamamiento a la generosidad y al desinterés.
Quien invita ha de elegir a quien, por ser pobre, es socialmente insignificante y insolvente. Quien hace el bien debe renunciar a esperar recibir nada a cambio. Los que dan sin esperanza de ser reconocidos hoy, pueden esperar ser recompensados en el última día.

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a nuestra vida

Jesús enseñaba siempre. La mayoría de las veces elegía él a sus oyentes, otras lo buscaban para escucharlo. El evangelio nos dice que no siempre lo buscaban con buena voluntad. Jesús predicaba el evangelio y quien lleva el evangelio y a Dios en el corazón, no desperdicia ocasión alguna para hablar de su ‘tesoro’. No tiene que estar entre los suyos, bien acogido, para ser lo que ha sido llamado a ser y hacer aquello para lo que fue enviado.
¿No se necesitan hoy evangelizadores que, como Jesús, hablen de Dios donde no se habla bien de ellos? Dios merece ser anunciado, incluso donde su representante no es bien recibido.
Y para encontrar ‘temas’ para hablar de Dios a gente no bien dispuesta, no hace falta mucho saber, ni análisis de las posibilidades; bastará con observar cómo se comportan. En la actuación del oyente del evangelio descubre el evangelista perspicaz qué debe anunciar como salvación, pues aquel que no tiene a Dios, deja ver su vacío y la soledad con la que vive.
¿No será que no ‘fijamos’ mucho nuestra mirada en nuestro mundo, que no lo contemplamos de cerca pues no nos es amigo, por lo que nos faltan motivos para hablarle de Dios? Como no nos damos cuenta cómo vive el mundo, no somos capaces de hablarle de Dios, al que tanto necesita.
Jesús observó el comportamiento de los invitados y se sirvió de lo que vio para hablarles de lo que ellos necesitaban. No pretendió dar una lección de buenas costumbres, sino aprovechó la anécdota para exponer las normas que debían regir las relaciones entre los hombres. Algo tan simple, y tan repetido, como el deseo evidente de ocupar los primeros puestos en un banquete brindó a Jesús la ocasión para evangelizar. No necesitó de mejores motivos.
A quien tiene ganas de evangelizar, nunca le faltarán ocasiones. El invitado no debe considerarse digno de la invitación ni tiene que buscar puestos que no le hayan sido confiados, porque no se mereció la hospitalidad recibida; la invitación es don inmerecido, no salario debido. El que invita no debe calcular si su actuación se verá recompensada un día por sus huéspedes; la invitación debe ser oferta gratuita, no inversión a largo plazo; invitando a quien no puede pagarle, será Dios el encargado de resarcirle.
El comportamiento de Dios, que invita a todos - y sin que todos lo merezcan -, y que, además, invita sin esperanza de que todos puedan recompensarle, es la razón del comportamiento alabado por Jesús; Él quiere que los hombres copien el comportamiento divino en las cosas ordinarias de la vida.
Hay que admirar la valentía de Jesús que se pone a enseñar a quien no se lo ha pedido. Aunque la ocasión no fuera la más propicia, rodeado como estaba de personas que no dejaban de espiarlo, ante un espectáculo tan triste reacciona seguro de sí mismo y desvela la necedad de quien sólo piense en acumular honores que ha de robar a su prójimo. Nosotros, de haber sido invitados, probablemente hubiéramos simulado no ver o intentado disculpar semejante comportamiento, si es que no hubiéramos caído en él.
Si Jesús no deja pasar lo sucedido, porque ve algo en la actitud de quienes lo invitaron el deseo de obtener privilegios a cualquier costa. Les hace una advertencia que va más allá de lo que ha contemplado: quien se cree digno de Dios lo puede perder. Hacer el bien a quien nos lo puede pagar, no es buen negocio, pues nos llevará a perder la dicha de estar en el Reino.
La parábola, aunque parece aludir a cuanto está viendo Jesús en casa de su huésped, se refiere, en realidad, a la relación del creyente con Dios. Pudiera parecer que Jesús da útiles consejos a invitados y a su anfitrión; en realidad, está hablando de Dios y de su voluntad. El comportamiento de Dios, quien invita a todos, sin que todos lo merezcan, y que, además, invita sin esperanza de que todos puedan recompensarle, es la razón del comportamiento alabado por Jesús.
Él quiere que los hombres copiemos el comportamiento divino en nuestra vida ordinaria. Como el hijo imita al padre, así debemos conocer y reproducir las opciones de Dios. El hecho observado le sirvió a Jesús para corregir la tentación de los buenos de creerse mejores, más dignos, sólo porque hay otros peores, menos honrados.
No conviene que frente a Dios los buenos se distingan por apetecer lugares mejores de los que han recibido.
Quien no se merece la hospitalidad que recibe, no tiene que buscar puestos que no le hayan sido confiados. La invitación es don inmerecido, no salario debido.. Buscarse el puesto en la vida que uno piensa merecer es vivir sin conocer la gracia de ser invitado. Convivir con otros impone vivir con humildad, aceptando lo que uno es, conformándose con el lugar que le corresponde, reservando los restantes para los demás.
Nuestras comunidad necesita cristianos que se contenten con ocupar lo que se les ofrece sin ansiar lo que está destinado a otros. Sin humildad no es posible experimentar gratuidad ni vivir en común. Ser humilde es aceptar de buen grado lo que Dios, a través de la vida, nos da; desear algo mejor nos hace infelices hoy.
El riesgo que corren los que se creen ‘buenos’ es pensar que Dios no los ha tratado como ellos se merecen; acabarán por caer en el ridículo de verse despojados de cuanto usurparon. Lo que de Dios recibe el creyente es más que bueno; apetecer otros honores, mejores puestos, más dignidad es intentar hacer malo a Dios y a cuantos comparten con nosotros sus dones y su compañía.
Quien se sabe amado por Dios queda liberado de la vanagloria y de la envidia. No necesita de triunfos o reconocimientos para saberse valorado sobre manera y apreciado sin medida; podrá renunciar a la búsqueda de honores, que habría de lograr negándoselos a su prójimo, y no le será penoso soportar que los demás reciban honras que él no conoce quien conoce que Dios le estima.
¿Nos basta con saber que Dios nos ama para no ambicionar mayores privilegios ni mejor fortuna? Probablemente la insatisfacción con que vivimos nuestra vida cristiana, la desazón que nos causa convivir con personas que lograron más o viven mejor, nace de la escasa conciencia que tenemos del amor que Dios nos brinda. Si confiáramos en Él, nos sobraría todo lo que no es Él ni a Él conduce.
Jesús no limita su enseñanza: La gratuidad más absoluta ha de reinar en relaciones interpersonales de quienes esperan el Reino y a Dios. El Dios bueno es incapaz de olvidar a quien ha hecho el bien gratuitamente. La lógica de Jesús no puede ser más evidente, pero las exigencias que se derivan son del todo inusitadas. No convidamos a desconocidos y mucho menos a mendigos, enfermos e impedidos. Sus palabras son norma de vida cristiana. Lo que quiso ver en su huésped es lo que quiere encontrar en sus discípulos: generosidad sin cálculo y amor verdadero. Hacer el bien, ser bueno, no buscar beneficios ni reconocimiento y recompensas es parecernos a Él.

III. ORAR nuestra vida desde este texto:

Dios bueno, tu Palabra quiere hacernos comprender las exigencias del amor. Hemos sido convidados por ti para estar en tu mesa. Tú eres nuestro anfitrión. Pensaste en nosotros dándonos un puesto en tu fiesta; eso nos ha de bastar para calmar nuestra necesidad de gloria y poder.
No somos buenos, sino que eres Tú el que nos haces buenos, a pesar de nuestros egoísmos. Estar en tu compañía y sentarnos a tu Mesa nos enseñe a tener tus sentimientos y a ser capaces de amar como Tú nos amas. ¡Así sea!

27 agosto 2013

Papa Francesco il 10 settembre al Centro Astalli per incontrare i rifugiati

Roma - Nel pomeriggio del 10 settembre papa Francesco visiterà il Centro Astalli di Roma rispondendo così ad invito rivoltogli dal presidente del Centro, padre Giovanni La Manna. Sarà una visita privata durante la quale il papa incontrerà i rifugiati ospiti del Centro.
“E’ un ulteriore segno di una continuità nella vicinanza a persone che sono costrette a lasciare la propria terra a causa di guerre e persecuzioni; è una continuità quotidiana fatta di gesti semplici, concreti che però sono uno stimolo, sono un invito a tutti noi di seguire il suo esempio”, ha detto padre La Manna alla Radio Vaticana spiegando che il Papa potrà incontrare i rifugiati che arrivano a Roma e sono tanti, perché Roma “è un luogo di secondo approdo. Sono persone che hanno bisogno di mangiare, di poter fare la doccia, di poter incontrare un medico, ricevere un farmaco, assistenza legale e sociale … In media, alla mensa ogni giorno arrivano 450 persone, che non è il numero effettivo, perché donne, bambini, persone con problemi non fanno la fila”.
“Io - ha poi concluso - sono molto contento che il Vescovo di Roma, il Vicario di Cristo, realizzi il suo incontro con i rifugiati al Centro Astalli: per me è la scuola che mi tiene vivo, mi insegna a riconoscere Cristo, a capire cosa è veramente importante nella vita e soprattutto a riconoscere una cosa che non figura nei nostri bilanci, che è la Provvidenza di Dio che si concretizza lì dove non ci si preoccupa di cercare profitto ma dove si è capaci di condividere prima di tutto ciò che si è e poi quello che si ha”. (R.I)


Moldova

Celebriamo l’Indipendenza con la Moldova (1991). La chiesa cattolica vi è presente con un’unica diocesi, 13 parrocchie e 20.000 cattolici su 3,6 milioni di abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

25 agosto 2013

Sr. Maria Troncatti


Beata Sr. Maria Troncatti


Beata Sr. Maria Troncatti

Hoy, como Iglesia, celebramos la fecundidad de la siembra evangelizadora de ayer de valientes misioneros y misioneras que trajeron la Buena Noticia a esta tierra amazónica. Acontecimiento que nos compromete a seguir caminando en las huellas de Jesucristo enviado del Padre a evangelizar a los pobres.

25 de agosto, Beata María Troncatti. Aunque no es posible celebrarla litúrgicamente, porque coincide con el domingo, se celebra este año la primera Memoria litúrgica de la Beata María Troncatti, Hija de María Auxiliadora (FMA), beatificada el 24 de octubre de 2012 en Macas (Ecuador).
Nacida en Corteno Golgi (Brescia) el 16 de febrero de 1883, creció en una familia numerosa. Asidua a la catequesis parroquial y a los sacramentos, espera a ser mayor de edad antes de solicitar la admisión en el Instituto de las FMA e hizo su primera profesión en 1908 en Nizza Monferrato. En la Primera Guerra Mundial (1915-1918) trabaja como enfermera en el hospital militar: una experiencia que le será muy valiosa más tarde. Parte para el Ecuador en 1922, y es enviada entre los indígenas Shuar, donde comenzó la difícil tarea de la evangelización: Macas, Sevilla Don Bosco, Sucúa son algunos de los "milagros" de la aún próspera acción de Sor Troncatti. Su obra por la promoción de la mujer Shuar florece en centenares de nuevas familias cristianas, formadas por primera vez en la libre elección de jóvenes esposos. Murió en un trágico accidente aéreo en Sucúa el 25 de agosto de 1969.
Que su testimonio de vida nos ayude hoy a ser signos creíbles de amor y entrega a los hermanos, dejándonos conducir por Jesucristo, Señor de la vida. Que los cristianos renovemos el compromiso de adhesión a Cristo, para revitalizar y re-encantar nuestra opción por Él y por el anuncio de la Buena Noticia del Reino.
Que de la mano de sor María Troncatti y estimulados por el ardor misionero, testimonio de vida para todos, podamos tener la audacia que da el amor, para asumir la misión de Jesús, prestando atención especialmente a los pobres y excluidos.

Oración

Padre misericordioso, que, por obra del Espíritu Santo, has suscitado en la Beata María Troncatti, virgen, una materna caridad para anunciar a Cristo a los pueblos, concédenos, por su intercesión, ser instrumentos de reconciliación y de paz, para que todos alaben tu santo nombre. Por nuestro Señor Jesucristo, tu Hijo, que vive y reina contigo en la unidad del Espíritu Santo, y es Dios, por los siglos de los siglos. Amén 

Bielorussia

Con la Bielorussia festeggiamo l’Indipendenza (1981). La chiesa cattolica è presente nella «Bellarus’» con 1,7 milioni di cattolici, che corrispondono al 17% dei 9,6 milioni di abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

24 agosto 2013

Ucraina

Con l’Ucraina festeggiamo l’Indipendenza (1991). I cattolici sono 4 milioni su una popolazione di 46 milioni. La chiesa cattolica in Ucraina ha quattro distinte gerarchie: di rito romano, di rito armeno, di rito bizantino-ucraino e di rito bizantino-ruteno.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

21 agosto 2013

LECTIO DIVINA, Dom XIX, Ciclo ‘C’ - (Lc 13-22-30 )

Juan José Bartolomé, sdb

No creo que hoy preguntaríamos a Jesús, si lo encontráramos, sobre el número de los que van a salvarse, como hizo aquel desconocido que lo encontró cuando iba de camino hacia Jerusalén. La salvación propia no es un tema que interese mucho, ni siquiera a los mismos cristianos. Y no se vislumbran bien las causas de esta situación.
Quizá, como estamos muy empeñados en liberarnos de los pequeños problemas que la vida diaria nos presenta, hemos perdido de vista que, aunque lográramos resolverlos todos, nos faltaría por afrontar el más decisivo, el único que merece toda nuestra atención, porque de él depende nuestra felicidad para siempre: cómo salvarnos.
Tal vez nos creemos buenos, solo porque no somos notoriamente malos. Damos por supuesta la recompensa debida a nuestros esfuerzos. Ya es suficiente prueba vivir esta vida como para no contar, sin más, con la otra. No es raro que algunos, ciertamente con la mejor intención, piensen que no debe preocuparnos demasiado nuestro destino final, puesto que Dios es lo suficientemente bueno como para disculpar el que nosotros no logremos serlo. No son pocos los que hoy, por motivos diversos, dan por descontada su salvación, porque, simplemente creen merecérsela.

Seguimiento:

22. En aquel tiempo, Jesús, de camino hacia Jerusalén, recorría ciudades y aldeas enseñando.
23. Uno le preguntó: «Señor, ¿serán pocos los que se salven?» Jesús les dijo:
24. «Esfuércense por entrar por la puerta estrecha. Les digo que muchos intentarán entrar y no podrán.
25. Cuando el amo de la casa se levante y cierre la puerta, se quedarán fuera y llamarán a la puerta, diciendo: "Señor, ábrenos". Y él les replicará: "No sé quiénes son."
26, Entonces comenzarán a decir: "Hemos comido y bebido contigo, y tú has enseñado en nuestras plazas."
27. Pero él les replicará: "No sé quiénes son. Aléjense de mí, malvados."
28. Entonces será el llanto y el rechinar de dientes, cuando vean a Abrahán, lsaac y Jacob y a todos los profetas en el Reino de Dios, y ustedes se vean echados fuera.
29. Y vendrán de oriente y occidente, del norte y del sur, y se sentarán a la mesa en el Reino de Dios.
30. Miren: hay últimos que serán primeros, y primeros que serán últimos.»

I. LEER: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice

De camino a Jerusalén, enseñando por doquiera que pasa, Jesús es interpelado por un oyente anónimo: Le pregunta si son muchos los que se salvan (Lc 13,23). Lucas aprovecha este escenario – un Jesús que anda por el camino, un Jesús siempre enseñando, una pregunta profundamente ‘religiosa’ – para reunir tres sentencias de Jesús en torno a la entrada en el Reino (Lc 13,24.25-29.30).
Hay que notar que a la cuestión más teórica sobre la salvación, le responde con dos imágenes muy comprensibles: ‘La de la puerta estrecha y la de sentarse a la mesa’.
A quien se interesa por el número de salvados contesta exhortándole a preocuparse por su propia salvación (Lc 13,23). No es tan fácil como presupone. Decisivo no es si son muchos o pocos los que se salvarán, sino si uno está en el número de los que se salvan. La propia salvación no es un tema para discutir, sino tarea que afrontar. Y habrá que tener en cuenta – advierte Jesús – que no lo consigue sólo quien lo intenta.
Explicándose mejor, Jesús recurre a una parábola en la que participan sus oyentes (Lc 13,25-29). A quienes la dan por segura, dado el grado de intimidad con Jesús alcanzado, les recuerda que la salvación no depende de lo que ellos se crean, sino de lo que quiere Dios. Convivir hoy con Cristo no avala un porvenir en su compañía. Para quien de verdad quiera entrar o ‘quedarse fuera’ es una posibilidad con la que hay que contar. Porque no entra quien tiene ganas, sino quien es reconocido y acogido por su Señor.
Mientras dependa de ‘Otro’, nuestra salvación no está asegurada. Y lo peor – lo más desagradable – es que otros más alejados, menos privilegiados, entrarán primero.
Que los últimos antecedan a los primeros tiene que resultar una grave advertencia a cuantos se sienten demasiado a gusto con Dios (Lc 13,30). Si quienes más lejos están hoy de la meta cuentan con mejores probabilidades de llegar al destino, de poco sirve estar bien situados desde un principio. Nadie puede estar seguro del triunfo, si ni siquiera los más cercanos a él deben ilusionarse con obtenerlo.
Jesús no pone las cosas fáciles a los buenos. Y es que nadie es demasiado bueno para, automáticamente, merecerse a Dios.

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a nuestra vida

En tiempos de Jesús, la gente seguro que era más inculta, menos afortunada. Vivía menos tiempo y bastante peor que hoy. Probablemente, porque sabían lo poco que valía esta vida, se interesaban mucho por la otra. Ya que estaban convencidos de que no podían liberarse ellos solos de sus propios males, buscaban una salvación definitiva, que sólo Dios podía darles. Tenían poco que perder en esta vida y les inquietaba más poder perderse la otra; lograban vivir sin tantas cosas como nosotros tenemos, pero no renunciaban a vivir por siempre sin Dios.
Probablemente, hoy no son muchos los que nos preocupamos por la salvación de todos. Ni siquiera los auténticos creyentes, que dan por asegurado ese don que nunca será merecido. Nos haría bien preguntarnos, más a menudo y con la mayor seriedad, si estaremos un día entre los salvados; viviríamos, sin duda, mejor la frágil vida que tenemos.
Jesús no respondió a una pregunta ‘teológica’ tan importante: puesto que solo Dios salva, salvará a muchos o a unos pocos. Más importante aún que satisfacer la curiosidad de su interlocutor le pareció, sin duda, advertirle sobre el peligro que corría quien no se esforzara: No es decisivo saber el número de los que se salvarán, sino si yo estaré entre ellos. Con su respuesta, en vez de acallar las dudas, Jesús quiso acrecentar la ansiedad en su interlocutor, a quien, curiosamente, le importaba más el número de los salvados que su propia salvación.
La salvación, al menos para Jesús, era una tarea de por vida.
Jesús nos deja claro que la propia salvación, además de incierta, es en extremo difícil. No hay que hacer de la propia salvación una cuestión académica, un bonito argumento sobre el que hay discutir y entretenerse.
Aunque Jesús le hubiera garantizado que la mayoría se ha de salvar, no le aseguraba que él se salvaría. Y es que los requisitos no hacen fácil la cuestión: La puerta es estrecha, se requiere esfuerzo y, sobre todo, no depende de las ganas de entrar, sino de ser acogido por el Señor. Si la vía de acceso no es tan transitable como sería deseable, si ni el empeño y el trabajo personal siquiera son suficientes, ‘entrar en el Reino’ será siempre gracia concedida, no mérito ganado. Si no depende de mi deseo ni de mi esfuerzo ser reconocido y acogido finalmente por Dios, todo lo que hago con El y por Él no me lo merece: Él siempre será para mí sorpresa y don, nunca salario merecido.
Ni el haber sido su discípulos, ni el haber sido instruido mientras convivíamos, me asegura no ‘quedarme fuera’, ¿por qué no me cuestiono por si seré salvado o no? ¿Por qué doy por asegurado lo que no depende de mí y es sólo gracia? ¿Qué podré hacer hoy para merecer la salvación que no la tienen segura quienes oyeron a Jesús y se sentaron a comer con Él?
Para ahondar en lo dicho, Jesús recurre al lenguaje simbólico; no encuentra mejor modo para hablar de Dios y de la otra vida. Quien desea entrar en algún lugar, ha de esforzarse más cuanto menos amplio sea el acceso. Jesús no dice que la puerta que conduce a Dios sea estrecha; invita, más bien a elegir el acceso menos amplio para llegar a Él.
Jesús no nos engaña con falsas promesas. Quien va a entrar por la puesta angosta, y tiene que ir por un camino penoso, una vez llegado a la meta, gozará muchísimo. Si no fue cómodo alcanzar la salvación, cuánto le hará gozar el esfuerzo con el que se trató de llegar hasta ella.
Parece que Dios quiere que Le apreciemos antes de dársenos para siempre, haciendo que nos cueste encontrarnos con Él. Si realmente queremos estar con el Señor, no rehuyamos las estrechez de esta vida. Él lo dijo: ‘Si no se animan a ir por la puerta estrecha, no querrán entrar’. La elección está en nuestras manos.
Con la parábola del amo que no reconoce a quien llama desde fuera, Jesús recuerda a cuantos dan por descontado la benevolencia divina, que no deberían hacerse demasiadas ilusiones: no por ser bueno, Dios es necio. Los que se quedaron fueran cuando el señor de la casa cerró la puerta, no le eran desconocidos, fueron desconocidos; habían sido amigos y compañeros, pero no llegaron a ser sus huéspedes; comieron y convivieron junto a su amigo, pero no les admitió en su casa.
No hacían cosas malas; lo único que no hicieron es estar junto a él en el momento en que cerraba su hogar. Para quien pudo entrar no importó que la puerta fuera estrecha, con tal de que permaneciera aún abierta; quien se quedó fuera de la casa del amigo - y de su corazón -, no se quejó de que lo angosta que era la puerta, sino de que estaba ya cerrada. Lo único que sabe decir el señor de la casa es que no reconoce como amigo a quien se ha quedado fuera de su hogar. La lección es tan evidente que Jesús ni la comenta.
No nos hace ningún bien ilusionarnos que porque tenemos buenas relaciones con Dios nos ya está seguro nuestro encuentro con Él en el cielo. Convivir hoy con Jesús no garantiza un porvenir en su compañía. Dar por segura la amistad con Dios es el mejor camino de empezar a perderla. Quien intimó con su señor como con un amigo, tendrá que ver que también otros son preferidos; una amistad que se puede perder, es una amistad preciosa; es mejor no abandonar nuestro hogar nunca. Dios no nos reconocerá para siempre si le hemos dejado por un momento, necesitamos estar con Él en todos los momentos de nuestra vida. Cualquier sacrificio valdrá la pena con tal de no perder el derecho a estar con Él para siempre.
Y para que no quedara sombra siquiera de duda, Jesús termina su exhortación con una advertencia que podría parecer injusta: “Los últimos serán primeros, los menospreciados, serán mejor queridos; los desconocidos serán íntimos en el Reino de Dios”. Si quienes más lejos están hoy de la meta cuentan con mejores probabilidades de llegar al destino, de poco sirve estar bien situados desde un principio; nadie puede estar seguro del triunfo, si ni siquiera los más cercanos a él pueden creerse que lo obtendrán. Jesús no pone las cosas fáciles a los buenos. Y es que nadie es demasiado bueno para, automáticamente, merecerse a Dios. De esto, en el fondo, es de lo que se trata.
Los oyentes de Jesús escucharon que los venidos de lejos se sentarían junto con los patriarcas y profetas de Israel en el festín del Reino. Allá, hacia los años ochenta, esta grave advertencia de Jesús era una triste, e innegable realidad: En el Reino serán acogidos los que menos esperaban serlo. Y quienes se creían con derecho –estarán fuera.
Hoy la sentencia de Jesús es para nosotros: No nos salvaremos porque queremos ser salvados, sino porque Dios nos salva; la salvación es una gracia; somos agraciados y congraciándonos con Él, nuestro esfuerzo no podrá conocer límite; ni la esperanza de conseguirla un final. Mientras no entremos por la estrecha puerta, no estaremos a salvo.
Hemos creído que como Dios es bueno nos hace buenos a nosotros. Nos hemos ilusionado con que Él hará también la parte que nos toca; nos perdonamos nuestros fallos antes de que Dios lo haga y nos liberamos de reconocerlos para no dárselos a conocer. La salvación, y Dios, nos esperan tras una puerta angosta.

III. ORAR nuestra vida desde este texto:

Padre Dios, tu Palabra hoy nos da una gran lección. Tú quieres prevenirnos: No se trata de ser el primero o el último. No existe preferencia ni lugar privilegiado: el que está entre los primeros, no está seguro de entrar al Reino y el que es de los últimos, podrá ser recibido. No es lo que somos nosotros, ni dónde nos encontramos lo que asegura nuestra salvación, sino vivir hoy tu amistad estar contigo y cenarnos a tu mesa. ¡Qué equivocados estamos cuando pensamos que porque Tú eres bueno nosotros no tenemos que esforzarnos por alcanzar la gracia de estar contigo para siempre. Es una insensatez quedarse fuera, ¡y para siempre lejos de ti por no haber estado siempre contigo. María, Tú que supiste el gran valor de vivir con Dios siempre, haznos capaces de conservar su amistad, por encima de todo. ¡Así sea!


19 agosto 2013

AMERICA/ARGENTINA - “Forza e coraggio”, le parole del Papa al 4 Congresso Missionario Nazionale

Catamarca – Si conclude oggi (19 agosto) il IV Congresso Missionario Nazionale svoltosi a Catamarca, Argentina con la partecipazione di più di mille missionari provenienti da tutto il Paese e con invitati giunti da Brasile, Messico, Guatemala, Ecuador, El Salvador, Spagna, Italia e Romania.
La cerimonia di apertura, il 17 agosto, è stata presieduta dal Vescovo di Catamarca, S.Ecc. Mons. Luis Urbanc; hanno anche partecipato Mons. Vicente Bokalic Iglic, vescovo ausiliare di Buenos Aires e presidente della Commissione Episcopale per le Missioni; Mons. Juan Horacio Suarez, vescovo di Gregorio di Laferrere; Mons. Joaquin Gimeno Lahoz, Vescovo di Comodoro Rivadavia; Mons. José Slaby, Vescovo Prelato di Esquel; Mons. Jorge Eduardo Lozano, Vescovo di Gualeguaychú e presidente della Commissione episcopale per la pastorale sociale; il Direttore delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Argentina, padre Mario De Sanzi Dante, e il Direttore Diocesano per le missioni in Catamarca, padre Carlos Robledo.
Nella nota inviata a Fides s’informa che Mons. Urbanc ha voluto, come prima cosa, leggere il Messaggio di Papa Francesco: “Desidero che questo Congresso aiuti tutti voi a crescere nella missionarietà. Vi esorto ad uscire da voi stessi per andare alle periferie geografiche ed esistenziali, per annunciare Gesù e far riconoscere il suo messaggio. Auspico che lo Spirito Santo vi doni forza e coraggio per agire senza paure e con ardimento e che vi liberi dalla tentazione della comodità. Durante tutti questi giorni sarò vicino a voi unito nella preghiera e nell'Eucaristia. Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa abbia cura di voi. Francesco".
Il Congresso è servito per rinnovare l’impegno missionario e preparare il CAM 4 (IV Congresso Americano Missionario) che si terrà a novembre 2013 a Maracaibo in Venezuela.


Afghanistan

Con l’Afghanistan celebriamo la Festa dell’Indipendenza (1919). Il numero dei cattolici è molto ridotto. Alla mensa domenicale nell’unica cappella del paese, quella dell’ambasciata italiana a Kabul, partecipano normalmente circa 100 persone. Nel 2004 sono arrivate le suore di Madre Teresa per svolgere la loro opera umanitaria.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

17 agosto 2013

99 anni... Suor ANGELA VALLESE

Il 14 novembre 1877 si realizza la prima spedizione missionaria dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Un evento storico non solo per l’Istituto, ma anche per la terra di Uruguay che accolse il primo gruppo delle FMA.
Sr. Angela Vallese presiede la spedizione. Parte all’età di ventitré anni e dimostra subito un carattere umile e forte. Donna di grande fede e d’intenso ardore apostolico, degna della responsabilità che le è affidata: essere la pioniera.
Fu direttrice in Uruguay, a Montevideo – Villa Colón, e poi in Argentina e Cile. Infine, per venticinque anni è visitatrice delle case aperte in Patagonia e nella Terra del Fuoco.
Muore il 17 agosto 1914 a Nizza Monferrato.
L’esperienza missionaria di Madre Angela Vallese si può sintetizzare attorno a tre immagini: il viaggio, la luce sul davanzale, la benedizione per una terra che è diventata il suo paese dell’anima.

Il viaggio: partita dall’Italia alla fine dell’Ottocento, è diventata cittadina della Patagonia e della Terra del Fuoco, dove ha vissuto venticinque anni. Responsabile delle presenze missionarie in quelle terre estreme, ha attraversato centinaia di volte lo Stretto di Magellano, ha percorso a cavallo e a piedi le piane desolate e percosse dal vento. Ha affrontato per dieci volte la traversata transoceanica facendo da ponte tra l’Italia e la missione.

La luce: segno della sua cura attenta per le sorelle e per tutti quanti fossero in difficoltà, Madre Angela poneva sul davanzale della sua finestra un lume per illuminare la notte di chi navigava nello Stretto. Un richiamo di speranza, ma soprattutto un simbolo della sua veglia continua nella preghiera a Dio, unico centro della sua vita dedicata interamente a Lui.

La benedizione: Madre Angela, pur nelle aspre difficoltà, era capace di bene-dire delle persone, degli eventi, dell’intera esperienza missionaria. Tra le parole più care al suo cuore, c’è una frase che esprime la sua appartenenza, il suo amore, la sua benedizione per quelle terre lontane: «Oh, benedetta Terra del Fuoco!».

Per chi volesse saperne di più!

M. Esther Posada, Anna Costa, Piera Cavaglià, La sapienza della vita. Lettere di Maria Domenica Mazzarello, Torino, Società Editrice Internazionale 1994. 
Lettere di Madre Mazzarello a Sr. Angela Vallese: 17, 22, 27, 37, 47, 55.
Fagiolo D’Attilia Miela, Angela della Terra del Fuoco, pioniera delle prime missioni salesiane, Milano, Figlie di San Paolo 2002.

Indonesia e Gabon

Con l’Indonesia festeggiamo l’Indipendenza (1945). La chiesa cattolica è presente in questo grande arcipelago con 8 milioni di fedeli su una popolazione di 230 milioni.
Con il Gabon celebriamo l’Indipendenza (1960). I cattolici ammontano a 711.000, pari al 50% della popolazione.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

16 agosto 2013

Cipro

Con o Cipro celebriamo la Festa nazionale (1960). i cattolici sono 25.000 su 794.000 abitanti.

(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

15 agosto 2013

Con il Bahrein celebriamo l’Indipendenza (1971). La chiesa è presente con 25.000 cattolici tra 1.234.000 abitanti. Negli ultimi anni è stata inaugurata una scuola per 1.600 alunni e una chiesa da 1.300 posti.
Con il Congo festeggiamo l’Indipendenza (1960). La chiesa è presente nell’ex colonia francese con 2.272.315 cattolici, pari al 48,18% dei 4 milioni di abitanti.
Con il Liechtenstein festeggiamo il Giorno dell’Assunzione. I cattolici sono 25.730, pari al 76,0% dei 33.863 abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

Lectio Divina - Año C. 20º Domingo T. O. (Lc 12,49-57). LECTIO DIVINA, Dom XIX, Ciclo ‘C’. (Lc 12, 49-57)

Juan José Bartolomé, sdb

Podría parecernos que el texto evangélico sorprendente por su radicalidad; nos presenta un Jesús desconocido, insólito. No es un Jesús inofensivo al que estemos muy habituados; no coincide con el Jesús al que tanto nos gusta recordar, manso y humilde de corazón. Es un Jesús al que más nos vale no acostumbrarnos, del que mejor sería olvidarse. La dureza con la que se expresa en este evangelio refleja muy bien su persona y su pensamiento, la razón de su vida y las exigencias que imponía a quienes le siguieran.
Ese Jesús que quiere incendiar la tierra y dividir familias, no puede parecer exagerado y hasta incómodo, pero no es fingido; no es el que nosotros ciertamente nos inventaríamos, sino el que en verdad existió. ¿Quién dijo que convivir con él iba a ser simplemente caminar a su lado?

Seguimiento:
49. En aquel tiempo, dijo Jesús a sus discípulos: «He venido a prender fuego a la tierra; y ¡cómo desearía que ya estuviera ardiendo!
50. Tengo que pasar por la prueba de un bautismo y estoy angustiado hasta que se cumpla.
51. ¿Creen que he venido a traer paz a la tierra? Pues no, sino división.
52. Porque de ahora en adelante estarán divididos los cinco miembros de una familia, tres contra do y dos contra tres.
53. El padre contra el hijo, y el hijo contra el padre; la madre contra la hija y la hija contra la madre; la suegra con la nuera y la nuera contra la suegra.»
54. Y a la gente se puso a decirle: «Cuando ven levantarse una nube sobre el poniente dicen enseguida: "Va a llover", y así es.
55. Y si sienten soplar el viento del sur, dicen: "Va a hacer calor", y así sucede.
56. Hipócritas, si sabéis discernir el aspecto de la tierra y del cielo, ¿cómo es que no sabéis discernir el tiempo presente?
57. ¿Por qué no juzgan por ustedes mismos lo que es justo?»

I. LEER: entender lo que dice el texto fijándose en como lo dice
El texto evangélico tiene dos partes, tan diversas por contenido y destinatarios que son, en realidad, dos breves discursos. En el primero (Lc 12,49-53), Jesús confía a sus discípulos su propia intimidad, les desvela la conciencia que de sí mismo tiene y su misión. En el segundo, (Lc 12,54-57) habla al pueblo y le exhorta a discernir cuanto está sucediendo y sacar sus propias conclusiones.
A los cuantos le siguen, Jesús desvela la pasión interna que lo devora, mientras camina hacia su pasión. Recurre a la imagen del fuego, para aludir a la rápida e irresistible fuerza propagadora que desearía tuviera su misión personal: vino a incendiar la tierra y desearía haber ya acabado la tarea.
Ha de sorprender, por su dureza, la confesión de Jesús a sus discípulos: tiene como misión personal incendiar la tierra; y es su deseo más ferviente que arda cuanto antes. El fuego, elemento de rápida propagación y de fatídica potencia, es una imagen certera de la pasión que lo devora por cumplir la tarea encomendada. Igualmente, el bautismo, prueba por inmersión, es figura de una muerte que le va a sobrevenir.
Mientras la comparación del fuego alude a la misión recibida, la prueba del bautismo indica el precio personal que habrá de pagar. Admite que es muy alto, un bautismo de sangre. Saberlo lo llena de angustia, de la que se librará sólo cuando se cumpla. Él les advierte a cuantos le siguen que no saldrán ilesos: seguir a un ‘apasionado’ crea pasión y división, incluso en el seno de las mejores familias.
Probablemente este trágico anuncio refleje la situación de los primeros cristianos cuya fidelidad a Cristo les impuso rupturas profundas con sus familiares.
Jesús invita a cuantos lo observan, como hombres de campo, hábiles en prevenir lo que ha de venir, a usar esa capacidad para descifrar cuanto está ocurriendo en torno a ellos. Les pide que interpreten lo que sucede en el cielo, ‘leyendo’ las nubes y los vientos; y se preparan para el mañana.
Ellos no captaron el sentido oculto y profundo de lo que estaban viviendo: el paso de Dios en sus vidas. ¿De qué les servirá juzgar si no identifican al justo?

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a nuestra vida
Subiendo a Jerusalén, Jesús presintió su trágico final y lo dominó el presentimiento de una muerte violenta, su bautismo de sangre, un desenlace que también les tocaría a cuantos lo acompañaba. Predijo su muerte, sí, y anunció a cuantos le seguían que no saldrían libres.
Sabían e que había venido para que el juicio de Dios, el fuego y la división, se realizara y anhelaba que se cumpliera cuanto antes, aunque no escondía que tendría que pagar un alto precio. Como fue inevitable la intervención divina, también lo fue la reacción del hombre.
Lo invadió la angustia, y esta con las consecuencias de la opción que habría de tomar, subrayando la gravedad del momento y dramatizando su implicación personal. Hasta las relaciones humanas más profundas quedaron marcadas por la decisión frente a su persona: entre los más amados surgirá división y ruptura.
No se puede ser neutral, y lo sabemos. Solidarizarse con Jesús nos impone asumir su destino. Nos maravilla la claridad con la que Jesús predice su fin y la determinación y sus prisas por afrontarlo.
Jesús intimó con sus discípulos; les reveló la misión que guiaba su vida y los deseos que tenía de cumplirla. Quienes le estaban cerca, conocieron su secreto, su pasión. Jesús sigue confiando a sus seguidores sus convicciones más íntimas;
El recompensa la cercanía con sus confidencias, concede mayor familiaridad a quien mejor le sigue. Si intentáramos comprender a Jesús, si entráramos en su radicalismo, quedaríamos, más que cautivados por su personalidad y entenderíamos mejor sus palabras.
Estaba Jesús de viaje hacia Jerusalén; presentía lo que venía; su trágico final no aminoró su valor, sino lo acrecentó; no le preocupó que le pudieran quitar la vida, estaba deseoso de entregarla. Vino con una misión y estaba ansioso por realizarla. Veía el peligro y no medía sus consecuencias; confesó su angustia hasta que todo se cumpliera; sufrió , pero ni el temido final ni su lógica ansiedad le separaron de su misión. Consciente de sus miedos, hizo lo que Dios esperaba que hiciera: Llegó a Jerusalén a encontrarse con su destino.
Jesús no tuvo otra tarea en su vida que dar a conocer a su Dios y acercarlo a todos los que le necesitaban, empezando por los más alejados o desvalidos. Tan urgente era la misión que no toleraba dilaciones ni excusas; tan importante, que no se permitió compartirla con ninguna otra; tan necesaria, que se dedicó por entero a ella.
No nos tiene que parecer extraño que para quien sólo Dios y su Reino eran una buena tarea, no alimentara otros sueños ni soportara otras cosas qué hacer. ¿No es verdad que quien arde de pasión, desea prender el mundo? Si nos comparáramos con ese Cristo, los cristianos hoy nos veríamos mediocres.
Nos hemos convencido de que somos buenos cristianos, porque según nosotros no somos malos. Queremos que Dios siempre nos conceda más y por eso nuestra relación con Él no logra calmarnos ni nos satisface del todo; siempre le regateamos lo que le damos y cualquier cosa que nos pide, nos parece irrenunciable. Vivimos sin pasión por Dios, pero ello no nos libra de las pasiones. Tenemos que parecernos a Jesús. Si damos con su secreto, ¿quién nos negará que podríamos seguir su ejemplo? Tan radical y desinteresado, hombre de una sola pasión; nacido de Dios, vivió para Dios.
Jesús es ejemplo de que se puede ser feliz haciendo el querer de Dios y penar cuando éste no se cumple. Quien le sigue, compartirá su celo: la pasión de su Señor terminará por salpicar su vida. El mismo Jesús lo anunció a cuantos con Él iban hacia Jerusalén. Él manifestó su decisión incondicional de estar con Dios y a favor de su Reino. Es comprensible que no soportara indiferencia o tardanzas en cuantos le querían seguir. No podía haber paz para quienes vivieran apasionados y veían que no se compartía su pasión.
Vivir junto al fuego, quema. Y Jesús quiere ser fuego que incendia, pasión que se extienda. Al hacérselo saber a sus compañeros, Jesús los ha advertido: si acepta que no sientan todavía su mismo celo por Dios, no quiere que le sigan sin sentirse obligados a tenerlo; si soporta mediocres a su lado, es porque confía en que su convivencia los cambiará y espera que prenda en ellos el fuego de su pasión por Dios. Ve inevitable la desunión en las familias de los suyos; más aún, ha venido precisamente a sembrarla. Lo inaudito de su misión queda de manifiesto al situar la discordia en el seno de las propias familias.
Pasión por Dios crea celos y separaciones en el hogar, entre las personas más queridas. Quien no comparte sus sentimientos por Dios no es digno de sus sentimientos. No hay hogar para Jesús, ni deben encontrarlo quienes le siguen, donde no haya celo por Dios. La familia en tiempos de Jesús era el núcleo social más importante, cuando no prácticamente el único, donde el individuo recibía todo cuanto necesitaba para vivir; separarse de ella, suponía además de marginación en la sociedad, una existencia sumamente precaria y algo sospechosa. No le preocupaba demasiado a Jesús que los suyos perdieran sus familias, si encontraban a Dios.
La vida familiar era para Jesús lo más santo de las realidades no sagradas, la menos renunciable de entre las irrenunciables. Poniéndola como ejemplo, quiere que entendamos que nada en la vida, por bueno que sea, es digno de separarnos de Dios; ningún amor, ninguna persona, que podamos amar o que nos ame no puede merecer más atención que Dios.
La pasión por Dios no será compartida con otras pasiones, por legítimas que sean. Cuando Dios entra en la vida de alguien, deja como huella la separación y el distanciamiento: quien se ha enamorado de Dios, no tiene tiempo ni ganas para cultivar otros amores.
Jesús es exigente con quienes le seguimos. Hoy nos repite su advertencia: si no queremos perderle, si no nos queremos perder, compartamos con Él su amor por Dios y por los hermanos. Si Dios nos importara como a le importó a Él, dejarán de importarnos muchas cosas. Seguir a Jesús, el hombre que vivió la pasión hasta sus últimas consecuencias nos hará dejar muchos apegos, personas, situaciones que nos impiden dedicarnos a Él y a los suyo.
El discípulo debe saber que quien opta por Jesús se ha de separar, y no raramente con violencia, de sus seres queridos. Quien renunció a su familia para predicar el Reino de Dios no consiente ser detenido por los lazos familiares.
La pasión de Jesús por Dios y su Reino no permite medianías. ¿No será mejor vivir afectado por Jesús apasionado que andar en búsqueda de pasatiempo y diversiones que agrandan nuestro vacío interior?
De qué nos sirve predecir la lluvia que viene o el inminente calor, si luego no logramos intuir lo que Dios está produciendo en nuestro interior ni a nuestro alrededor. ¿De qué nos sirve indagar lo que va a pasar, si no logramos reconocer lo que nos está pasando?
No nos ayuda prevenir el futuro si no se ilumina nuestro presente. Mientras Jesús esté empeñado en que “arda la tierra”, no se puede uno dedicar a predecir cómo estará el tiempo mañana. Es posible que estemos perdiendo lo mejor, Dios y su Reino, preocupándonos por lo venidero, por las nubes y por el sol.

III. ORAMOS nuestra vida desde este texto
Padre Dios, haznos vivir la pasión que vivió Cristo Jesús por la extensión de tu Reino. Remueve nuestro yo más profundo. Ve aquello que hay en nuestro interior y saca de nuestras cenizas nuevamente el fuego que necesita este mundo para encontrarle sentido a la vida, para hacer posible el amor a Ti, y a nuestros hermanos. Danos la fuerza para atraer, para convocar, para animar, que nadie se vaya de nosotros sin sentirte vivo y presente. Danos valor para que donde haya frialdad, resistencia y aversión llevemos la llama de tu amor y nos apasione tu Reino cada día más. ¡Así sea!

14 agosto 2013

«ANDATE…»

Sorelle tutte: vorrei condividere un po’ l’esperienza che il Signore, insieme alle Sorelle, mi ha permesso di vivere a Rio de Janeiro nella Giornata Mondiale della Gioventù.
Ho sentito come se fosse un altro invio missionario ma questa volta insieme ai giovani del mondo intero!!! Tutto nella GMG parlava di missione e questo faceva più grande il mio cuore missionario e mi faceva ricordare tutte voi SORELLE MISSIONARIE che in ogni parte del mondo vivete la vocazione salesiana missionaria fino alla fine!
Non posso negare che all’inizio fu un po’ difficile: non conoscevo nessuno, non potevo quasi parlare … ma pian piano con il linguaggio dell’amore, le Sorelle me hanno fatto vedere che (come dice Madre Yvonne Reungoat) il mondo è la nostra casa e i giovani sono gli stessi in tutto il mondo … Ho imparato da loro la semplicità della vita e di più, che non è molto importante la lingua per comunicare Dio e vivere il suo mandato missionario.
Lì, nella GMG, eravamo Chiesa, eravamo Istituto, certamente perché ci unisce il caro Papa Francesco, «il Papa del popolo» come l’hanno chiamato i giovani e a noi il Carisma, perché senza dubbio sta vivo in tutto il mondo!
Grazie a Dio, obrigada Deus per questa bella esperienza!
Sr. Luz Inés Valdés (missionaria a Manaus, Brasile)


Missionarie Cambogia



4th August 2013, we to sisters, Sr. Dory Helena from Colombia who is working her in Cambodia for 13 years I Sr. B lanchi Sambrea celebrated our Silver Jubilee of Religious life. We thanked God who has chosen us to His instrument of His love for the poor. We are very happy to work as missionary in Cambodia where we evangelize with life our life and deeds. We also work to promote local and Holy vocations. Keep them in your prayer.





“Conservare la speranza; lasciarsi sorprendere da Dio; vivere nella gioia”

Carissime sorelle,
Buona continuazione del mese di agosto!
Abbiamo ancora il cuore colmo di gioia per la Giornata Mondiale della Gioventù, dove tanti giovani dei cinque Continenti hanno ricevuto il mandato da Papa Francesco di andare in tutto il mondo a portare Gesù a tutti i popoli. È stata una Giornata veramente MISSIONARIA, ci siamo rallegrate molto e sentiamo anche noi l’impegno di aiutare i giovani ad essere missionari, evangelizzatori di altri giovani.
Conserviamo viva nel cuore anche la gioia della celebrazione del 5 agosto, in cui abbiamo rinnovato il nostro patto di fedeltà al Signore che ci ha chiamate, ci ha radunate e inviate ad annunciare la Buona Notizia del suo amore ai giovani, ai poveri, agli ultimi, nella missione salesiana di ogni giorno.
Siamo ormai alla vigilia del compleanno di Don Bosco: il Santo dei giovani, dei semplici, dei più bisognosi, il Santo delle “periferie”. Don Bosco, sacerdote e missionario della gioia e della speranza, ci ottenga dal Signore il dono di essere per gli altri, di vivere atteggiamenti di accoglienza e di misericordia, di amore vero e di gioia che rendano Dio vicino alla gente. Il Signore ci conceda la grazia di essere ovunque missionarie della misericordia e della speranza perché Lui è la nostra speranza.
Le nostre care Neo-missionarie 2012/2013 sono partite tutte per l’apprendimento della lingua, alcune sono già nella propria Ispettoria di destinazione. Sono contente, desiderose di imparare bene e andare in missione. Questo è molto bello perché hanno un forte desiderio di raggiungere la missione a cui sono state destinate, però sono coscienti della necessità di imparare bene la lingua per andare incontro alla gente con maggior sicurezza e inserirsi nella nuova cultura .
Abbiamo anche la gioia di accogliere in questo periodo le 14 Neo-missionarie 2013/2014. Un gruppo di loro è già arrivato e ha cominciato il corso intensivo di lingua italiana. Speriamo che arrivino al più presto anche le altre. Verranno anche 6 missionarie per il corso di formazione permanente all’UPS, da settembre a dicembre 2013. Ci rallegriamo per questo dinamismo missionario che ha visibilità e concretezza nell’invio alla missione ad gentes e l’aggiornamento di quelle sorelle che già sono in missione.
Ringraziamo le loro Ispettorie di origine nella certezza che il Signore non si lascia vincere in generosità, e perciò invierà tante altre buone vocazioni.
Chiedo una preghiera per tutte quelle che sono partite e per quelle che stanno arrivando, perché possano vivere una bella esperienza di vita, di fraternità e di apertura alla realtà internazionale e interculturale. Possano sentirsi in famiglia e, insieme alla comunità dove si trovano, “essere Casa che evangelizza”.
Riporto tre espressioni di Papa Francesco, da lui sottolineate nella sua visita ad Aparecida, in Brasile. Il Papa invita tutti a: “Conservare la speranza; lasciarsi sorprendere da Dio; vivere nella gioia”.
Sia questo l’impegno di ogni giorno anche per noi, per essere FMA con cuore di discepole- missionarie nel quotidiano.
In comunione e in reciproca preghiera, un forte e fraterno abbraccio.

                                               Sr. Alaíde Deretti
                                        Consigliera per la Missione ad/inter gentes