31 ottobre 2012

Sinodo: l'abbraccio al mondo nel Messaggio finale


Quali sfide per la nuova evangelizzazione, continente per continente? Alcune indicazioni nel testo conclusivo indirizzato dai Padri sinodali a tutto il popolo di Dio

Con la Messa solenne presieduta dal Papa in San Pietro si è chiuso il 28 ottobre in Vaticano il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Che cosa lascia in eredità questo evento alla Chiesa di tutto il mondo? I 260 vescovi partecipanti hanno provato a riassumerlo nel Messaggio al popolo di Dio che hanno diffuso a conclusione dei lavori. Un testo molto articolato e ricco di spunti che vale la pena di leggere per intero sul sito della Santa Sede (http://www.vatican.va/roman_curia).
A noi piace qui - invece - rilanciare in maniera particolare une dei paragrafi di questo Messaggio, il numero 13, che in uno sguardo di insieme affronta in poche righe per ciascun continente alcune delle principali sfide della nuova evangelizzazione. Lo proponiamo anche come un esercizio di comunione, che suggerisce bene come l'impegno a testimoniare il Vangelo a chi ci sta più vicino sia inscindibile da un cuore grande capace di abbracciare tutto il mondo.

13. Una parola alle Chiese delle diverse regioni del mondo

Lo sguardo dei Vescovi riuniti in Assemblea sinodale abbraccia tutte le comunità ecclesiali diffuse nel mondo. Uno sguardo che vuole essere unitario, perché unica è la chiamata all’incontro con Cristo, ma non dimentica le diversità. 
Una considerazione tutta particolare, colma di affetto fraterno e di gratitudine, i Vescovi riuniti nel Sinodo riservano a voi cristiani delle Chiese Orientali Cattoliche, quelle eredi della prima diffusione del Vangelo, esperienza custodita con amore e fedeltà, e quelle presenti nell’Est dell’Europa. Oggi il Vangelo si ripropone tra voi come nuova evangelizzazione tramite la vita liturgica, la catechesi, la preghiera familiare quotidiana, il digiuno, la solidarietà tra le famiglie, la partecipazione dei laici alla vita delle comunità e al dialogo con la società. In non pochi contesti le vostre Chiese sono in mezzo a prove e tribolazioni, in cui testimoniano la partecipazione alla croce di Cristo; alcuni fedeli sono costretti all’emigrazione e, mantenendo viva l’appartenenza alle proprie comunità di origine, possono dare il proprio contributo alla cura pastorale e all’opera di evangelizzazione nei paesi che li hanno accolti. Il Signore continui a benedire la vostra fedeltà e sul vostro futuro si staglino orizzonti di serena confessione e pratica della fede in una condizione di pace e di libertà religiosa.
Guardiamo a voi cristiani, uomini e donne, che vivete nei paesi dell’Africa e vi diciamo la nostra gratitudine per la testimonianza che offrite al Vangelo spesso in situazioni di vita umanamente difficili. Vi esortiamo a ridare slancio all’evangelizzazione ricevuta in tempi ancora recenti, a edificarvi come Chiesa « famiglia di Dio », a rafforzare l’identità della famiglia, a sostenere l’impegno dei sacerdoti e dei catechisti, specialmente nelle piccole comunità cristiane. Si afferma inoltre l’esigenza di sviluppare l’incontro del Vangelo con le antiche e le nuove culture. Un’attesa e un richiamo forte si rivolge al mondo della politica e ai governi dei diversi paesi dell’Africa, perché, nella collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, siano promossi i diritti umani fondamentali e il continente sia liberato dalle violenze e dai conflitti che ancora lo tormentano.
I Vescovi dell’Assemblea sinodale invitano voi cristiani dell’America del nord a rispondere con gioia alla chiamata alla nuova evangelizzazione, mentre guardano con riconoscenza a come nella loro storia ancora giovane le vostre comunità cristiane abbiano dato frutti generosi di fede, di carità e di missione. Occorre ora riconoscere che molte espressioni della cultura corrente nei paesi del vostro mondo sono oggi lontane dal Vangelo. Si impone un invito alla conversione, da cui nasce un impegno che non vi pone fuori dalle vostre culture, ma nel loro mezzo per offrire a tutti la luce della fede e la forza della vita. Mentre accogliete nelle vostre generose terre nuove popolazioni di immigrati e rifugiati, siate disposti anche ad aprire le porte delle vostre case alla fede. Fedeli agli impegni presi nell’Assemblea sinodale per l’America, siate solidali con l’America Latina nella permanente evangelizzazione del comune continente.
Lo stesso sentimento di gratitudine l’Assemblea del Sinodo rivolge alle Chiese dell’America Latina e dei Caraibi. Colpisce in particolare come lungo i secoli si siano sviluppate nei vostri paesi forme di pietà popolare, ancora radicate nel cuore di tanti, di servizio della carità e di dialogo con le culture. Ora, di fronte alle molte sfide del presente, in primo luogo la povertà e la violenza, la Chiesa in America Latina e nei Caraibi è esortata a vivere in uno stato permanente di missione, annunciando il Vangelo con speranza e con gioia, formando comunità di veri discepoli missionari di Gesù Cristo, mostrando nell’impegno dei suoi figli come il Vangelo possa essere sorgente di una nuova società giusta e fraterna. Anche il pluralismo religioso interroga le vostre Chiese ed esige un rinnovato annuncio del Vangelo.
Anche a voi cristiani dell’Asia sentiamo di offrire una parola di incoraggiamento e di esortazione. Piccola minoranza nel continente che raccoglie in sé quasi due terzi della popolazione mondiale, la vostra presenza è un seme fecondo, affidato alla potenza dello Spirito, che cresce nel dialogo con le diverse culture, con le antiche religioni, con i tanti poveri. Anche se spesso posta ai margini della società, in diversi luoghi anche perseguitata, la Chiesa dell’Asia, con la sua salda fede, è una presenza preziosa del Vangelo di Cristo che annuncia giustizia, vita e armonia. Cristiani di Asia, sentite la fraterna vicinanza dei cristiani degli altri paesi del mondo, i quali non possono dimenticare che sul vostro continente, nella Terra Santa, Gesù è nato, è vissuto, è morto ed è risorto.
Una parola di riconoscenza e di speranza i Vescovi rivolgono alle Chiese del continente europeo, oggi in parte segnato da una forte secolarizzazione, a volte anche aggressiva, e in parte ancora ferito dai lunghi decenni di potere di ideologie nemiche di Dio e dell’uomo. La riconoscenza è verso un passato, ma anche un presente, in cui il Vangelo ha creato in Europa consapevolezze ed esperienze di fede singolari e decisive per l’evangelizzazione dell’intero mondo, spesso traboccanti di santità: ricchezza del pensiero teologico, varietà di espressioni carismatiche, forme le più varie di servizio della carità verso i poveri, profonde esperienze contemplative, creazione di una cultura umanistica che ha contribuito a dare volto alla dignità della persona e alla costruzione del bene comune. Le difficoltà del presente non vi abbattano, cari cristiani europei: siano invece percepite come una sfida da superare e un’occasione per un annuncio più gioioso e più vivo di Cristo e del suo Vangelo di vita.
I Vescovi dell’Assemblea sinodale salutano infine i popoli dell’Oceania, che vivono sotto la protezione della Croce australe, e li ringraziano per la loro testimonianza al Vangelo di Gesù. La nostra preghiera per voi è perché, come la donna samaritana al pozzo, anche voi sentiate viva la sete di una vita nuova e possiate ascoltare la parola di Gesù che dice: «Se tu conoscessi il dono di Dio!» (Gv 4,10). Sentite ancora l’impegno a predicare il Vangelo e a far conoscere Gesù nel mondo di oggi. Vi esortiamo ad incontrarlo nella vostra vita quotidiana, ad ascoltare lui e a scoprire, mediante la preghiera e la meditazione, la grazia di poter dire: «Sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42).

30 ottobre 2012

"Para evangelizar hay que compartir la vida"

La Hermana Denia Cubero Brenes, ha trabajado por 20 años en el campo de la educación en los pueblos de África Ecuatorial.
El testimonio de esta costarricense, Hija de María Auxiliadora y oriunda de Piedades Sur de San Ramón de Alajuela, es muestra del aporte que nuestra Iglesia hace a la extensión del Reino de Dios en territorios donde el Evangelio es poco o nada conocido.
En este domingo mundial de las misiones, la Hermana Denia encarna el modelo de misionero que, con nuestra oración y aporte económico, debemos acompañar.
Ana Cecilia Espinoza C. 
aespinoza@elecocatolico.org


¿Qué la motivó a la vida religiosa?
Desde pequeña quise entregarme al Señor. Aunque no sabía que significaba ser monja, en el fondo de mi ser yo sentía que sí podía convertirme en una religiosa. Tuve la oportunidad de conocer a las hermanas salesianas y su carisma, entonces a pesar de que no me sentía digna, Dios me fue dando su gracia. A los quince años, sentí con una mayor fuerza ese llamado a la vocación religiosa. Se trata de un amor profundo a Jesús, es algo que no puedo explicar, pero siempre he dicho que es como el amor que nace entre una pareja.

¿Entonces pensó que haría misión fuera del país?
Las hermanas salesianas somos misioneras desde el origen de la congregación por nuestras fundadores, pero no es exigido que una sea misionera, sino que cada quien va descubriendo el objetivo de su llamado, en mi caso a la vida misionera. Además, uno siente la necesidad de llevar a Jesús a otras personas de países donde no la conocen.

¿En cuáles países ha llevado a cabo su servicio? 
Hace veinte años llegué a Costa de Marfil en áfrica Central, donde estuve por un tiempo, luego en Gabón del áfrica Ecuatorial por quince años y desde hace cuatro estoy en Camerún. Estamos en cuatro parroquias, y somos seis hermanas de diferentes nacionalidades. Ahora estoy de visita en mi país, con mi congregación y también con mi familia, pues también son muy importantes en mi vida.

¿A qué realidades se enfrenta cada día?
El inicio fue muy duro, pero luego la gente sabe que estamos por un servicio social y de salud. Al principio les da miedo, porque piensan que uno viene a imponerles creencias y a cambiarles la religión. Pero nosotras les hacemos ver que llegamos a compartir, la vida de ellos. Es decir, nos adaptamos a ellos, participamos de su tradiciones, aprendemos a amar las cosas bonitas de su cultura, porque son pueblos de mucha historia. La Iglesia no es perfecta, ahora hemos entendido que para evangelizar primero hay que compartir la vida, para que acepten vivir nuestra vida como decía la Madre Teresa de Calcuta: "Enseñarles a pescar y no darles el pescado sin ningún esfuerzo", el reto más grande es que ellos aprendan a considerarse como todas las otras personas, con su dignidad y capacidad que Dios les ha dado.

¿En qué campos educativos incursionan?
Estamos trabajando a nivel de escuela, con un centro profesional, donde los jóvenes de diferentes edades y religiones llevan cursos de informática, turismo, cocina, con el objetivo de que puedan encontrar empleo, y por supuesto, lo más importante, la evangelización y la catequesis.

¿La mies es mucha y los obreros siguen siendo pocos?
Hacen faltan muchos misioneros en estos países. En la Iglesia se habla de que todos somos misioneros porque debemos llevar la Buena Noticia del Evangelio, y que transmitimos con nuestra vida a Jesús, pero hay lugares donde aún el Evangelio que nos trajo el Hijo de Dios no se conoce.

¿Ha estado en riesgo su vida?
La Iglesia desde el origen siempre denuncia lo que no está bien, lo que está en contra de la humanidad, por lo tanto siempre viviremos en persecución. En mi experiencia he visto mucha situación de corrupción e injusticas por una mala administración de las riquezas del país. De manera que tratamos de hacer denuncia a través de la concientización de la realidad que se vive en el país y eso crea problemas. En general los gobiernos aceptan nuestra presencia, porque saben que estamos ahí para ayudar al pueblo, pero hay situaciones políticas difíciles que en ciertos momentos nos producen miedo, pero sabemos que el Señor nos acompaña y mucha gente nos quiere y acepta.

Eco Católico - una visión cristiana del mundo

Dossier Statistico Immigrazione 2012

Immigrati e lavoro in Italia


Hanno superato quota 5 milioni gli immigrati regolarmente presenti in Italia, di cui 1,3 milioni comunitari. La stima, aggiornata alla fine del 2011, e’ contenuta nel Dossier Caritas-Migrantes presentato oggi.

RISPETTO AL 2010 – Rispetto al 2010, comunque, sono aumentati solo di 43 mila unita’. La religione prevalente e’ quella cristiana. La maggior parte (63,4%) risiede al Nord, il 23,8% al Centro e solo il 12,8% al Sud. I permessi di soggiorno scaduti nel corso dell’anno e non rinnovati sono stati 262.688. I lavoratori stranieri occupati in Italia sono circa 2,5 milioni e rappresentano un decimo dell’occupazione totale. Lo stima il Dossier Caritas-Migrantes 2012, sottolineando che anche nel 2011 hanno perso il lavoro piu’ gli immigrati che gli italiani (-170.000 contro -75.000).Allo stesso tempo, tra gli stranieri sono aumentati sia i disoccupati (310 mila) che il tasso di disoccupazione (12,1%, pari al 4% in piu’ rispetto alla media degli italiani), mentre il tasso di attività e’ sceso al 70,9% (9,5% piu’ che tra gli italiani).

L’ACCOGLIENZA – E’ fragile il sistema italiano di accoglienza dei profughi e richiedenti asilo: lo denuncia il Dossier Statistico Immigrazione 2012 di Caritas e Migrantes, presentato oggi, che ricorda come l’Italia sia una terra d’asilo, visto che dal dopoguerra a oggi le domande di accoglienza al nostro Paese sono state piu’ di mezzo milione. Nel 2011 le domande sono state presentate in prevalenza da persone provenienti dall’Europa dell’Est e dal martoriato continente africano; quasi un terzo (30%) delle richieste prese in esame (24.150) è stato definito positivamente. In Italia – informa il dossier – per far fronte alle esigenze di accoglienza, si dispone di 3 mila posti che fanno capo al Servizio per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) in collaborazione con Enti locali, Regioni e mondo sociale, e di 2 mila posti assicurati dai Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), mentre e’ di altri 3 mila posti la capienza dei Centri di accoglienza per immigrati.

LE REGIONI E LA PROTEZIONE CIVILE – Oltre a questa rete di servizi gia’ esistente, le Regioni – con il coordinamento della Protezione Civile – hanno dichiarato la disponibilita’ di altri 50 mila posti, di cui la meta’ e’ stata effettivamente utilizzata per accogliere le persone in fuga dal Nord Africa, che sono state in tutto circa 60 mila tra Tunisia e Libia. Manca dunque, sottolinea il rapporto, un sistema unificato e stabile, basato sul coordinamento di tutte le strutture coinvolte, anche per riuscire a garantire una maggiore attenzione alle categorie piu’ vulnerabili, a partire dai minori. In effetti, nel 2011, dice il dossier, ben 7.431 persone (numero peraltro sottostimato) sono rimaste in lista d’attesa per accedere allo Sprar e poter fruire cosi’ di un percorso di accoglienza. (ANSA)

29 ottobre 2012

Papa: per i migranti "pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri"


"Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza" il tema scelto da Benedetto XVI per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. La Chiesa deve evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l'autentica integrazione, lo Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori, l'immigrato abbia "attenzione" verso i valori che offre la società in cui si inserisce.

Città del Vaticano - Gli emigranti "portano con sé sentimenti di fiducia e di speranza che animano e confortano la ricerca di migliori opportunità di vita" e nei loro confronti la Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano "sono chiamate ad evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l'autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell'altro, generosi nell'assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri".
Lo scrive Benedetto XVI nel suo messaggio per la 99ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato - che sarà celebrata domenica 13 gennaio 2013 - pubblicato oggi e che ha per tema "Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza".
Al giorno d'oggi, osserva il Papa, i flussi migratori coinvolgono milioni di persone. Si tratta, come ha evidenziato il card. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, citando il Rapporto Mondiale del 2011 sulle Migrazioni dell'Organizzazione mondiale per le migrazioni (OIM) di circa un miliardo di esseri umani, cioè un settimo della popolazione globale,
Per chi migra, scrive Benedetto XVI, "fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d'origine".
Il documento papale esamina l'approccio ai migranti sia dal punto di vista ecclesiale che da quello nazionale e internazionale, entrambi basati sulla fondamentale premessa che "ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione".
"Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici. Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi". "Dall'altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socioculturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona".
D'altro canto, se "ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana", "il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono".
E se il diritto della persona ad emigrare è iscritto tra i diritti umani fondamentali, "nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra", come già ebbe a dire Giovanni Paolo II.
"A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell'immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini. Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all'inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all'adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici. Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico".
"Alle adeguate normative - conclude il Papa - deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze. In tutto ciò è importante rafforzare e sviluppare i rapporti di intesa e di cooperazione tra realtà ecclesiali e istituzionali che sono a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. Nella visione cristiana, l'impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo» (Gaudium et spes, 41)".

28 ottobre 2012

II Convegno dell’Infanzia Missionaria – Ispettoria TIN

Nei giorni 12, 13 e 14 del mese di ottobre 2012, presso la scuola “Maria Auxiliadora” a Dili -Comoro, si è realizzato il II Congresso dell’Infanzia Missionaria a livello Ispettoriale.
Vi hanno partecipato i gruppi attivi di sette comunità, un totale di 280 bambini/e assieme alle 7 rispettive FMA animatrici. Per motivo di distanza geografica non è stata possible la partecipazione delle due Comunità dell’Indonesia.
Monsignor Rodrigo Bilbão, rappresentante della Nunziatura Apostolica in Dili, ha svolto il tema proposto: ANNO DELLA FEDE e NUOVA EVANGELIZZAZIONE. Come l’Infanzia missionaria puó tradurre in pratica questi due appelli ecclesiali. Oltre la presentazione del relatore, si é adottata la dinamica di riflessione, lavori in gruppo, assemblee plenarie per esporre conclusioni e sintesi finali con propositi concreti da praticare durante l’Anno della Fede e nel quotidiano della vita cristiana. Il rosario missionario nel 2º giorno è stato un invito perché la Vergine Ausiliatrice fosse presente al Convegno e aiutasse i piccoli partecipanti a rivolgere la loro attenzione alla realtá dei cinque continenti.
Il terzo e ultimo giorno, l’Eucarisita di conclusione del Convegno é stata celebrata dal Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, di Timor-Leste, P. Mouzinho Pereira Lopes, il quale spiegando il Vangelo del giorno (Mc. 10, 17-30) e le parole del Papa Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale ha ribadito che anche ogni membro dell’Infanzia Missionaria è Chiamato a far risplendere la Parola della veritá.
Con la lettura degli “impegni” assunti, i piccoli missionari hanno concluso il II Convegno.
Durante i tre giorni si é creato fra loro un clima di amicizia e una comunione di ideali che certamente si prolungherá, nonostante la distanza fra una missione e l’altra, ma che sará una testimonianza di autentico spirito missionario.
Dili /Comoro – Ottobre 2012
Sr. Gianna
Coordinatrice ispettoriale Missione ad gentes (Timor-Indonesia)

26 ottobre 2012

AMERICA/ECUADOR - Ecuador in festa per la prossima beatificazione della missionaria suor Maria Troncatti

Macas - Il 24 novembre la città di Macas, capitale della provincia ecuadoregna di Morona Santiago, ospiterà un evento storico: il Cardinale Angelo Amato, SDB, Prefetto della Congregazione per i Santi, per mandato di Papa Benedetto XVI presiederà la cerimonia di beatificazione di suor Maria Troncatti, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, missionaria italiana che ha trascorso gran parte della sua vita in Ecuador. Secondo le informazioni pervenute all'Agenzia Fides, per la circostanza arriveranno nel paese latinoamericano, oltre ai Superiori Salesiani di America Latina ed Ecuador, alti rappresentanti della famiglia salesiana e della Chiesa cattolica.
In una cerimonia assai rara in Ecuador, suor Maria Troncatti, missionaria "a tempo pieno" nella parte orientale del paese, sarà quindi proclamata Beata. Le città di Macas, Mendez e Sucúa devono tutto quello che oggi sono ai Salesiani: i missionari di San Giovanni Bosco infatti hanno posto le basi per la formazione dei primi coloni, compresa l'educazione del popolo Shuar.
Maria Troncatti nacque a Brescia (Italia) nel 1883 e nel 1922 partì per le missioni salesiane dell'Ecuador orientale. Morì in un incidente aereo, a pochi isolati dall'ospedale da lei fondato a Sucúa, il 25 agosto 1969. Aveva 86 anni, di cui 65 trascorsi nella consacrazione a Dio. Suor Maria aveva studiato infermieristica in Italia e aveva prestato servizio durante la guerra. Poi in Ecuador si è dedicata a guarire le ferite e a fare piccoli interventi chirurgici, in un momento in cui i medici erano scarsi e alcune tecniche ancora sconosciute. Con la sua sensibilità ha impedito conflitti tra i coloni e la gente del popolo Shuar. Conquistò tutti con la sua serenità, umiltà e mansuetudine. Chunchi, El Pan, Mendez, Sucúa, Macas, Sevilla Don Bosco e Guayaquil ricordano la donna saggia e santa, infermiera preparata e premurosa, a cui ricorrere per chiedere consiglio, una missionaria tutta dedita al benessere degli altri.

http://www.fides.org/

Sr. Maria Troncatti


23 ottobre 2012

L’Anno della fede in Mongolia: ripartire dal Catechismo (di Joseph Yun Li-sun)

Il vescovo di Ulaanbaatar, mons. Wenceslao Padilla, apre l’incontro dei catechisti del Paese: “E’ un anno fondamentale per tutti noi. Portiamo nelle parrocchie questa sfida per rilanciare la nostra missione”.
Ulaanbaatar - Per la giovanissima Chiesa della Mongolia, l'Anno della Fede "è una sfida e un invito a ripartire dal catechismo. Ecco perché oggi più che mai i formatori cattolici sono fondamentali". Con queste parole mons. Wenceslao Padilla, vescovo di Ulaanbaatar, ha aperto il corso mensile di formazione per i catechisti che si è svolto nella capitale mongola.
La prima missione mongola venne aperta nel 1992 proprio da mons. Padilla, che arrivò a Ulaanbaatar con due confratelli della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria. Oggi sono 64 i missionari che, provenienti da 18 Paesi, lavorano con la comunità locale: appartengono a 9 congregazioni religiose e alla diocesi coreana di Daejeon. Nel frattempo, i cattolici hanno raggiunto le 415 unità.
Al momento, i catechisti sono 16 e lavorano sia a Ulaanbaatar che a Shuwuu: in totale sono 3 le parrocchie diocesane del Paese. A coordinarli sarà la signora Rufina, che ha studiato a Roma per 3 anni, presentata alla sua squadra lo scorso 9 ottobre. Fino a oggi, l'impegno principale del gruppo è stato quello di tradurre dall'inglese al mongolo i testi fondamentali per l'educazione cattolica. Ora, le cose stanno per cambiare.
Dopo un momento di confronto e di dialogo sulla propria missione, infatti, i catechisti si sono riuniti per ascoltare il vescovo. Secondo mons. Padilla "l'Anno della Fede e il 50esimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II ci chiamano a una nuova missione, a una rinnovata spinta evangelizzatrice. Insieme a queste ricorrenze, la Mongolia festeggia i primi 20 anni della propria esistenza: un sentiero difficile ma anche gratificante".
"Ora - ha concluso il presule - dobbiamo portare nelle nostre parrocchie il programma del terzo anno pastorale: Seguitemi in una via di santità. Ed è compito vostro fare in modo che il messaggio arrivi a tutti e venga compreso per quello che è: un rilancio della fede e della missione della Chiesa in Mongolia". 


Le FMA - Sr. Hanako e Sr. Agnes - con i bambini e giovani di Darkhan – Mongolia
 



22 ottobre 2012

L'Ad Gentes rilanciato da Paolo VI quindici anni dopo


Quanti pensano che il mondo sia talmente cambiato, tanto che la "missio ad gentes" non ha più senso, sono sconfessati dagli ultimi tre Papi dal 1965 ad oggi
di padre Piero Gheddo, del Pime

ROMA - Il chiaro orientamento ad gentes del Vaticano II è ripreso e confermato dal magistero ecclesiale post-conciliare fino ad oggi. Quanti pensano o anche affermano che il mondo è talmente cambiato nell’ultimo mezzo secolo, che la “missio ad gentes” non ha più senso, sono sconfessati dai tre ultimi Papi dal 1965 ad oggi.
Il Concilio ha portato grandi e provvidenziali novità nella Chiesa, ad esempio il dialogo all'interno della Chiesa e poi verso le religioni non cristiane; la “collegialità”  nella direzione delle istituzioni ecclesiali; l'apertura verso il mondo e i valori laici; la "medicina della misericordia", come diceva Papa Giovanni, che prevaleva sulla condanna, la protesta, la denunzia; l'inculturazione della Liturgia nei vari popoli, lingue e culture, ecc.
L'entusiasmo del periodo conciliare veniva da queste e da altre novità. Pochi anni dopo è venuto il travaglio della "contestazione" sessantottina. Sono crollate le certezze, ci siamo divisi anche per motivi politici come s'è detto, ma soprattutto sul concetto stesso di missione alle genti, mentre non pochi missionari andavano in crisi e le vocazioni missionarie diminuivano. Non si sapeva più cos'era la missione, si moltiplicavano i pareri e le ipotesi, mentre la fuga in avanti (o indietro?) di una certa teologia scardinava l'impianto di verità su cui si basa la fede.
Tutto questo non si può certo attribuire al Concilio, che ha dato alla Chiesa una spinta missionaria molto forte. Persino nel primo documento approvato sulla Liturgia ("Sacrosantum Concilium") si dice che il Concilio "si propone di... rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa" (Proemio); e che la Chiesa stessa è "come segno innalzato sui popoli, sotto il quale i dispersi figli di Dio possano raccogliersi, finchè si faccia un solo ovile e un solo pastore" (n. 2). La Costituzione sulla Chiesa chiama Cristo "luce dei popoli" (LG, 1) e la Chiesa "sacramento universale di salvezza" (LG, 48), definizione ripresa dall'Ad Gentes (n. 1). L'afflato missionario del Concilio è chiaro e forte.
Ma dal Concilio ad oggi la sensibilità per la “missio ad gentes” nelle Chiese locali (certo in quella italiana) è diminuita molto, nonostante le solenni affermazioni di Paolo VI nella "Evangelii Nuntiandi": “La Chiesa mantiene vivo il suo slancio missionario e vuole altresì intensificarlo nel nostro momento storico. Essa si sente responsabile di fronte a popoli interi. Non ha riposo fin quando non abbia fatto del suo meglio per proclamare la buona novella di Gesù Cristo. Prepara sempre nuove generazioni di Apostoli. Lo constatiamo con gioia, nel momento in cui non mancano di quelli che pensano e anche dicono che l'ardore e lo slancio apostolico si sono esauriti e che l'epoca delle missioni è ormai tramontata. Il Sinodo ha risposto che l'annunzio missionario non si inaridisce e che la Chiesa sarà sempre tesa verso il suo adempimento” (n. 53).
"Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI (8 dicembre 1975) e "Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II (7 dicembre 1990) sono ritenute le encicliche pastoralmente più significative dei due Pontefici, in continuazione al decreto "Ad Gentes". Scritte a 15 anni di distanza l'una dall'altra, hanno diverse impostazioni e orizzonti; ma sono unite nel dichiarare che la missione della Chiesa è proclamare, annunziare, testimoniare all'umanità la salvezza in Cristo; un'opera di natura religiosa, che porta gli uomini ad incontrare il Figlio di Dio fatto uomo per salvarci. “Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa” (EN, 14).
La EN è il risultato del dibattito al Sinodo episcopale sull'evangelizzazione (Roma, ottobre 1974), durante il quale erano emerse due tendenze: una quasi identificava l'evangelizzazione con la liberazione dei poveri e dei popoli oppressi; per l'altra il Vangelo converte al modello di Cristo, cioè orienta l'uomo a Dio e all'amore del prossimo, e con questo dà il massimo contributo per eliminare le ingiustizie. Il Sinodo non era riuscito a pubblicare un testo unitario e rimandava tutto alla mediazione di Paolo VI.
La EN afferma che l'evangelizzazione ha una finalità specificamente religiosa: liberare l'uomo dal peccato, riconciliarlo con Dio: “La Chiesa collega ma non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo, perchè sa per rivelazione, per esperienza storica e per riflessione di fede, che non ogni nozione di liberazione è necessariamente coerente con una visione evangelica dell'uomo; sa che non basta instaurare la liberazione, creare il benessere e lo sviluppo, perchè venga il Regno di Dio" (EN, 35).
Paolo VI aggiungeva (EN, 36): "La Chiesa reputa certamente importante ed urgente edificare strutture più umane e più giuste... ma è cosciente che le migliori strutture diventano presto inumane se le inclinazioni del cuore dell'uomo non sono risanate, se non c'è la conversione del cuore e della mente di coloro che vivono in queste strutture e le dominano".
Negli anni '70 era forte, anche nel mondo cattolico e missionario, l'idealizzazione dei regimi e movimenti di "liberazione dei poveri", nati dall'"analisi scientifica" del marxismo, spesso dichiaratamente comunisti. Certa stampa cattolica e missionaria ha attraversato un periodo di ubriacatura ideologica per la Cuba di Fidel Castro, il Vietnam di Ho Chi Minh, la Cina di Mao, i Khmer rossi della Cambogia, le "guerriglie di liberazione" delle colonie portoghesi in Africa, i "sandinisti" del Nicaragua, ecc.
Ero presente come giornalista all’assemblea dei vescovi latino-americani  del Celam a Puebla in Messico (gennaio-febbraio 1979) e ogni giorno frequentavo le conferenze stampa dei vescovi e, poco distante, dei “teologi della liberazione”. Proprio in quel gennaio la Russia aveva invaso e occupato l’Afghanistan. Un giornalista chiede se condannano anche quel colonialismo. I rappresentati dell’associazione dicono che invece è la liberazione del popolo afghano e un passo in avanti del socialismo per conquistare il mondo.
Nella "Evangelii Nuntiandi" Paolo VI precisava molto bene le caratteristiche che deve avere la "liberazione evangelica" (n. 33): dev'essere basata su "una visione evangelica dell'uomo" (n. 35), "esige una necessaria conversione del cuore" (n. 36), "esclude la violenza" (n. 37); la Chiesa deve poter dare "il suo contributo specifico" (n. 38), richiede che siano rispettati "i fondamentali diritti dell'uomo, fra i quali la libertà religiosa occupa un posto di primaria importanza" (n. 39).
Nessuna di queste caratteristiche della "liberazione evangelica" era presente nei regimi e movimenti che avevano suscitato tante indebite speranze e caloroso sostegno anche da parte di cattolici: ma Paolo VI non fu ascoltato. La storia ha poi giudicato quei movimenti e regimi e ha smentito i "profeti" applauditi, che avevano scelto una "liberazione" presto rivelatasi nuova e peggiore oppressione.
Nei difficili anni settanta e ottanta, E.N. era il documento ecclesiale più importante dopo il Concilio Vaticano II. Presenta la missione essenziale della Chiesa, annunziare Cristo ai popoli, a cui tutto dev'essere finalizzato. L'evangelizzazione è  "vocazione e missione propria della Chiesa, la sua identità più profonda" (n. 14). Tutto il resto, liturgia, sacramenti, preghiera, testimonianza, strutture, diritto, teologia, cultura, assistenza ai poveri e ogni altra realtà all'interno della Chiesa ricevono la loro giustificazione e senso nella misura in cui sono orientati all'evangelizzazione.
"La Chiesa è tutta intera missionaria" dice Paolo VI (n. 59). Verità fondamentale che è facile ripetere come affermazione di principio, ma troppe volte disattesa nella vita delle comunità cristiane! EN afferma che la Chiesa deve essere costantemente rivolta ai non cristiani: “Rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo a quelli che non li conoscono, questo è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma fondamentale che la Chiesa ha assunto come ricevuto dal suo Fondatore (EN, 51).
Il documento di Paolo VI rappresenta una svolta radicale nell’azione della Chiesa: l'evangelizzazione come primo imperativo, tutto il resto viene dopo. E' stata recepita questa svolta? Certamente sì nei vertici ecclesiali, nei "piani pastorali" della Cei, che ha orientato la pastorale della Chiesa italiana in senso missionario: da "Evangelizzazione e promozione umana" (1976) fino a "Evangelizzazione e testimonianza della carità" (1990), passando per "Comunione e comunità missionaria" (1986).
Ma nella base ecclesiale c'è ancor oggi la forte tendenza a ridurre l'obbligo religioso di evangelizzare a impegno sociale: l'importante è amare il prossimo, fare del bene, dare testimonianza di servizio. La Chiesa dà spesso un'immagine riduttiva di se stessa, come se fosse un'agenzia di aiuto e di pronto intervento per rimediare alle ingiustizie e alle piaghe della società. Indro Montanelli esprimeva un’opinione diffusa: “I missionari sono ammirevoli e utili quando vanno a curare i lebbrosi ed a portare il progresso fra popoli arretrati; ma se vanno per imporre loro la nostra religione, che neppure noi oggi pratichiamo più, a cosa serve la loro generosità?".                                           
Paolo VI, parlando del dovere della testimonianza di vita, quindi dell'amore al prossimo, afferma "la necessità di un annunzio esplicito" e spiega: “Anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente se non è illuminata, giustificata - ciò che Pietro chiamava "dare le ragioni della propria speranza" (1 Pt. 3, 15) - esplicitata da un annunzio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La buona novella proclamata dalla testimonianza di vita dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita e le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati...” (EN, 22).
La proclamazione del Vangelo è l'elemento prioritario, almeno come finalità se non cronologicamente, di ogni azione missionaria, che dà coerenza a tutti gli altri elementi (promozione umana, dialogo interreligioso, inculturazione, azioni caritative, ecc.). “L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso” (EN, 27).

20 ottobre 2012

86° Giornata Missionaria Mondiale

DOMUND 2012: "Misioneros de la Fe "


El lema “Misioneros de la fe” se sitúa en el centro de la Cruz. En ella Jesucristo entregó su vida. De ella nace el don de la fe que como gracia reciben los bautizados. Mirar la cruz suscita la súplica de los apóstoles: “Auméntanos la fe” (Lc 17,5).

Al pie de la Cruz están unas manos abiertas mostrando el mundo. Es la humanidad, diseminada por los cinco continentes, que está llamada a acercarse a la Cruz. Se pretende hacer más visible gráficamente la intrínseca unidad de la humanidad con el Redentor.

Son las manos de los misioneros, que presentan, con sus vidas, a la humanidad, para que sea bendecida con el don de la fe que brota de la Cruz salvadora.

http://www.omp.es/OMP/

Migrantes Toscana: in rete un sito internet


Firenze- www.migrantestocana.it: questo l’indirizzo internet del sito promosso dalla delegazione Migrantes della Toscana. Il sito contiene una colonna centrale in grado di porre in evidenza le notizie ed i contributi di rilievo inerenti la pastorale per i Migranti provenienti dalle diocesi toscane e dalla Fondazione Migrantes al fine di veicolare informazioni sensibili e contributi che possano essere al servizio degli utenti. “Trovano così spazio – spiegano alla Migrantes toscana - interventi, anche relativi alle leggi vigenti, da parte dei nostri vescovi, aggiornamenti rispetto alle direttive inerenti l’immigrazione e modelli di eccellenza degni di nota, nonché un archivio contenente tutte le notizie passate”. Nella spalla destra trovano posto dei “banner”, ossia collegamenti tramite icona istituzionale, che rimandano al Pontificio consiglio per la pastorale dei Migranti, alla CEI, alla Fondazione Migrantes e ad alcuni media cattolici. Una occasione, quella del sito, “per non disperdere prezioso materiale di archivio, testimonianza e ricordo rispetto a occasioni significative in termini di integrazione”. Il sito – si legge – “intende giocare una possibilità concreta per affrontare povertà relazionale, povertà di senso civico, povertà di informazioni, povertà culturale rispetto al contesto che ospita i Migranti, i quali hanno spesso scarsa possibilità di diffondere il loro bagaglio culturale nelle nostre comunità per mancanza di spazio e strumenti. Questo impedisce una reale possibilità di integrazione ed i Migranti non emergono come nuovi cittadini anche perché la difficoltà di mettersi in rete, relazionarsi, conoscere è proprio dovuta spesso a mancanza di canali di riferimento, fisici e mediatici. Il sito Migrantes può essere una risposta di partenza, con una diretta ricaduta rispetto ai percorsi di evangelizzazione che la Chiesa propone per loro. Spesso infatti i Migranti, soprattutto se più giovani, non sono raggiunti dai messaggi della Chiesa e non vengono a conoscenza delle opportunità loro riservate. Non conoscono la comunità che li accoglie e molteplici opportunità pensate proprio per loro”. “In un tempo di cambiamenti congiunturali, l’immigrazione – spiega il vescovo delegato per la Migrantes della Conferenza Episcopale Toscana, mons. Franco Agostinelli - s’inserisce come un fenomeno oramai maturo e strutturale. Nel cammino dei popoli, i media – aggiunge - non possono abdicare al ruolo di agenzia educativa, fondamentale per combattere pregiudizi e stereotipi e promuovere messaggi che costruiscano quel substrato fertile per l’unificazione della famiglia umana. La presenza sempre più costante delle nuove tecnologie di comunicazione impone di guardare anche a nuovi canali e linguaggi che assolvono un duplice ruolo: estendere le modalità di comunicazione, dare spazio alla partecipazione e alla condivisione”.

19 ottobre 2012

L'intervento del Generale dei gesuiti al Sinodo sulla nuova evangelizzazione


Pubblichiamo la traduzione integrale in italiano dell'intervento del Padre generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, al Sinodo dei vescovi per la nuova evangelizzazione, in corso in Vaticano. Una densa riflessione su errori e conseguenze di un certo approccio "missionario" e sulla necessità, per una nuova evangelizzazione davvero efficace, di tornare ai fondamenti del primo annuncio. 

Appartenendo a un ordine religioso missionario, mi sento in dovere di riflettere sulla storia passata della nostra congregazione. Non possiamo parlare di Nuova evangelizzazione, finché non siamo certi di avere imparato qualcosa dalla Prima evangelizzazione, dalle cose che abbiamo fatto bene, dagli errori che abbiamo commesso così come delle mancanze nell’annuncio del Signore.
Provengo da una tradizione nella quale si incoraggia e si viene formati a cercare Dio in tutte le cose, in ogni occasione e in ogni situazione. Sant’Ignazio su questo aspetto trasse ispirazione, senza dubbio, dal Nuovo Testamento, dove, per esempio, san Paolo, nel suo famoso discorso nell’areopago citando un poeta greco disse: «In Lui (cioè in Dio) noi viviamo e ci muoviamo e, come hanno detto alcuni dei vostri poeti: “di Lui, infatti, siamo progenie”» (At 17, 27-28). Dio è presente e vivo in ogni comunità umana, anche se noi non vediamo immediatamente come si manifesta e quanto è profonda la sua presenza.
Purtroppo noi, missionari, non abbiamo fatto questo con sufficiente dedizione e così non abbiamo contribuito, con queste scoperte, alla vita della Chiesa. Non sto dando nessuna colpa ai missionari in generale, sto solo parlando della mia tradizione, della mia esperienza e del mio gruppo di missionari. Sono sicuro che molti missionari, anche gesuiti, hanno fatto meglio di quanto abbia fatto io.
Abbiamo cercato di essere positivi nei confronti delle altre culture e tradizioni. Ma mi spiace che abbiamo visto i segni della fede e della santità in un’ottica occidentale ed europea (anche l’Instrumentum laboris, parlando dei frutti della fede, specifica ai nn. 122-128 alcuni segni della fede che sono eccellenti in sé e facilmente riconoscibili dalla Chiese occidentali). Non siamo entrati con sufficiente profondità nelle culture nelle quali lo Spirito è stato proclamato, per scoprire quella parte del Regno di Dio che è già lì, radicata e attiva nei cuori e nelle relazioni delle persone. Non siamo stati disposti a trovare «il fattore sorpresa» nel lavoro dello Spirito Santo, che fa crescere il seme anche se il contadino dorme o il missionario è assente.
Credo che ciò possa essere applicato sia alla Missio ad Gentes sia alla Nuova evangelizzazione nel mondo moderno. Lo Spirito di Dio non ha oziato, ma ha lavorato nei cuori delle persone e nelle menti dei saggi. Sta a noi ascoltare con maggiore attenzione e con immensa umiltà per riconoscere la voce del Signore dove non ci aspettiamo che essa possa essere ascoltata.
Nei miei anni di seminario, ricordo che rimasi impressionato da uno studio che gli allora professori Karl Rahner e Joseph Ratzinger pubblicarono sulla Rivelazione al Concilio di Trento. Secondo loro, quando il Concilio di Trento parlava di Scrittura, si riferiva al Vecchio Testamento; mentre quando parlava di Spirito intendeva che esso fosse presente sia negli scritti del Nuovo Testamento sia, ed e qui è la sorpresa, nei cuori dei fedeli.
Non prestando sufficiente attenzione a come Dio sia presente e abbia lavorato nelle persone che incontriamo, noi abbiamo perso importanti elementi. Perciò è tempo di imparare da questa storia, da quanto è stato perso nella prima evangelizzazione, prima di affrontarne una nuova. Si sono verificate molte cose positive, vogliamo farle nostre e svilupparle. Allo stesso tempo, sappiamo che sono stati compiuti molti errori, soprattutto nel non ascoltare le persone, nel giudicare con grande superficialità gli aspetti positivi di tradizioni e culture antiche, nell’imposizione di forme di culto che non esprimevano la sensibilità e il modo di rapportarsi a Dio dei popoli. 
La grandezza di Cristo ha bisogno del contributo di tutti i popoli e di tutte le culture. Ci sono molte lezioni che possiamo imparare dal passato e che possono essere di grande utilità nella nuova evangelizzazione. Permettetemi di menzionarne alcune:

1) l’importanza dell’umiltà nell’annunciare il Vangelo;
2) il bisogno di riconoscere «la verità dell’imperfezione e dei limiti della nostra umanità» in ogni cosa che diciamo e proclamiamo, senza alcuna traccia di trionfalismo;
3) la semplicità del messaggio che cerchiamo di comunicare, senza complicazioni o eccessive razionalizzazioni, che lo rendono opaco e incomprensibile;
4) la generosità nel riconoscere il lavoro di Dio nella vita e nella storia dei popoli, accompagnato da sincera ammirazione, gioia e speranza quando riscontriamo in altri la bontà e la dedizione;
5) il messaggio più credibile è quello che arriva dalla nostra vita, totalmente guidata dallo spirito di Gesù;
6) il perdono e la riconciliazione sono le migliori vie per raggiungere il cuore del Signore;
7) il messaggio della Croce si trasmette meglio attraverso la negazione di noi stessi.
Grazie per la vostra attenzione.

ASIA/PAKISTAN - Anno della Fede: il Catechismo in urdu è utile per cristiani e musulmani


Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Urge in Pakistan "uno sforzo nel rinnovare la catechesi, come ci chiede il Papa nella Porta fidei. Questo impegno tocca a sacerdoti, religiosi, missionari e laici, e sarà possibile portarlo avanti grazie alla nuova edizione del Catechismo della Chiesa cattolica in urdu, lanciato dalla Chiesa proprio in occasione dell'Anno della Fede. E' un'opera che serve anche ai musulmani, per comprendere il volto autentico della nostra fede": è quanto spiega all'Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Sebastian Shaw, Vescovo ausiliare di Lahore e responsabile della Commissione per la Catechesi nella Conferenza Episcopale del Pakistan. 
Il Vescovo, che sta partecipando ai lavori del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione in corso in Vaticano, dice in un colloquio con Fides: "I fedeli del Pakistan sono felici per l'Anno della Fede e lo vivono come un'opportunità provvidenziale. Per noi è l'occasione di aumentare la nostra fede. Vi sono piccole comunità di una o due persone o di una sola famiglia cristiana in villaggi sperduti. I nostri sacerdoti e missionari laici le vanno a visitare, anche se si trovano in aree remote, proprio per tenere accesa questa piccola fiamma della fede". 
Fra i nuovi strumenti che aiuteranno le comunità cattoliche, il Vescovo cita: "Abbiamo tradotto in urdu un libro dedicato al Credo, che servirà ai fedeli nella professione pubblica della fede, anche questo è un invito del Papa". Un altro sussidio si intitola "Questa è la mia fede" e spiega tutti i simboli, i segni e i significati principali della fede cristiana: "Lo usiamo per la trasmissione della fede nelle famiglie - spiega il Vescovo - ed è molto efficace. Lo usano, e ce lo hanno chiesto, anche comunità cristiane di altre denominazioni".
L'opera più importante è comunque la traduzione del "Catechismo della Chiesa Cattolica" in urdu. È stata realizzata e diffusa la prima parte del volume e, in un paio di anni, si prevede di ultimare la seconda parte. Il Vescovo la definisce "un'opera fondamentale per spiegare e far comprendere ai fedeli pakistani, ma anche a tutti i musulmani, i contenuti e la dottrina fondamentale della fede cattolica". E aggiunge: "Sarà di grande aiuto per tutte le comunità cristiane. E' uno strumento che aiuta a crescere e progredire verso la santità. La missione della Chiesa in Pakistan oggi è far sì che la gente viva il Vangelo e cammini verso la santità. Urge che ognuno di noi lavori per la propria santità: questo diventa luce per la società. Per questo è bene approfondire la fede e il Catechismo che la trasmette". "E' la fede - conclude - che aiuta ogni uomo a riscoprire il vero senso della vita, anche nelle sofferenze e nelle difficoltà".

Il 30 ottobre il Dossier Statistico Immigrazione 2012


Roma - L’edizione 2012 del Dossier Statistico Immigrazione redatto da Caritas e Migrantes sarà presentata a Roma il prossimo 30 ottobre e in contemporanea in tutte le regioni italiane. Alla presentazione interverranno il Presidente della Commissione CEI per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, il Vescovo mons. Paolo Schiavon, e il Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi. Dopo il saluto di mons. Giancarlo Perego, Direttore generale della Migrantes sarà presentato da Giuseppe Rogolino, responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa di Rai News, il video sul Dossier 2012 realizzato dalla testata informativa. I punti salienti del Rapporto saranno illustrati da Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione.

La Nuova evangelizzazione, aiutata dai musulmani (di Samir Khalil Samir)


I migranti islamici aiutano l'occidente secolarizzato a riscoprire la dimensione del sacro, il pudore, ma anche il coraggio a testimoniare in pubblico la propria fede. I cristiani dimenticano di evangelizzare i musulmani perché troppo tiepidi e insicuri nella loro fede cristiana. La missione è un gesto di amore espresso attraverso l'amicizia. La testimonianza di uno degli esperti del Sinodo in corso in Vaticano.

Beirut - Le migrazioni di musulmani in occidente sono una strada provvidenziale per noi cristiani per riscoprire la nostra fede e per evangelizzare queste comunità. L'Instrumentum Laboris del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione parla della necessita di riscoprire la fede e la sua ragionevolezza e allo stesso tempo mette in luce le nuove situazioni e i nuovi areopaghi in cui si svolge la missione di oggi: fra questi vi sono appunto le migrazioni.

Buona Notizia e proselitismo
Va detto però che nel mondo musulmano già l'uso della parola "evangelizzare" è un problema. A tutt'oggi, la parola araba "tabshīr" è utilizzata dai musulmani per esprimere un proselitismo di tipo negativo, un aspetto aggressivo della missione. Spesso, discutendo con i miei amici islamici, io spiego loro che invece il verbo si usa anche nel Corano, in modo molto nobile. Nel libro sacro ai musulmani, si mette questa parola nella bocca di Gesù, che dice: " Io vi porto il lieto annunzio ("vangelo") di un profeta che verrà dopo di me il cui nome è Ahmad" (wa-mubashshiran bi-rasulin ya'ti min ba'di smuhu Ahmad = Corano 61:6). In pratica, secondo il Corano, Gesù porta il lieto annunzio profetizzando la venuta di Maometto.
I musulmani citano spesso questa frase, come uno dei loro "dogmi" o delle cosiddette "prove" che dimostrano la superiorità dell'islam sul cristianesimo, Maometto essendo l'ultimo profeta mandato da Dio all'umanità, il "sigillo dei profeti" (khâtam al-nabiyyîn), come dice il Corano 33:40. Anni fa insegnavo filosofia araba all'università del Cairo. I miei studenti (18 in tutto) erano tutti musulmani. Un giorno, alla fine di un corso, uno di loro mi ha accusato: "Lei è venuto qui per fare proselitismo! (tabshīr)". Io gli ho risposto che mi faceva troppo onore, perché secondo il Corano sono i profeti che fanno tabshir e addirittura Cristo stesso. Lui, un po' confuso, mi risponde che non intendeva usare quella parola in quel senso. E io gli ho detto che non conoscevo altro senso se non quello con cui la parola è usata nel Corano.

Musulmani e cristiani con un messaggio al mondo intero
La discussione è servita a chiarire le nostre reciproche posizioni. Voi musulmani - spiegavo - avete l'obbligo di fare la Da'wa; avete istituzioni politiche e sociali per fare "l'appello" alla fede, per invitare i non musulmani a aderire all'islam.
Io trovo giusto che voi invitiate la gente a diventare musulmani, perché è segno che ci credete sul serio. Ma anche noi cristiani abbiamo questo obbligo di annunciarvi il lieto annunzio del Vangelo. Come lo dice il Signore risuscitato ai suoi discepoli: "Andate nel mondo intero, proclamate la Buona Notizia (= Vangelo) a tutta la creazione" (Marco 16:15). Si tratta dunque di una missione universale, valida per tutti e tutte.
Insomma, occorre ricordare a noi e ai musulmani che l'evangelizzazione non è scovare trucchi per convertire o manipolare l'altro, ma il desiderio di mettere a disposizione dell'altro quanto di bello abbiamo scoperto nella nostra vita.

Verità e Libertà, per amore dell'altro
Il problema è che i musulmani non permettono questa libertà di evangelizzare, col motivo che nessuno ha la libertà di rinunciare alla Verità che è nell'Islam. Ma usano di tutti i mezzi per fare la Da'wa, la propaganda islamica. Basta un minuto per fare la doppia proclamazione di fede, la shahâda: "Proclamo che non c'è altro Dio che Dio, e che Muhammad è suo Profeta!"
Spesso spiego ai miei amici musulmani che la libertà è il dono più grande che Dio abbia fatto all'umanità. Dio ci lascia liberi di fare il male, non ci punisce tutte le volte che sbagliamo, anzi ci permette che ci allontaniamo da lui. Certo, Lui c'indica la via del bene, a traverso l'insegnamento dei suoi Messaggeri, ma non obliga nessuno a seguirla.
Ciò significa che la libertà di scelta è fondamentale anche per Dio! Del resto, quel che distingue l'animale dall'uomo è proprio la coscienza. L'animale è programmato con l'istinto, che li permette di agire istintivamente in conformità con la sua propria natura. L'uomo è libero: puo' scegliere di fare il male, puo' scegliere di ubriacarsi o di mangiare oltre misura fino ad esserne malato. Non ha l'istinto che lo guida in modo sicuro; invece ha la sua coscienza, che deve pero' affinare ed educare.
Ciò significa che occorre avere la libertà di scegliere la via che voglio seguire. Occore avere la libertà di annunciare il Vangelo o il Corano per promuovere l'atto di libertà, cosi' tipico dell'Uomo. Questo significa anche che l'annuncio non può essere un atto di conquista, ma solo un gesto di amore verso l'altro.

Evangelizzazione, un obbligo di amore
L'evangelizzazione per noi cristiani è un obbligo evangelico ed un obbligo di amore (Matteo 28, 19-20). Ma per motivi sociologici o altro, ci vergogniamo di farlo, magari per un falso rispetto della libertà altrui. Ma se è per amore che evangelizziamo, allora troverò il modo di trasmettere la cosa più bella che posseggo ed essere pronto anche a ricevere il loro messaggio.
Un esempio: per me, ogni giorno, sentendo il muezzin, io mi ricordo di Dio e mi metto a pregare col cuore con i musulmani che in questo momento alzano il cuore verso Dio, in uno scambio di esperienze spirituali. Di fatto, senza saperlo, i musulmani ci stanno evangelizzando.
Il musulmano infatti non ha timore di presentare la sua fede; il cristiano in Occidente si vergogna, pensando che la sua fede è un valore privato. Perciò, in Occidente i cristiani - guardando i musulmani - devono convertirsi per comprendere che la religione fa parte delle realtà spirituali della vita, affianco a tutte le altre e non c'è bisogno di nasconderla. Dobbiamo imparare a essere orgogliosi della nostra fede, senza per questo cadere nell'ostentazione o nella propaganda e il proselitismo.

L'immigrazione musulmana, un atto della Provvidenza divina
Anche la presenza di gruppi musulmani nei Paesi europei e occidentali richiede con urgenza l'evangelizzazione. Nei Paesi islamici è quasi impossibile invitare un musulmano a scoprire il Vangelo. Quasi ovunque, anche nei Paesi musulmani detti "laici" (Turchia, Tunisia per esempio), la conversione dall'islam al cristianesimo non è, in pratica, un atto banale o permesso. Tale difficoltà è dovuta al fatto che l'islam, essendo una realtà politico-militare come anche religiosa-spirituale, considera la conversione come un tradimento della "Nazione musulmana" (la Ummah), e vieta l'evangelizzazione sotto pena di prigione o di morte.
Ma l'immigrazione ha cambiato i connotati della questione. In Europa occidentale ci sono circa 15 milioni di musulmani. Troppo spesso si vede questo loro arrivo come un'invasione, e forse lo è in una certa misura, perché sta cambiando troppo velocemente la struttura della società, e rischia di modificare profondamente la società nel futuro.
Ma c'è anche un'altra lettura possibile. Se quest'immigrazione, essenzialmente per motivi economici, fosse un gesto della Provvidenza divina che manda i musulmani in un terreno più liberale e neutrale. Perciò, invece di vedere l'immigrazione come un'aggressione, vediamola come una possibilità di incontro e di scambio di valori: loro presentano la loro spiritualità, e noi abbiamo la possibilità di presentare con libertà la nostra spiritualità. Mi sembra più costruttivo e positivo cambiare registro e vedere questa immigrazione come un dono di Dio.

Semplicità e coraggio per dirsi credente ed annunziare l'Amore di Dio in Cristo
Ma di fatto mi sembra che siamo noi cristiani ad essere carenti. I musulmani - magari con il loro modo talvolta eccessivo di esibire la loro religione - ci spingono a riscoprire la nostra spiritualità e il coraggio di proclamarsi con semplicità credente: una volta noi attraversavamo anche i mari sconosciuti per annunciare il Vangelo; ora diciamo che perfino a casa nostra "è impossibile annunciare" perché "l'ambiente sociologico non lo permette" o perché "bisogna andare cauti", oppure per un falso "rispetto" dell'altro.
Invece, in Europa, ormai un musulmano può entrare in una chiesa quando vuole; se vuole leggere il Vangelo, può acquistarlo in una libreria (in alcuni Paesi islamici è proibito introdurre Vangeli). Dobbiamo guardare questa situazione di libertà come una grande occasione di evangelizzazione, e con infinito rispetto della libertà loro. Non dobbiamo essere irrealisti, ma dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento verso i musulmani, pensando che anche loro attendono l'amore infinito di Gesù.

Come evangelizzare i musulmani?
Come si fa l'evangelizzazione con i musulmani? La cosa primaria è l'amicizia. Evangelizzare non è aggredire, ma creare amicizia senz'altro scopo che la simpatia, l'accoglienza, la fraternità. E questo si può fare ovunque: per strada, coi vicini, a scuola, nel lavoro, nel bus, nel treno ... E parlando, affrontando i problemi della vita, dei figli, ognuno comunica la propria visione, testimonia i propri valori e il fondamento della propria fede.
Per esempio, talvolta mi trovo con alcuni musulmani che osservano il puro e l'impuro nei cibi, e provano disgusto a vedermi mangiare del maiale. Io spiego loro che per noi cristiani "tutto è puro per quelli che sono puri", come dice Paolo (Tito 1:15), in conformità con l'insegnamento di Gesù : "Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!» (Mt 15:11). Perciò, per noi non vi sono divieti sul cibo. Questa piccola cosa mostra che perfino nelle cose di tutti i giorni noi possiamo offrire il segno della novità cristiana.
Oppure quando due mamme scambiano le loro esperienze con i figli e le figlie, c'è il messaggio del Vangelo che passa attraverso scambi apparentemente banali ... se siamo penetrati dal Vangelo. L'evangelizzazione comincia con noi stessi, con lasciarci prendere da Cristo per vivere più seriamente l'ideale del Vangelo.
In Europa ci sono migranti della prima o della terza generazione, che non si sentono accettati: questa vicinanza fraterna, piena di testimonianza è importante. L'evangelizzazione non è un corso di teologia sulla Trinità, non suppone studi particolare. L'evangelizzazione è una testimonianza di vita fraterna, solidare e pura.

Siamo anche evangelizzati dal musulmano
Allo stesso tempo, in una società occidentale così secolarizzata, dove il denaro è diventato una divinità (il Mammone del Vangelo) (Matteo 6:24, e Luca 16:9-13), dove il sesso è divenuto una cosa banale, quasi un gioco o uno sfogo di tipo animale, certi atteggiamenti di pudore dei musulmani sono importanti anche per noi. E il richiamo quotidiano del musulmano all'unicità divina: Non c'è altra divinità che Dio: né soldi, né sesso, né potere ... solo Dio conta, ci riporta all'essenziale della fede cristiana.
Troppo spesso in Europa incontro vescovi e sacerdoti che sono fin troppo cauti nella testimonianza e nell'evangelizzazione verso i musulmani. Essi preferiscono lasciare ognuno nella sua religione, perché tanto "tutti si salvano nella loro tradizione"... e qualcuno aggiunge "come l'ha insegnato il Vaticano II"! In realtà in questione qui non c'è la salvezza finale (che è un affare di Dio), ma il desiderio di condividere la gioia della salvezza ora. E l'amore consiste nel comunicare all'altro ciò che io ho ricevuto.

In conclusione
Nel cristianesimo odierno in Europa c'è una mancanza di convinzione nel Vangelo. Lo scambio e la convivenza fra cristiani e musulmani ci potrà aiutare a scoprire la ricchezza della fede cristiana. Quando un musulmano mi parla della bellezza e della pratica della sua fede, o della preghiera, dell'adorazione, ecc... risveglia in me elementi simili presenti nella mia tradizione. Attraverso i musulmani possiamo riscoprire il valore del sacro nella vita e riscoprire la ricchezza della nostra tradizione. Diam's, la cantante rapper francese di origine cipriota, Mélanie Georgiades, si è convertita all'islam perché ha scoperto quanto i musulmani ci tengono alla preghiera.
L'immigrazione musulmana ha certo in alcuni casi un carattere aggressivo, soprattutto quando i musulmani pretendono di seguire i loro costumi e le lore norme in Occidente, con poco rispetto per i costumi e norme del Paese d'immigrazione. E' una realtà di ogni giorno - ma non è una realtà generalizzata - che bisogna osservare con attenzione.
Mi sembra però più importante di guardare alle migrazioni non come un'aggressività da temere, ma come una possibilità di scambio di esperienze profonde, e soprattutto come un'occasione provvidenziale. Essa ci aiuta a superare la secolarizzazione, ci porta alla riscoperta del Vangelo e ci spinge ad annunciarlo.

Card. Vegliò: l'ambito della mobilità umana offre significative possibilità per la nuova evangelizzazione


Città del Vaticano - L’ambito della mobilità umana offre significative possibilità per la nuova evangelizzazione, poiché presenta uomini e donne, giovani e anziani segnati da forti esperienze di vita, da progetti, insicurezze o sofferenze, che mettono in luce gli interrogativi più pressanti della loro esistenza, e che sentono il bisogno di dare un significato alla loro vita quotidiana”. Lo ha detto ieri il card. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio Migranti e Itineranti intervenendo all’Assemblea del Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano fino al prossimo 28 ottobre. “Di fronte agli interrogativi profondi, la fede – ha aggiunto - si presenta come risposta che li interpreta, illumina e colma di significato, e Cristo appare come la chiave di lettura per eccellenza della vita umana”. Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti desidera sottolineare – ha spiegato il porporato - l’importanza che riveste il fenomeno migratorio e, con esso, tutto l’ambito della mobilità umana. Questo offre alla Chiesa nuove occasioni per l’evangelizzazione. In riferimento a quanti non conoscono Cristo e si stabiliscono in Paesi di tradizione cristiana”, secondo il card. Vegliò, si “impone la sfida di proporre loro il kerigma. D’altra parte, quanti sono stati evangelizzati nel Paese di origine hanno bisogno di un accompagnamento pastorale che li aiuti a mantenersi saldi nella fede, mentre possono diventare a loro volta evangelizzatori”. Il fenomeno migratorio – ha detto ancora il card. Vegliò – “mette in discussione anche le comunità di accoglienza, obbligandole non solo a rivedere le proposte di evangelizzazione, ma anche mettendo alla prova la fede stessa dei suoi membri, in particolare nel momento di doverla annunciare agli altri”. Per la relazione “inscindibile tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo” – ha concluso il Presidente del Dicastero Vaticano - la presenza di persone in mobilità ha richiesto anche alla Chiesa una risposta solidale, che è allo stesso tempo evangelizzatrice”.

18 ottobre 2012

Le minoranze non possono non beneficiare dei diritti linguistici


Strasburgo - I diritti linguistici svolgono un ruolo chiave nella protezione delle minoranze nazionali in Europa, afferma il Comitato consultivo del Consiglio d’Europa sulla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Il Comitato presenterà un nuovo commento tematico sui diritti linguistici agli Stati membri in occasione di una Conferenza che si terrà oggi a Strasburgo (Edificio Agora GO1). Secondo il Comitato, i governi devono sviluppare politiche linguistiche inclusive per garantire che ad ognuno sia concesso il diritto di usare le lingue minoritarie, offrendo al contempo pari opportunità nell’istruzione e nell’accesso al mercato del lavoro. La conferenza, aperta alla stampa, esaminerà la questione attraverso tre panel ai quali prenderanno parte esperti europei di rilievo: "diritti linguistici e partecipazione effettiva alla vita pubblica", "diritti linguistici e piena uguaglianza", nonché "diritti linguistici ed identità individuale e collettiva".

16 ottobre 2012

Bolivia promulga ley de la Madre Tierra y vivir bien


El presidente boliviano, Evo Morales, promulgó hoy la ley de la Madre Tierra y desarrollo integral para vivir bien, la cual tiene como objetivo buscar el desarrollo integral en armonía y equilibrio con la naturaleza. Morales resaltó que si no se preserva la naturaleza, Madre Tierra, Pachamama, el ambiente o como quiera que se le llame; si no se cuida, no hay vida.
La nueva legislación garantiza la continuidad de generación de los componentes y sistemas de vida de la Madre Tierra, a la vez que recupera y fortalece los saberes locales y conocimientos ancestrales.
Según el mandatario los bolivianos deben pensar en trabajar para vivir bien, no para hacerse ricos, sino para tener lo que necesitan. Explicó que el debate principal está en como se preserva la Madre Tierra, tanto interna como externamente.
Por su parte, el vicepresidente boliviano Álvaro García Linera, argumentó que la nueva legislación introduce los conceptos ancestrales de preservar la naturaleza porque es un ser vivo.
Esta ley introduce la concepción indígena ancestral de la naturaleza como ser vivo, de la cual los seres humanos son una criatura más, y no podemos maltratar la naturaleza, porque es más importante que nosotros, porque tiene derecho a vivir.
El también presidente de la Asamblea Legislativa agregó que es una hermosa ley que nació de las organizaciones sociales, y recoge el modo de pensar y vivir de las naciones originarias, para convertirlo en ley de los bolivianos y bolivianas.
García Linera recordó que actualmente existen intereses capitalistas que supuestamente quieren defender la naturaleza pero en realidad lo que intentan es ganar dinero con sus estrategias.
Habló sobre el llamado capitalismo verde y destacó que muchos parques nacionales en Bolivia y en América Latina están protegidos por empresas que reciben dinero por aplicar ese tipo de políticas. Se han adueñado de nuestros bosques, es otra forma de colonialismo, y nos quieren convertir en cuidadores de bosque, resaltó.
Agregó que en el Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro-Secure (Tipnis) ha pasado eso, que grupos u Organizaciones No Gubernamentales supuestamente protectores del ambiente sacan al estado y a los que quieran entrar ahí, pero en realidad lo que hacen es ganar dinero, ese es el llamado capitalismos verde, recalcó.
Nuestra ley dice vamos a vivir en equilibrio y complementariedad con la naturaleza; vamos a cuidar los bosques y la amazonia, pero para nosotros, no para los gringos, apuntó
El vicepresidente dijo que la nueva ley declara el derecho a usar los recursos, pero sin despilfarrar, que las comunidades satisfagan sus necesidades básicas, sin destruir el medio ambiente. Producción con preservación y planificación integra y participativa, esos son aspectos fundamentales de la legislación, agregó García Linera.

La noticia es de Prensa Latina

14 ottobre 2012

Come Chiesa...


«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. ANDATE dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempi» (Mt 28, 19-20)

Carissime sorelle,

Stiamo vivendo un mese del tutto speciale: un mese missionario!
Il 1° ottobre abbiamo celebrato S. Teresa del Bambino Gesù (1873-1897), carmelitana del convento di Lisieux (Francia), dottore della Chiesa, patrona principale delle Missioni.

Questo Ottobre è segnato da un forte richiamo ecclesiale. Il Sinodo dei Vescovi su “La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” iniziato il 7 ottobre si concluderà il giorno 28. È una caro impegno per noi accompagnare da vicino questo avvenimento ecclesiale a cui partecipa anche la nostra Madre in qualità di invitata; è una particolare occasione per sentirci sempre più Chiesa e vivere da figlie della Chiesa.

Tutte le Coordinatrici hanno ricevuto via e-mail lo Strumento di lavoro in preparazione al Sinodo. È opportuno riprenderlo per meglio accompagnare la riflessione che sarà svolta dai Padri Sinodali ed essere attente alle conclusioni alle quali arriveranno.

L’Anno della Fede, che ha avuto solenne inizio l’11 ottobre, per celebrare i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, avvenuta nello stesso giorno, si concluderà il 24 novembre 2013. È per noi e per tutto il popolo di Dio un anno di grazia e una vera chiamata a radicare la vita in Dio, perché Lui è il centro della nostra esistenza e missione. Siamo chiamate, come Chiesa, ad approfondire la fede, ad ascoltare il Signore che ci chiama alla conversione.

Il 21 ottobre, inoltre, la Chiesa celebra la Giornata Missionaria Mondiale dal tema “Chiamati a far risplendere la Parola di verità” (Lett. Ap. Porta Fidei, 6). Certamente tutte voi già avete fatto tesoro del messaggio del Papa Benedetto XVI per questa Giornata, così anche della presentazione in powerpoint che è in Banca Dati.

Il messaggio è molto bello. Il Papa sottolinea: «Anche oggi la missione ad gentes deve essere il costante orizzonte e il paradigma di ogni attività ecclesiale, perché l’identità stessa della Chiesa è costituita dalla fede nel Mistero di Dio, che si è rivelato in Cristo per portarci la salvezza, e dalla missione di testimoniarlo e annunciarlo al mondo, fino al suo ritorno. Come san Paolo, dobbiamo essere attenti verso i lontani, quelli che non conoscono ancora Cristo e non hanno sperimentato la paternità di Dio, nella consapevolezza che "la cooperazione missionaria si deve allargare oggi a forme nuove includendo non solo l’aiuto economico, ma anche la partecipazione diretta all’evangelizzazione" (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio, 82)».

«"Guai a me se non annuncio il Vangelo!", diceva l’apostolo Paolo (1 Cor 9,16). Questa parola risuona con forza a ogni cristiano e ad ogni comunità cristiana di tutti i Continenti. Anche per le Chiese in territori di missione, Chiese per lo più giovani, spesso di recente fondazione, la missionarietà è diventata una dimensione connaturale, anche se esse stesse hanno ancora bisogno di missionari.»

Carissime sorelle, insieme a tutti questi avvenimenti di Chiesa, vi chiedo una preghiera per le Giornate di studio sul Primo Annuncio di Gesù in Africa e Madagascar che si farà dal 5 al 9 novembre prossimo ad Addis Abeba, in Etiopia. Saranno presenti FMA di tutte le Ispettorie di Africa e Madagascar: è una circostanza molto bella di partecipazione e di ricerca insieme delle vie più adeguate per l’Annuncio di Gesù oggi.

Restiamo in sintonia, come Istituto, in preparazione alla Beatificazione di Sr. Maria Troncatti, il 24 novembre a Macas, in Equatore. Questa grande missionaria dell’Oriente dell’Amazzonia, che ha donato la vita per amore, ci ottenga buone vocazioni missionarie per l’Istituto e per la Chiesa. Vi raccomando la lettura della sua biografia e di farla conoscere alle sorelle e ai giovani, oltre alla preparazione di una celebrazione per tutta la vostra Ispettoria, perché possiamo vivere intensamente il messaggio e la ricchezza della sua beatificazione nelle diverse realtà comunitarie in cui ci troviamo.

Carissime sorelle, affido al vostro servizio l’impegno di ravvivare il fuoco missionario nel cuore dell’Ispettoria, perché vi resti acceso e non si spenga nel mondo.

Rimaniamo unite nella preghiera reciproca.

Con affetto di sorella, un grande abbraccio.

Sr. Alaíde Deretti
Consigliera per le Missioni