31 gennaio 2015

Evviva Don Bosco!


«L’espressione felice: “Basta che siate giovani perché io vi ami assai” (“Il Giovane provveduto”, 7), è la parola e, prima ancora, l’opzione educativa fondamentale del santo: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani” (“Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco”, vol. 18, 258). E, veramente, per essi egli svolge un’impressionante attività con le parole, gli scritti, le istituzioni, i viaggi, gli incontri con personalità civili e religiose; per essi, soprattutto, manifesta un’attenzione premurosa, rivolta alle loro persone, perché nel suo amore di padre i giovani possano cogliere il segno di un amore più alto.
Il dinamismo del suo amore si fa universale e lo spinge ad accogliere il richiamo di Nazioni lontane, fino alle missioni di oltre oceano, per un’evangelizzazione che non è mai disgiunta da un’autentica opera di promozione umana.
Secondo gli stessi criteri e col medesimo spirito egli cerca di trovare una soluzione anche ai problemi della gioventù femminile. Il Signore suscita accanto a lui una confondatrice: santa Maria Domenica Mazzarello con un gruppo di giovani colleghe già dedicate, a livello parrocchiale, alla formazione cristiana delle ragazze. Il suo atteggiamento pedagogico suscita altri collaboratori - uomini e donne - “consacrati” con voti stabili, “cooperatori”, associati nella condivisione degli ideali pedagogici e apostolici, e coinvolge gli “ex-allievi”, spronandoli a testimoniare e a promuovere essi stessi l’educazione ricevuta.»

Dalla LETTERA APOSTOLICA IUVENUM PATRIS DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II NEL CENTENARIO DELLA MORTE DI SAN GIOVANNI BOSCO


30 gennaio 2015

4° Domingo T.O. Ciclo B


IV Domenica del T. O. Anno B


La missione alle genti è in Asia



I viaggio apostolici di Francesco in Corea, Sri Lanka e Filippine confermano che la scelta missionaria è ancora di enorme attualità. La Chiesa deve sostenere e sviluppare questo suo aspetto, per portare la "buona notizia" di Cristo a quei popoli che ancora la ritengono diretta emanazione dell'Occidente coloniale. L'impegno del Pime.

Milano - Nei suoi primi viaggi "missionari", Papa Francesco ha visitato le Chiese della Corea del Sud, Sri Lanka e Filippine. Una scelta significativa, che deve far riflettere tutti i credenti in Cristo: il Papa vuole orientare la Chiesa universale verso l'ultima "frontiera" della missione alle genti, il continente asiatico, dove vivono il 62% di tutti gli uomini e l'85% dei non cristiani. Su 4 miliardi e 262 milioni di asiatici, i cattolici sono circa 170 milioni, metà dei quali nelle Filippine, l'unico Paese a maggioranza cattolica (oltre al piccolo stato di Timor est, ex colonia portoghese).
Con le Chiese orientali e protestanti, i cristiani asiatici sono meno di 300 milioni. A duemila anni da Cristo, più di metà del genere umano non ha ancora ricevuto la "buona notizia" che gli angeli davano ai pastori nella notte di Betlemme: "Oggi è nato per voi il Salvatore, il Messia, il Signore, che sarà di grande gioia per tutto il popolo".
Per la Giornata missionaria mondiale 2014 Francesco ha lanciato questo messaggio: "Oggi c'è ancora moltissima gente che non conosce Gesù Cristo. Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes, a cui tutti i membri della Chiesa sono chiamati a partecipare, in quanto la Chiesa è per sua natura missionaria".
Nel primo millennio dopo Cristo, il Vangelo ha raggiunto i popoli d'Europa (la Russia nel 900); nel secondo millennio, le Americhe, l'Africa e l'Oceania (il miliardo di africani sono per metà cristiani); nel terzo millennio la Chiesa deve annunziare Cristo nel continente asiatico.
In Italia abbiamo un po' tutti una visione miope del mondo, l'Asia interessa per l'economia, la politica e il turismo, poco o nulla per le religioni. Inutile lamentarsi: stampa e televisione sono lo specchio di un Paese e di un popolo. All'inizio del terzo millennio, Giovanni Paolo II diceva: "Il cristiano deve avere la mente e il cuore grandi come il mondo".
La missione alle genti è ancora e sempre di grande attualità, fin che il Salvatore non abbia raggiunto le estreme periferie dell'umanità, dato che tutti i popoli e tutte le culture hanno bisogno di Cristo, della pace e della gioia di Cristo. La Evangelii Gaudium incomincia con queste parole (n. 1): "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Cristo, coloro che si lasciano salvare da Lui e sono liberati dal peccato, dalla tristezza del vuoto interiore. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni". Francesco ci provoca rendendoci protagonisti del suo piano di annunziare e testimoniare Cristo a tutti gli uomini.
La missio ad gentes è profondamente cambiata e più ancora cambierà entrando in contatto diretto con le grandi religioni e culture asiatiche, con riflessi positivi su tutta la Chiesa. Il retaggio negativo del periodo coloniale è che in buona parte dell'Asia i cristiani sono ancora considerati minoranze straniere. In India è comune il detto "il vero indiano è solo l'hindu", in Thailandia il vero thailandese è solo il buddista (i convertiti dal buddismo al cristianesimo quasi non esistono). Un prete birmano ha scritto su AsiaNews: "Sebbene la Chiesa cattolica birmana abbia da poco celebrato i 500 anni di presenza in Myanmar, la vita di un cristiano in Myanmar è paragonabile a quella di uno straniero nella propria terra... I pregiudizi contro i cristiani, si riferiscono al 'mantra' dell'identità nazionale, secondo cui 'essere birmano è essere buddista'. Allora, noi cristiani chi siamo? Siamo dunque stranieri nella nostra stessa patria, a volte siamo visti come traditori". 
È solo una delle difficoltà che la missione alle genti incontra oggi in Asia. Questa la grande sfida al cristianesimo, la prima, vera grande sfida alla nostra visione del mondo, della storia, della fede, della Chiesa e della missione. L'ateismo e il materialismo dell'Occidente sono fenomeni post-cristiani, cioè di rifiuto del Cristo, ma anche di derivazione cristiana, perché affondano le loro radici nella Bibbia e nel Vangelo: "La civiltà dell'Occidente cadrebbe nel nulla, se si togliesse la Bibbia", afferma il filosofo Karl Jaspers.
L'Asia sta entrando nel mondo moderno (esempio classico il Giappone) assumendo i "valori evangelici" (pace, bontà, fraternità, giustizia, libertà, democrazia) ma staccandoli totalmente dalla persona di Cristo e dalla fede nel Dio unico e vero. Il cristianesimo è ridotto ad un codice morale, ad una somma di valori etici e umanizzanti, che già si trovano almeno in parte nel buddhismo, nel confucianesimo, nell'induismo e nell'islam. Ecco la sfida dell'Asia: che senso ha oggi la missione alle genti nel continente asiatico e per il futuro dell'umanità, che si gioca soprattutto in Asia?
Quando si dice che "la missione alle genti è finita, spetta alle giovani Chiese annunziare Cristo ai loro popoli"; oppure: "I missionari, gli istituti missionari non hanno più senso", si manifesta solo una visione miope della Chiesa. Nella Redemptoris Missio si legge (n. 30): "La missione alle genti è solo agli inizi", proprio perché la maggioranza dei quattro e più miliardi di asiatici ancora non conoscono la "buona notizia" che Cristo, il Figlio di Dio, è unico Salvatore dell'uomo.
E questo non è un problema delle giovani Chiese, ma di tutti i credenti in Cristo, di tutte le istituzioni della Chiesa cattolica, che è vista come una religione dell'Occidente. Il primo annunzio di Cristo in Asia è compito primario delle giovani Chiese asiatiche e già sono nati istituti missionari dipendenti dalle Conferenze episcopali in India (tre), Corea del Sud, Filippine, Thailandia, Myanmar; ma tutto l'Occidente cristiano deve prendere coscienza che il "dialogo della vita" con l'Oriente comprende anche l'aspetto religioso, caritativo, culturale, educativo.
In una Nota pastorale della Cei del gennaio 1987 ("Gli istituti missionari nel dinamismo della Chiesa italiana") si legge: "La presenza degli istituti missionari, di stampa e animazione missionaria all'interno della comunità cristiane è finalizzata ad alimentare quella coscienza missionaria che sollecita ogni cristiano e la stessa comunità a sentirsi responsabili dell'annunzio evangelico a tutti gli uomini".
Nell'Assemblea generale del 1972, il Pime riaffermava la sua "scelta preferenziale per l'Asia", da cui nascevano l'"Istituto studi asiatici" (collegato con l'Università cattolica di Milano), l'incontro e il dialogo fra monaci cristiani, indù e buddisti; nel 1985 il "Silsilah" nelle Filippine, adottato dalla Conferenza episcopale per il dialogo con l'islam; e la scuola superiore di formazione pastorale missionaria "Euntes", per i sacerdoti diocesani, le suore e i catechisti asiatici (da una dozzina di Paesi).
Dal 1995, in Cina tre padri del Pime si sono inseriti nel "Huiling", una rete di case riconosciute dal governo che accolgono i disabili, iniziata nel 1985 da Meng Weina (oggi cattolica convinta col nome di Teresa), introducendo metodi nuovi e l'avviamento al lavoro insegnando l'uso del computer. E finalmente, nel 1986 l'agenzia Asia News su carta e in internet dal 2003, che ha acquistato una risonanza mondiale. Anche queste iniziative sono "missione alle genti in Asia".

28 gennaio 2015

Il Global Migration Group pubblica un nuovo studio su giovani e migrazione

Migrazione e giovani: sfide e opportunità

In occasione della Giornata internazionale dei migranti, il Global Migration Group (GMG) ha pubblicato il nuovo studio Migration and Youth: Challenges and Opportunities  (Migrazione e giovani: sfide e opportunità).
Dopo due anni di lavori, lo studio presenta le lezioni apprese, le migliori pratiche e le strategie più innovative formulate da un gruppo di agenzie delle Nazioni Unite, altre organizzazioni internazionali, docenti universitari, la società civile e giovani leader.
Il principale messaggio della pubblicazione è che, con le giuste politiche, la migrazione dei giovani può essere trasformata in un’opportunità con vantaggi per i giovani migranti, i paesi di origine e di destinazione.
Per la prima volta, lo studio fornisce un quadro completo dei molteplici aspetti della migrazione dei giovani. Esplora il contesto di emarginazione rurale e del degrado ambientale dal quale molti giovani migranti provengono e analizza le sfide che devono affrontare per far valere i loro diritti, per accedere ad un lavoro dignitoso e alla protezione sociale nel paese di destinazione. Lo studio affronta questioni legate ai diritti umani, al lavoro, alla parità di genere, alla salute, all’istruzione e alla partecipazione, e rappresenta un contributo per orientare il dibattito politico internazionale sulla migrazione e sull’agenda di sviluppo delle Nazioni Unite post 2015.
L’analisi che fa lo studio è allo stesso tempo cruciale e attuale in quanto i cambiamenti demografici e strutturali stanno portando ad un invecchiamento della popolazione e alla riduzione della manodopera in numerosi paesi. Propone un denso programma che da risposte politiche e anche pratiche a tutta una serie di problemi che governi e società si trovano ad affrontare.
Frutto di una innovativa collaborazione internazionale sul tema della migrazione, lo studio è stato prodotto dal Global Migration Group (GMG), un gruppo che riunisce 17 agenzie delle Nazioni Unite e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), tutte impegnate ad adottare approcci più coerenti, globali e coordinati in materia di migrazioni internazionali.



L'amicizia tra un cristiano ed un ebreo supera l'orrore nazista



Il film del 1987 "Arrivederci Ragazzi" affronta il tema della Shoà con lo sguardo di due ragazzi

“Per me la vera educazione sta nell’insegnarvi a far buon uso della libertà”. Questo è il principio educativo che padre Jean adotta nel suo collegio carmelitano per ragazzi nel film di Louis Malle Arrivederci Ragazzi, del 1987. La pellicola, vincitrice del Leone D’Oro al Festival del Cinema di Venezia, si basa su un ricordo d’infanzia dello stesso regista.
La trama ruota attorno alla storia dell’amicizia di due ragazzi durante la seconda guerra mondiale.
Gennaio 1944. Julien Quentin, figlio di una ricca famiglia borghese parigina, è costretto ad andare in un collegio di religiosi, poiché Parigi è sotto bombardamento. La nostalgia per la madre porta in lui molta insofferenza, ma la sua routine cambia con l’arrivo di un nuovo ragazzo, Jean Bonnet.
Quest’ultimo viene subito preso di mira da tutti i ragazzi, i quali lo scherniscono e lo isolano. Julien, nondimeno, fa di tutto per rendere la sua permanenza insopportabile, iniziando una forte rivalità con il nuovo arrivato, che sembra competere senza problemi con il giovane borghese quanto a intelligenza e sagacia.
L’ostilità però, lascia presto il posto ad un nuovo sentimento: la curiosità. Julien infatti si accorge che il suo rivale non riceve lettere da nessuno; inoltre Jean è segnato da una continua malinconia. Frugando nel suo armadietto, Julien scopre il segreto di Jean: il suo vero nome è Jean Kippelstein ed è un ragazzo ebreo che ha trovato rifugio nel convento sotto falso nome, per poter scappare dalle persecuzioni razziali dei tedeschi; come lui altri due ragazzi ebrei sono nel convento.
Superate le ostilità Julien inizia a capire i sentimenti del giovane ebreo, riesce a scalfire la sua corazza e ad entrare in empatia con lui; la loro, adesso, è una bella amicizia.
Ma la guerra non guarda in faccia a nessuno… il giovane garzone del convento, Joseph, deriso dai ragazzi in quanto zoppo e analfabeta, viene licenziato poiché rivendeva il cibo al mercato nero e barattava con i ragazzi del convento provviste per oggetti come sigarette o francobolli.
Ferito e cieco dalla rabbia, tradirà il collegio informando l’esercito tedesco della presenza di ebrei.
L’epilogo è inevitabile: i tre ragazzi ebrei e Padre Jean, colpevole di tradimento, verranno deportati nei campi di concentramento …
Per la prima volta, nel cinema, il tema della Shoà e della seconda guerra mondiale viene visto sotto un aspetto diverso, da un occhio diverso: quello dei bambini. Il regista ci fa osservare il mondo adulto e le atrocità ad esso connesso, attraverso lo sguardo dei ragazzi, uno sguardo delicato ma non ingenuo e superficiale.
La stessa amicizia dei due ragazzi si fonda non su gesti eclatanti o su sentimentalismi, ma su sguardi intensi, carichi di emozione, sguardi capaci di scambiare le reciproche sofferenze interiori, in grado di comunicare molto più di un dialogo. I ragazzi riescono a trascorrere le giornate in modo allegro e spensierato, forti della loro leggerezza, ma non per questo inconsapevoli. Spesso anzi, nei loro giochi e nelle loro frasi esce fuori tutta la loro ansia, la loro paura e soprattutto, la loro incomprensione.
Incomprensione verso un mondo che non gli appartiene, verso una guerra e una violenza che non vogliono e che non capiscono come possa esistere.
Qui sta la grandezza del regista e di questo film: non farci vedere la guerra e la Shoà nella sua brutalità, ma farcela sfiorare, farcela respirare attraverso piccoli momenti o gesti, così come la respirano i ragazzi nel film, senza che però perda la sua centralità e la sua importanza.
Già dalla scelta dell’ambientazione percepiamo questo suo intento: tutto avviene nel collegio di Sainte-Croix nella Francia occupata, in un piccolo mondo a sé, dove i ragazzi vivono in un contesto completamente distaccato dalla guerra; non vedono i suoi orrori e possono vivere un’esistenza tranquilla, essendo un luogo in cui i soldati non possono compiere crudeltà.
Ma questo non significa che Julien e Jean e tutti i loro amici non respirino la presenza e la portata del conflitto e in particolare della persecuzione degli ebrei: le lezioni sono interrotte dall’allarme per i bombardamenti, al ristorante un ebreo viene cacciato, Jean si deve nascondere quando arriva un controllo da parte dei tedeschi.
Il nucleo del film è il rapporto tra Julien e Jean: quello che inizialmente sembrava lo scontro tra il mondo borghese di Julien e la povertà di Jean, si trasforma presto in amicizia. Uniscono le proprie esigenze e aspettative, si riconoscono parte di una realtà incerta che vorrebbero cambiare.
Si legano con un sentimento autentico, tanto che in una scena del film, nonostante l’allarme per il bombardamento e l’obbligo di correre nel rifugio, i due preferiscono rimanere a suonare il piano, contornati da un silenzio carico di complicità. La loro amicizia così, è in grado per un momento di far dimenticare, a noi spettatori e a loro protagonisti all’interno del film, le conseguenze della guerra.
Ma la meschinità sta nelle grandi cose così come nelle piccole, sta nell’ideologia nazista così come nella vendetta di Joseph, che pur conscio delle conseguenze che avranno per dei piccoli ragazzi le sue azioni, non esita a venderli al nemico, giustificandosi anzi con Julien: “Non prendertela, sono solo ebrei… Non fare il santo, la guerra è guerra caro mio”. D’altro canto, questa è la Storia, e come dicevamo prima la grandezza di Luis Malle sta nel farcela respirare, ma non nascondere.
Sulla stessa linea e con gli stessi principi del regista, si muove la straordinaria figura di Padre Jean, che vuole si dare un’occasione di salvezza a dei poveri ragazzi, ma allo stesso tempo li pone di fronte alla realtà della vita, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi, dando loro insegnamenti duri e sinceri. Il suo “arrivederci ragazzi, a presto” al momento dell’arresto, suona allora come un triste addio, che lascia però intravedere una speranza. La speranza che i suoi ragazzi, forti degli insegnamenti ricevuti, non ripetano gli stessi errori appena commessi dall’uomo.
Nella giornata della memoria, abbiamo la possibilità di fare una scelta: ricordare quello che è successo e condannarlo, promuovere la vita in tutta la sua bellezza e ricchezza, difendendo e rispettando le diversità di ogni individuo; così come fa questo film, contrapponendo all’orrore di quegli avvenimenti l’amicizia pura, autentica e forte di due ragazzi, uno ricco e uno povero, uno cristiano e l’altro ebreo.
Ad aiutarci in questo, possono essere proprio le parole di Padre Jean all’interno del film, durante un’omelia: “Figli miei noi viviamo in tempi di discordia e di odio; la menzogna trionfa, i cristiani si uccidono tra loro, chi dovrebbe guidarci ci tradisce. Più che mai dobbiamo guardarci dall’egoismo e dall’indifferenza.
Il primo dovere di un cristiano è la carità. San paolo dice nell’epistola di oggi: fratelli non credetevi saggi, non rendete a nessuno male per male, se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere. Preghiamo dunque per coloro che soffrono, per quelli che hanno fame, per i perseguitati, preghiamo per le vittime ma anche per i carnefici”.
Caso abbastanza originale, visto che solitamente sono i libri a essere da spunto per soggetti cinematografici, dopo il film è stato pubblicato nel 1993 un libro con il titolo “Arrivederci ragazzi”, scritto dallo stesso regista. 


Evangelizar el Mundo Urbano

En la vida de las CEBs (Comunidades Eclesiales de Base) de Brasil tienen especial importancia los Intereclesiales, momentos privilegiados de celebración y de intercambio de experiencias, que se celebran generalmente cada cuatro años en diferentes diócesis de la geografía brasileña. El próximo será en Londrina, estado de Paraná, en enero de 2018.
Para preparar este encuentro, se han reunido en la sede del evento, representantes de los diferentes regionales que forman la CNBB (Conferencia Nacional de los Obispos de Brasil, por sus siglas en portugués), los asesores nacionales y los obispos Monseñor Orlando Brandes, arzobispo local, Monseñor Giovane Pereira de Melo, obispo de Tocantinópolis que acompaña a las CEBs a nivel nacional y Monseñor Manoel João Francisco, obispo de Cornélio Procópio y representante del CONIC (Consejo Nacional de Iglesias Cristianas, por sus siglas en portugués).
Este primer encuentro sirvió para poder reflexionar sobre la realidad de las comunidades eclesiales de base a nivel local, marcada por la realidad de las grandes urbes en las que las contradicciones de la modernidad aparecen reflejadas en los diferentes ámbitos sociales. Ante esta realidad aparece el desafío de ser fermento en la masa, signo de esperanza y alimentadores de una espiritualidad que lleve a descubrir que otro mundo es posible.
En consecuencia de esto, ha sido definido como tema del 14º Intereclesial, “CEBs y los desafíos en el mundo urbano”, teniendo como lema “Yo vi y oí los clamores de mi pueblo y bajé para libertarlo” (Ex. 3,7). A partir de aquí será realizado un trabajo a escala nacional que permita a las comunidades de base poder reflexionar y encontrar nuevos caminos que hagan posible un mejor trabajo evangelizador.


27 gennaio 2015

IL MUSULMANO HICHAM: LA MIA VITA COL CUORE DI UN CRISTIANO

"Senza l'amore della mamma che ha acconsentito a donare gli organi del figlio oggi non sarei qui" racconta lo stilista che ha ricevuto a Caserta il Premio Le buone notizie.

“Sono orgoglioso di portare un cuore cristiano nel mio petto di musulmano e per sempre custodirò dentro questo cuore l’amore per quella mamma che me lo ha donato”. Fanno venire i brividi, quelli belli, buoni, che regalano speranza e non paura, le parole di Hicham Ben’ Mbarek, vincitore del Premio Le Buone Notizie Civitas casertana perché è lui la buona notizia in un momento in cui sembra che prevalgano ancor più di sempre le brutte notizie.
 Come racconta lui stesso, di origine marocchina, arrivato all’età di 7 anni nel nostro Paese dopo un viaggio su un gommone abbracciato alla sua mamma, oggi non ci sarebbe se un giorno un’altra mamma non avesse acconsentito al dono degli organi del proprio figlio morto improvvisamente: “Mi avevano dato pochi giorni, anzi poche ore di vita. Giocavo a calcio e mi sono accasciato sul campo, sette  attacchi di cuore uno via l’altro e lunghi mesi in ospedale con la prospettiva che tutto potesse finire improvvisamente e invece grazie all’amore grande di quella madre, che non si è chiesta a chi sarebbero andati gli organi di suoi figlio, di quale religione fosse o di che Paese,  sono ancora qui e proprio in queste ore sta per nascere il mio terzo bambino. Anche lui non ci sarebbe stato e i miei altri due figli, una bambina e un maschio, sarebbero rimasti senza papà”.
 La gratitudine di Hicham (la cui storia è stata scoperta da Gianluca Testa che ne ha scritto sul blog Buone notizie del Corriere) ha la forza dei sentimenti semplici che non hanno bisogno di proclami né di spiegazioni perché, come racconta con chiarezza cristallina: “Non ci sono buoni e cattivi a seconda dell’etichetta, musulmani, cristiani ebrei o che altro. Ci sono uomini che amano come la mamma che mi ha donato il mio nuovo cuore e uomini che uccidono come quelli che hanno colpito a Parigi di recente e mille e mille altri prima di loro nella storia, perché noi adulti abbiamo rovinato tutto, a cercare mille ragioni per giustificare l’odio e invece l’unica cosa che possiamo fare è ripartire dai nostri bambini, come quello che sta per nascere che abbiamo deciso di chiamare Adam Francesco, in onore di questo Papa che sta facendo di tutto per seminare pace. Con mia moglie vorremo dargli il nome e battezzarlo secondo i due riti perché Dio è uno solo e insegna solo amore”.


La lezione della Shoah "Non odiare mai"

Il 27 gennaio 1945 truppe dell`Armata Rossa entrarono ad Auschwitz, epicentro del sistema nazista di sterminio. Liberarono 2.819 prigionieri ridotti allo stremo, tra cui 180 bambini, molti dei quali vittime degli esperimenti del medico Josef Mengele. È un piccolo numero, se raffrontato al milione e oltre di persone inghiottite da quell`enorme lager (con gli ebrei perirono anche migliaia di polacchi, russi, rom e persone di tante nazionalità), vera e propria fabbrica di morte. Nei capannoni, i soldati sovietici trovarono anche i trofei che i nazisti avevano raccolto per ricavarne denaro: migliaia di paia di occhiali, oltre 800mila abiti da donna, montagne di scarpe, cumuli di capelli. Nei mesi e negli anni a seguire, l`Europa avrebbe preso coscienza dell`enormità della Shoah, con i sei milioni di ebrei uccisi, e la creazione di un sistema concentrazionario che non ha eguali nella storia umana.
Ricorre il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, il giorno della Memoria, istituito dieci anni fa dall`Onu. Non mancano interrogativi attorno a quest`anniversario, perché talvolta si ha l`impressione che le celebrazioni siano di circostanza, poco partecipate a livello popolare. Alcuni hanno sollevato il rischio di una «ipertrofia della memoria», per il moltiplicarsi di eventi, per lo più di carattere politico o accademico, con scarsa incidenza nella cultura e nella coscienza dei popoli. Tuttavia, ricordare è un imperativo. È necessario far sì che il Giorno della Memoria non si riduca a una rievocazione del passato, ma ci interroghi anche sul presente e sulla realtà delle società europee. Infatti, l`antisemitismo, che fu l`anticamera dei lager, resta ancora oggi un problema europeo. Non solo per i recenti e tragici fatti di Parigi, in cui oltre alla sede di Charlie Hebdo è stato colpito un negozio ebraico, con quattro vittime. Basti ricordare l`attacco alla scuola ebraica di Tolosa il 19 marzo 2012, con quattro morti di cui tre bambini, o quello al Museo ebraico di Bruxelles, il 24 maggio 2014, con quattro vittime anche in quel caso. Sono gli episodi più gravi, ma molti, troppi, sono quelli di minore entità.
Nel corso del 2014 oltre 5mila ebrei francesi hanno scelto di trasferirsi in Israele. Circa 15mila sono invece gli ebrei che hanno lasciato altri Paesi europei. Una ripresa dell`emigrazione ebraica è indice di profonda incertezza. L`Europa rischia di smarrire la strada della convivenza tra persone di fedi religiose, culture, tradizioni differenti.
Auschwitz, nel 2015, può apparire lontano. Poche settimane fa è morto uno degli ultimi sopravvissuti romani alla Shoah, Enzo Camerino, che il 16 ottobre 1943 fu deportato, appena quattordicenne. Recentemente, aveva preso a raccontare in modo semplice la sua storia, per trasmetterla ai giovani, ai quali ripeteva le parole che il padre gli disse nel lager: «Non odiare mai». È un insegnamento da non disperdere. Come trasmettere alle nuove generazioni la memoria della Shoah, ora che anche gli ultimi testimoni scompaiono? Le visite delle scuole ad Auschwitz hanno un grande significato. I media possono dare un contributo. Soprattutto, però, c`è bisogno di legare la memoria della guerra e della Shoah alla realtà del nostro tempo, per capire come il razzismo e l`antisemitismo siano stati elementi di una catastrofe per l`Europa e come, oggi, sia urgente ritrovare il filo di una società in cui tutti possano vivere insieme in modo pacifico. Politiche lungimiranti, buona informazione, coinvolgimento dei leader religiosi in una rete d`incontro e di dialogo, attenzione alle periferie, sono alcuni dei passi da compiere verso una società del convivere dove ci sia spazio per tutti.
Auschwitz, luogo che forse più di tutti ha visto manifestarsi la forza del male nella storia, sia occasione di una riflessione sull`Europa. La pluralità, elemento ineludibile delle società contemporanee, può evolvere nel conflitto o, al contrario, essere il fondamento di una civiltà del convivere. Era il sogno che Giovanni Paolo II affidò al mondo e alle religioni ad Assisi, nel 1986, e che oggi è la via da percorrere per l`Europa: una cultura della convivenza nella pace, nel senso del bene comune universale e nel rispetto delle differenti identità.
Marco Impagliazzo


26 gennaio 2015

Verso la Giornata della Memoria #pernondimenticare

Una solidarietà che dura tutto l'anno. Gli appuntamenti con Sant'Egidio

Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria. Quel giorno 70 anni fa, nel 1945, l'apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo l'orrore della Shoah. L'antisemitismo, il razzismo, il nazionalismo divenuto idolatria della razza, avevano spinto l'Europa nell'abisso del male.
Ricordare la Shoah non è solo mantenere viva la memoria del passato, ma soprattutto far crescere e difendere una nuova cultura europea della pace e della convivenza.
In questi giorni e in diversi momenti dell'anno, la Comunità di Sant'Egidio si fa particolarmente vicina ai fratelli di religione ebraica, nella preghiera e nella promozione di iniziative volte a custodire e diffondere la Memoria.


B. Rodríguez: "O somos misioneros o somos una birria de cristianos"

El primado de España ha animado a los "pequeños misioneros" a rezar "porque los niños no sufran la guerra, el hambre, el ébola, la falta de escuela".

El arzobispo de Toledo y Primado de España, Braulio Rodríguez Plaza, en la actualidad presidente la Comisión Episcopal de Misiones y de Cooperación con las Iglesias de la Conferencia Episcopal Española, se ha dirigido a la infancia misionera para decirles que o "somos misioneros" o "somos una birria de cristianos".
Monseñor Rodríguez ha presidido la Eucaristía que junto a los niños de la Infancia Misionera se ha celebrado en la Catedral de Toledo, en la que ha estado acompañado por el delegado de Misiones, Jesús López Muñoz; el deán de la Catedral, Juan Sánchez; el canónigo Cleofé Sanchéz, el párroco de San José Obrero; José Antonio Jiménez, el párroco de Escalonilla, Francisco Sánchez-Brunete, además del canónigo Tomás Ruiz, como maestro de ceremonias, ha informado la Delegación de Misiones de Toledo en un comunicado.
El arzobispo ha recordado que en la Infancia Misionera "se crece en el conocimiento del mensaje de Jesús, se participa activamente en la oración y en la celebración de los sacramentos, lo que nos lleva al deseo de vivir según el Evangelio y el compromiso de hacer partícipes a otros del amor de Dios Padre".
En ese sentido, Monseñor Rodríguez Plaza ha indicado que la Infancia Misionera "es una institución de la Iglesia para que los niños y chavales del mundo se ayuden unos a otros", preguntando a los niños sobre cuál es la mayor riqueza que poseen, a la vez que les decía "la mayor riqueza que tienen los niños católicos es que creen en Jesús".
"Esa fe hay que compartirla y no ser unos rapiñas que guardéis sólo para vosotros la fe en Jesús que recibisteis gratis. Eso pensó un obispo francés hace casi dos siglos, y así nació la Infancia Misionera, para ayudar a muchos misioneros lejos de España: son sacerdotes, religiosos y cristianos fieles laicos, muchos catequistas", ha asegurado.
También destacaba el arzobispo de Toledo que "todos somos hijos de Dios, dijo Jesús ynadie puede ser discriminado", centrando ahí el lema de este año de la Infancia Misionera 'Yo soy uno de ellos', porque la principal enseñanza de Jesús es desvelarnos que todos somos hijos de Dios y no hay distinción entre unos y otros. Por ello, ha afirmado, "quienes por la fe y el bautismo se han incorporado a la Iglesia tenemos el deber de decírselo a quien aún no lo sabe, y de esto modo todos nos convertiremos en pequeños misioneros".
"¡Animaos y vivid la Infancia Misionera", es la invitación que ha cursado el arzobispo de Toledo, pidiendo a los niños que sen "valientes" y así puedan "ser uno de ellos, de los misioneros", a la vez que les pedia que no se olviden de "rezar por los misioneros y porque los niños no sufran la guerra, el hambre, el ébola, la falta de escuela, de cariño...".
Proseguía el Arzobispo recordando que "el Papa Francisco siempre está diciendo que hay que cuidar de los niños, pero de todos, diciéndoles que Jesús les quiere y cuenta con ellos para cambiar el mundo a mejor, con menos odios e injusticias, con más alegría y compartir". (RD/EP)


25 gennaio 2015

Lampedusa: pescatori di uomini (00:21:00)

San Paolo Apostolo


«Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere". E glorificavano Dio a causa mia.» (Gàlati 1, 11-24)

24 gennaio 2015

Incontro e dialogo...

Francesco di Sales, un raffinato modello di dialogo e relazione

Si celebra oggi san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Per scoprire la figura, le virtù e gli insegnamenti tramandatici da questo grande Santo ZENIT ha intervistato il salesiano don Giuseppe Costa. Oltre che direttore della Libreria Editrice Vaticana (LEV), don Costa è consulente ecclesiastico dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana (UCSI) per Roma e il Lazio, e docente di giornalismo ed editoria presso l’Università Pontificia Salesiana. Di seguito l'intervista.

***

Chi era Francesco di Sales?
Francesco di Sales è un figlio del suo tempo ed esprime la parte migliore del suo tempo, avendo ricevuto un’educazione classica e al contempo una formazione religiosa, soprattutto da parte della madre. Vissuto tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, proviene da una famiglia nobile e consegue una formazione raffinata, ma riesce a tradurre la sua raffinatezza educativa in operosità cristiana in un contesto, quello di Ginevra, lacerato dalle divisioni tra cattolici e calvinisti. Attraverso la sua capacità di mediazione, divenuto vescovo, riesce da una parte ad essere fedele al dogma cattolico, dall’altra a rintuzzare con determinazione gli avversari in materia di religione, cioè il mondo protestante e le sue accuse contro la Chiesa. Oggi Francesco di Sales costituisce un modello di capacità di dialogo e di relazione. Attento nei rapporti amicali, sia con uomini che con donne, la sua amicizia con la giovane vedova Chantal offre un esempio di guida spirituale, denotando un equilibrio psicologico perfetto tra umano e spirituale. Di lui ci restano inoltre varie opere di direzione spirituale e trattati di spiritualità.

Quali i suoi carismi?
I suoi carismi nascono dal tipo di educazione che riceve. Sua madre era molto affettuosa con lui e molto religiosa. Dalla sua “Introduzione alla vita devota” affiorano al contempo l’essere devoto egli stesso e il suo essere razionale. Esprime infatti un ottimo rapporto tra fede e ragione, in quanto la sua devozione nasce da una consapevolezza intellettuale. In lui spiccava anche la prudenza. Era solito dire: “Si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto”. E disponeva anche della sapienza di saper attendere i tempi di Dio e l’incontro tra Dio e le anime.

Don Giovanni Bosco decise di scegliere il nome di Salesiani proprio in riferimento al Santo. Può spiegarci meglio?
Don Bosco era molto devoto a Francesco di Sales, perché in quel tempo la devozione a questo Santo era assai diffusa in Piemonte, confinante con l’Alta Savoia e la Svizzera. Don Bosco lo scelse quale patrono dei salesiani perché potessero imitare la sua dolcezza nel relazionarsi con gli altri, la sua capacità di pazienza con i giovani e perché si ispirassero al suo umanesimo.

Perché, invece, san Francesco di Sales è stato scelto come patrono dei giornalisti?
Nella sua attività pastorale, mandato vescovo nel Chiablese, per contrastare la diffusione del calvinismo era solito stampare dei foglietti settimanali, veri e propri memoriali religiosi, che distribuiva casa per casa e affiggeva pure sugli alberi. Unita alla sua grande capacità di scrittura, questa sua attività ha fatto sì che quando si è dovuto scegliere un patrono per i giornalisti, si è pensato a lui.

Alla luce degli insegnamenti di san Francesco, quali sono, secondo lei, le sfide moderne per la comunicazione religiosa?
Indubbiamente, per quanto riguarda la comunicazione religiosa, sono cadute delle barriere. Oggi è possibile fare più informazione religiosa rispetto al passato. Ma ciò non significa che non ci siano difficoltà… Tutt’altro! Le difficoltà sono cresciute sia per via di un accentuato multiculturalismo religioso, non solo di religioni monoteistiche ma anche di tipo settario, sia a causa di una secolarizzazione in agguato, che tende a marginalizzare il sacro. Ciò impone un’attenzione professionale più profonda. L’informazione religiosa dev’essere la più qualificata possibile. Le nuove tecnologie sono infatti dei fattori moltiplicatori e acceleratori, che comportano il rischio che si diffondano, senza alcun controllo, stereotipi, esagerazioni e superstizioni.

Un altro Francesco, il Papa, con il suo stile essenziale e diretto sta rivoluzionando la comunicazione. Quali sono secondo lei i segreti della sua efficacia e popolarità?
I segreti sono anzitutto la sua immediatezza e semplicità in mezzo alla gente. La capacità di guardare in faccia le persone permette al Pontefice una comunicazione diretta che non passa da canali fuorvianti. Usare immagini ed espressioni proprie della gente comune, fa sì che la sua parola venga colta come un fatto immediato.


Beata Maria Troncatti


23 gennaio 2015

Pisai celebra 50 anni, 'comprendere religione dell'altro'


CITTA' DEL VATICANO - Il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica (Pisai) celebra il 50/mo anniversario della sua apertura a Roma ribadendo l'intento che lo ha sempre ispirato: "Studiare e comprendere la religione dell'altro". Lo fa con un convegno internazionale, cui parteciperanno rilevanti personalità impegnate nel dialogo islamo-cristiano, per favorire "un riconoscimento reciproco tra le religioni e le culture nel mondo di oggi", iniziativa che assume un rilievo particolare dopo i tragici fatti di Parigi.
Il convegno, che si svolgerà dal 22 al 24 gennaio alla Pontificia Università Urbaniana, è organizzato in collaborazione con la Congregazione per l'Educazione Cattolica, la Repubblica Federale di Germania e la Georgetown University di Washington D.C. e con il patrocinio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e della stessa Università Urbaniana.
Personalità accademiche e religiose di primo piano provenienti da Europa, Stati Uniti, Asia, Africa e Medio Oriente si confronteranno sullo studio e la conoscenza reciproci tra cristiani e musulmani, valutando insieme la situazione attuale dell'insegnamento e della comprensione dell'Islam in ambito cristiano, del Cristianesimo in ambito musulmano e dei benefici sociali e politici che questo approccio può generare. Tra i relatori delle due giornate: i professori John Borelli e Josè Casanova della Georgetown University, mons. Michael Fitzgerald, già presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e nunzio al Cairo, il docente Mohammed S. Dajani Daoudi, fondatore e direttore del movimento Wasatia di Gerusalemme, altri docenti come Siti Syamsiyatun, della Università Gadjah Mada di Yogyakarta (Indonesia), Amer Al-Hafi, del Royal Institute for Inter-Faith Studies di Amman, l'imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vice presidente del Coreis.
Il convegno sarà concluso da un'udienza particolare di Papa Francesco. (ANSAmed).


3° Domingo T.O. Ciclo B




3° Domenica T.O. Anno B


Mario Giro: Il prezzo di due mani pulite


Comunità di Sant'Egidio - Mario Giro sottosegretario di stato al Ministero degli Affari Esteri alla presentazione del libro :" Il prezzo di due mani pulite"

Resistere alla corruzione si può: l'ha fatto Floribert, giovane congolese di Sant'Egidio, che ha dato la vita

Alla presentazione del libro "Il prezzo di due mani pulite", il procuratore di Roma Pignatone: "Floribert mi ricorda tutti coloro che anche in Italia hanno difeso la giustizia e i poveri sacrificando la propria vita"

"La corruzione è uno di quei mali che accompagnano la vita degli uomini",  ma non è vero che non si può fare niente: "Possiamo fare molto, qualcosa di importante dicendo i nostri sì e i nostri no". Lo ha detto il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, presentando il libro "Il prezzo di due mani pulite", che racconta la storia la storia di Floribert Bwana Chui, giovane di Sant'Egidio e funzionario congolese che nel 2007 pagò con la vita il suo "no" alla corruzione.
Alla presentazione, nella basilica di San Bartolomeo all'Isola, il presidente di Sant'Egidio Marco Impagliazzo ha sottolineato come la figura di Floribert mostri la gratuità come valore rivoluzionario per il futuro dell'Africa nella battaglia contro la corruzione, che ha sempre come prime vittime i poveri. Un "martire della corruzione", così l'hanno definito il vescovo ausiliare di Roma Matteo Zuppi, il sottosegretario agli Esteri Mario Giro, il giornalista Gerolamo Fazzini, e il politico e scrittore Jean-Leonard Touadi, che ha aggiunto: "Floribert ci mostra la quotidianità di Sant'Egidio in Africa: scuola di valori, di empatia con la propria terra e di scelta per i poveri".

http://www.santegidio.org

Pignatone: L'ingiustizia si vince con i nostri no come fece Floribert


Comunità di Sant'Egidio - Il prezzo di due mani pulite

Un giovane contro la corruzione nella Repubblica Democratica del Congo. Floribert Bwana Chui è un giovane credente, estroverso e ottimista, che si affaccia all'età adulta in una Repubblica Democratica del Congo appena uscita dalla guerra civile. Terminati gli studi universitari, conosce la Comunità di Sant'Egidio e ne resta affascinato, tanto da suscitare a Goma una comunità locale, radicata nella preghiera e nel servizio ai più poveri. Si appassiona in particolare al mondo dei ragazzi di strada. Attivo anche in politica, sogna una società interculturale, in cui tutti possano vivere in pace. A venticinque anni trova lavoro come caposervizio dell'Agenzia congolese che vigila sulla qualità delle merci in entrata e in uscita dal Paese.
Floribert intende lavorare con rettitudine, nonostante viva in uno dei contesti tra i più violenti e corrotti del mondo. Quando gli offrono migliaia di dollari perché faccia passare una partita di riso avariato, il giovane rifiuta. E continua a farlo anche quando seguono le minacce. "In quanto cristiano non posso permetterlo; meglio morire che mettere a rischio la vita della gente", dice. La sua coscienza gli impedisce di scendere a patti. Ed è la morte.
Martire dell'integrità di fronte alla corruzione, Floribert indica una via di riscatto per il Congo e per l'Africa.

http://www.santegidio.org/

21 gennaio 2015

Laura Vicuña, frutto del cuore missionario delle prime FMA in America

Santiago del Cile (Cile), 5 aprile 1891 - Junin de los Andes (Argentina), 22 gennaio 1904

“La vera Laura Vicuña ci è più vicina, sviluppa la dimensione di bambinetta latinoamericana”.






19 gennaio 2015

Essere testimoni e missionari della gioia del Vangelo




«L’Apostolo ci dice che, dal momento che Dio ci ha scelti, noi siamo stati abbondantemente benedetti! Dio «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1,3). Queste parole hanno una speciale risonanza nelle Filippine, perché è il primo Paese cattolico in Asia; questo è già uno speciale dono di Dio, una benedizione speciale. Ma è anche una vocazione. I Filippini sono chiamati ad essere eccellenti missionari della fede in Asia.»

«Il Santo Niño continui a benedire le Filippine e a sostenere i cristiani di questa grande nazione nella loro vocazione ad essere testimoni e missionari della gioia del Vangelo, in Asia e nel mondo intero.»

Papa Francesco durante l'Omelia (Manila, 18 gennaio 2015)

Settimana unità cristiani. Bianchi: ecumenismo promuove pace

Al via questa domenica la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto per quest’anno è la domanda che Gesù fa alla samaritana: “Dammi un po’ da bere”. Al microfono di Roberta Barbi ci spiega il tema mons. Mansueto Bianchi, presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo:
R. – Il senso del tema è questo: la necessità che le nostre Chiese hanno di donarsi reciprocamente le loro specificità. La differenza tra i diversi percorsi ecclesiali, le diverse sottolineature, possono diventare contenuto e occasione di dialogo reciproco, attraverso il quale ciascuna Chiesa dona all’altra la propria acqua, cioè la propria ricchezza.

D. - Il tema è stato sviluppato dai giovani brasiliani…
R. – È stato sviluppato dai giovani brasiliani nel contesto delle problematiche che quella nazione si trova ad affrontare, che sono problematiche di giustizia sociale, di rispetto della destinazione universale dei beni, soprattutto dei beni elementari della vita, primo tra tutti la disponibilità del bene dell’acqua.

D. – A che punto è il dialogo con le altre Chiese cristiane?
R. – Il dialogo con le altre Chiese cristiane è entrato, con l’elezione di Papa Francesco, in una stagione nuova. Ci sono due punte del dialogo che erano molto avanzate: la punta, per così dire, dell’ecumenismo spirituale, come fraternità in atto nelle relazioni tra le Chiese e nelle relazioni tra le persone; l’altra punta avanzata era quella del dialogo teologico.

D. – Cosa possiamo fare noi, ognuno nel proprio piccolo, per la riconciliazione di tutti i battezzati?
R. – Io direi che c’è da fare molto, soprattutto a livello delle nostre Chiese locali, delle nostre comunità cristiane.

D. – Papa Francesco ha chiuso la Settimana di preghiera dello scorso anno dicendo: “Camminare insieme è già fare unità”. È da qui, dunque, che parte il cammino per costruire la pace?
R. – Sì! Il dialogo ecumenico come elemento di promozione di civiltà e civiltà vuol dire pace, vuol dire un nuovo sistema economico, vuol dire nuovi stili e nuovi contenuti di relazioni tra i popoli, tra i Paesi. Il dialogo ecumenico è veramente un punto forte di pace, diventa uno scendere della pace di Dio dentro l’umanità, ma diventa anche un crescere, un maturare della razionalità delle persone, della coscienza delle persone su questo valore.


18 gennaio 2015

Todos sin fronteras

Giornata migranti. Perego: frontiere siano strade per unire

Si celebra questa domenica la 101.ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Al centro della riflessione, il messaggio di Papa Francesco sul tema “Chiesa senza frontiere, Madre di tutti”. Federico Piana ne ha parlato con mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes:
R. – In questo momento, per i fatti che sono capitati a Parigi e che stanno capitando anche in altre parti del mondo, ma anche per la situazione economica che esiste nel contesto europeo, il messaggio del Papa è importante, perché ritorna a rileggere la frontiera non come una categoria di esclusione, di divisione di tipo nazionalistico, non legge la frontiera come invito ad un ritorno al controllo delle frontiere del Mediterraneo, ma invita a leggere la frontiera come una strada, una strada per unire le persone e la Chiesa, come una madre che cerca di camminare su questa strada proprio perché le persone non siano divise e non nascano contrapposizioni, discriminazioni e intolleranze.

D. – C’è un passo di questo messaggio, che dice: “La Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti, senza distinzioni e senza confini, per annunciare a tutti che Dio è amore”. E purtroppo, mons. Perego, dopo questi fatti probabilmente il cuore di molti si è chiuso, mentre il Papa – lo abbiamo ascoltato – chiede di aprirlo questo cuore…
R. – Certamente l’attualità di questo messaggio è proprio quella di essere indirizzato alla nostre comunità, affinché non siano vittime anch’esse della paura, della discriminazione di fronte ad alcuni fatti, ma reagiscano invece con un supplemento di accoglienza, di cittadinanza; con una capacità anche di leggere oltre queste situazioni per riuscire a costruire una sicurezza che nasce dal dialogo, dal dialogo tra le persone, dal dialogo tra le religioni, che sono alcuni dei temi fondamentali oggi su cui costruire effettivamente una sicurezza nel futuro. Come ha recentemente anche affermato il cardinale Tauran: “La religione non è il problema in questo momento, ma è semmai la soluzione al problema”.

D. – E proprio Papa Francesco ricorda che il carattere multiculturale delle società odierne incoraggia la Chiesa ad assumersi nuovi impegni di solidarietà, di comunione e di evangelizzazione. Quali sono secondo lei, mons. Perego, questi impegni nuovi che la Chiesa si deve assumere?
R. – Certamente dei percorsi che aiutino a mettere in relazione le persone. Le nostre comunità sono chiamate ad essere dei laboratori, in cui le persone che provengono anche da storie diverse, da Paesi diversi – se pensiamo all’Italia, da 190 nazionalità diverse – possono ritrovarsi e costruire un cammino comune, possono riconoscersi. L’integrazione passa dal riconoscimento dell’altro, passa attraverso la capacità anche di rispettare e, al tempo stesso, di dialogare con esperienze religiose diverse; ma passa anche attraverso la capacità di costruire dei percorsi che siano dei percorsi anche di accoglienza di persone che arrivano da altri mondi, da altre situazioni e non di rifiuto e di esclusione; passa attraverso la tutela dei diritti fondamentali delle persone e in Italia, in questo momento, anche del diritto di asilo. La nostra Chiesa, le nostre chiese, le nostre comunità sono invitate dal Papa ad essere laboratori effettivamente capaci di elaborare questi cammini nuovi.


P. Albanese e Ovadia su libertà espressione e rispetto fedi

In questi giorni è sempre vivace il dibattito sul rapporto tra libertà di espressione e rispetto delle religioni, in un contesto di accresciuta tensione e allerta terrorismo. In vari Paesi musulmani si registrano proteste per le nuove vignette di Charlie Hebdo. Fausta Speranza ha intervistato a questo proposito padre Giulio Albanese, direttore delle riviste delle Pontificie opere missionarie, e Moni Ovadia, scrittore, drammaturgo e cantante ebreo. Sentiamo padre Albanese:

R. - Ho ricevuto proprio in questi giorni una mail davvero affettuosa da parte di un missionario che lavora in un Paese mediorientale, il quale esprimeva a chiare lettere la sua sofferenza, il suo disagio, perché chiaramente quello che sta succedendo in Europa, soprattutto a seguito di questo attentato terroristico infame, qualcosa davvero di aberrante e che va sempre stigmatizzato. Purtroppo la reazione di certa satira, di certa vignettistica, non fa altro che gettare benzina sul fuoco, e poi a pagarne le conseguenze in certi Paesi - dove comunque delle componenti di intransigenza, di fondamentalismo sono radicate anche a livello culturale - sono coloro che comunque vengono dall’Occidente. Dato che l’islam - non dimentichiamolo - ha una valenza anche teocratica in cui l’aspetto politico è intimamente connesso a quello religioso, spesso si fa di tutte le erbe un fascio. Credo che oggi la vera sfida sia sul piano dialogico: il giornalismo, da questo punto di vista, a mio avviso, è davvero la prima forma di solidarietà, deve scuotere le coscienze. Quindi, per carità, assolutamente mai legittimare le scelte violente da parte di questi jihadisti, ci mancherebbe. Bisogna però anche avere buon senso e soprattutto evitare di radicalizzare il confronto tra Oriente ed Occidente. La sfida si gioca anche sul piano culturale in modo perspicace. In fondo, quello che ci chiedono i nostri missionari è, davvero, moderazione.

D. - In qualche modo l’espressione di Papa Francesco con il pugno all’insulto alla madre ci ha voluto ricordare che umanamente - certo non dovrebbe essere così - ma umanamente c’è da aspettarsi una reazione ad un insulto …
R. – Certamente. Non dimentichiamo che le culture sono diverse, le sensibilità sono diverse. E naturalmente proprio perché viviamo in un mondo villaggio-globale, dove questa umanità dolente di cui tutti noi facciamo parte sta vivendo le sue intrinseche contraddizioni, credo che la comunicazione sia davvero strategica. Ed è per questo che dobbiamo avere atteggiamenti radicalmente diversi da quelli di certa vignettistica, di certa propaganda e satira che certamente non fanno altro – lo si voglia o no – che acuire il divario tra Oriente ed Occidente.

D. - Bisognerebbe accompagnare una globalizzazione che è nei fatti, in quanto con grande velocità si va da un posto ad un altro, con una maturazione culturale: è così?
R. - Certo. Bisogna investire in modo perspicace soprattutto sulla società civile nel mondo islamico, perché deve essere questa e soprattutto i giovani nell’ambito universitario a rappresentare il volano di questa crescita, di questo sviluppo. Credo che questa sia una sfida che finora è rimasta disattesa, perché gli occidentali – non dimentichiamolo – hanno fatto poco o niente per promuovere gli intellettuali moderati che ci sono oggi nel mondo islamico per aiutare la società civile in questi Paesi in una maniera o nell’altra a sperimentare questo incontro con la modernità. Questo è il risultato. Allora credo che le responsabilità siano davvero reciproche da una parte e dall’altra. Guai a legittimare il jihadismo, guai a legittimare il fondamentalismo. Bisogna però, in una maniera o nell’altra, far si che quella che noi chiamiamo “la piattaforma dei diritti umani, dei diritti inalienabili della persona” possa esser rispettata davvero da tutti. Questo significa un impegno anche da parte di chi fa politica.
Ascoltiamo la riflessione di Moni Ovadia:

R. – Dico una cosa: la libertà di espressione è uno dei punti più alti a cui si è arrivati nelle società democratiche. Come dicevo, sono contrario alle censure. Mi sembra che il primo emendamento della Costituzione americana dica che nulla ti deve essere fatto, prima che tu ti sia espresso, e quindi se poi ci sono le configurazioni della calunnia, della diffamazione, allora per quello ci sono i tribunali. Detto questo, una riflessione, una discussione aperta e un confronto se la satira debba o non debba avere limiti, questa è un’altra cosa. Nell’ambito di un confronto, però, è sul piano della coscienza, cioè sul piano di ciò che attiene alla coscienza della persona. Questo sì. Io faccio, infatti, un esempio estremo: se qualcuno irridesse le vittime della pedofilia, ne facesse cioè un’immagine sconcia, volgare, io credo che ci sarebbe una reazione di rifiuto. Allora, possiamo capire che la questione della fede è molto, molto delicata, perché per i credenti, i fedeli - quelli naturalmente veri, onesti, sinceri - attiene ad una dimensione molto, molto intima. L’autentico credente dedica alla fede la sua vita, mette cioè a disposizione le sue fibre più intime. Allora, ecco, bisognerebbe fare – io credo – una riflessione, aprire una discussione, possibilmente non lo starnazzare dei talk show.

D. – Secondo lei, chi fa satira dovrebbe porselo il problema che poi ci sono popoli magari lontani che possono rimanere vittime di una reazione esagerata, che non ci piace, è condannabile ma non possiamo dimenticare che esiste?
R. – Questa è una questione delicatissima. Tutti ci dobbiamo porre il problema. E il problema va posto in termini che ogni forma di espressione che naturalmente tocchi qualcun altro, ponga un problema ovviamente di riflessione e di coscienza a ciascuno di noi. Pensi che io sono stato accusato di raccontare storielle antisemite! Naturalmente questa cosa era falsa. Io racconto solo umorismo ebraico. Le storielle magari sono anche autodelatorie, anche molto molto sapide, però assolutamente non antisemite. E’ una questione delicata. Le ripeto, credo che vada aperta una discussione e un confronto, non censura, perché la censura porta sempre verso disastri, soprattutto se a priori: una riflessione che faccia appello alla coscienza di ogni persona. Naturalmente, ripeto, per dirimere comunque controversie, anche se c’è l’offesa e la calunnia, ci sono i tribunali. Questo vale anche all’interno della fede. Per esempio, nell’ebraismo ci sono i tribunali rabbinici. Non so come dire, si va a quelli laici e a quelli rabbinici. E credo che lo stesso valga per la Chiesa. Le questioni che attengono appunto alla percezione dell’offesa e al fatto di non accettarla, dovrebbero appunto essere sempre portate, comunque, nell’ambito della giustizia.


17 gennaio 2015

Per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - L’ecumenismo spirituale della conversione

Nella Chiesa di Roma, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si conclude con la celebrazione dei vespri nella basilica di San Paolo fuori le Mura, che è presieduta dal Vescovo di Roma e che vede anche la partecipazione di rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane.

Questa ormai salda tradizione di preghiera per l’unità dei cristiani all’interno della comunità ecumenica fu avviata dal beato Papa Paolo vi il 4 dicembre 1965, quando, poco prima della conclusione del concilio Vaticano ii, egli invitò gli osservatori ecumenici a una celebrazione liturgica nella basilica di San Paolo fuori le Mura per ringraziarli per la loro partecipazione al concilio e congedarsi da loro con queste parole, denotanti grande sensibilità: «E così la vostra partenza non metterà fine, per Noi, alle relazioni spirituali e cordiali alle quali la vostra presenza al Concilio ha dato avvio; non chiude, per Noi, un dialogo iniziato silenziosamente, ma ci spinge al contrario a studiare come potremmo proficuamente proseguirlo. L’amicizia rimane» (Discorso durante la celebrazione per impetrare l’unità dei cristiani, 4 dicembre 1965). Richiamare alla memoria, con gratitudine, questo evento liturgico celebrato cinquant’anni fa è particolarmente appropriato, trattandosi della prima preghiera pubblica per l’unità dei cristiani presieduta dal Papa all’interno della comunità ecumenica.
La preghiera per l’unità dei cristiani continua a essere anche oggi il segno distintivo della ricerca ecumenica dell’unità. Con la preghiera, esprimiamo infatti la nostra convinzione di fede basata sulla consapevolezza che noi uomini non possiamo fare l’unità, né decidere la forma e il tempo della sua realizzazione, ma possiamo soltanto riceverla in dono. La preghiera per l’unità ci ricorda che la condizione di fondo anche dell’ecumenismo consiste nella dipendenza, nel bisogno di ricevere aiuto. La preghiera ci incoraggia a riconoscere la nostra propria povertà nell’impegno ecumenico e a vedere noi stessi come “mendicanti di Dio”, espressione usata da sant’Agostino per definire gli uomini. La preghiera per l’unità ci rammenta che anche nel lavoro ecumenico, come nella vita e nella fede, non tutto è il risultato di un fare e che, piuttosto, dovremmo imparare a lasciare spazio all’azione non manipolabile dello Spirito Santo e a fidarci di lui almeno quanto ci fidiamo dei nostri stessi sforzi. Il lavoro ecumenico a favore dell’unità dei cristiani è principalmente un compito spirituale, portato avanti nella convinzione che lo Spirito Santo, iniziatore dell’opera ecumenica, proseguirà e porterà a compimento ciò che ha cominciato e, nel far questo, ci mostrerà il cammino. Nell’ecumenismo, saremo in grado di compiere ulteriori passi soltanto se ritorneremo alle sue radici spirituali e approfondiremo la sua forza spirituale. L’ecumenismo potrà infatti crescere in ampiezza soltanto se si radicherà nella sua profondità spirituale.
di Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio
 per la promozione dell’unità dei cristiani

“Dammi un po’ d’acqua da bere” (Giovanni 4, 7)

Testi per
La Settimana 
di preghiera per l’unità dei cristiani

e per tutto l’anno 2015
   
“Dammi un po’ d’acqua da bere” 
(Giovanni 4, 7)

Jésus lui dit : « Donne-moi à boire » (Jn 4, 7)

Textes pour
la Semaine de prière pour l’unité des chrétiens
et pour toute l’année 2015

Jésus lui dit :
« Donne-moi à boire »

(Jn 4, 7)

Jesus lhe disse: Dá-me de beber! (João 4,7)

Subsídios para a
 SEMANA DE ORAÇÃO PELA UNIDADE DOS CRISTÃOS
 e para todo o ano de 2015

Jesus lhe disse: Dá-me de beber!
(João 4,7)

Jesus said to her: "Give me to drink" (John 4:7)

Resources for
THE WEEK OF PRAYER FOR CHRISTIAN UNITY
and throughout the year 2015

Jesus said to her: "Give me to drink"
(John 4:7)

Jesús le dice: «Dame de beber» (Juan 4, 7)

Materiales para la
SEMANA DE ORACIÓN POR LA UNIDAD DE LOS CRISTIANOS
y para el resto del año 2015

Jesús le dice: «Dame de beber»
(Juan 4, 7)

Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani - Italiano




XIII Encuentro de Catequesis Indígena y Campesina


Los días 19, 20, 21 y 22 de Enero del 2015 en Tuxtepec, Oaxaca - México, se realizará el XIII Encuentro de Catequesis Indígena y Campesina. Los participantes serán recibidos por Monseñor José Antonio Fernández Hurtado, responsable nacional de la Dimensión de Evangelización y Catequesis junto con  el Equipo del SEDEC, el día 19 por la tarde en la Catedral de Tuxtepec, los mismos serán hospedados en diversas Familias. 

Tema General: La Exhortación del Papa Francisco,  “La Alegría del Evangelio” desde la óptica Catequística. 

Objetivo del encuentro:
Profundizar la “Evangelii Gaudium”, (“La Alegría del Evangelio”)  para crecer en identidad y compromiso evangelizador como catequistas, como comunidad catequística, y como pueblos indígenas y campesinos, fieles al encargo que nos hace María Santísima  de Guadalupe, en el momento histórico que nos toca vivir, en nuestro ‘aquí y nuestro ahora’.

Objetivos específicos:

1. Releer la Exhortación  “La Alegría del Evangelio” desde nuestro ministerio.
2. Descubrir los retos que tenemos los catequistas indígenas y campesinos ‘en esta hora, que es la nuestra’, y buscar juntos caminos de solución.
3. Hacer que la alegría de nuestro encuentro con Cristo Jesús y su evangelio nos haga construir el Reino en nuestros ambientes: familia, parroquia y comunidad pueblo.
4. Fortalecer los lazos de amistad entre nosotros.

Temas de Profundización:

1º “La  Alegría  del  Evangelio” (P. Cipriano Ramos Cruz, Tuxtepec)
2º “La Comunidad catequística en los pueblos indígenas y campesinos” (P. Raúl Prado G. sdb  y P. Pedro González V. sdb).
3º “No se dejen robar la alegría del Evangelio” (Hna. Ofelia Vargas M. HSCMG)
4º “El Evangelio y su fuerza transformadora, perspectivas pastorales” (P. Jorge Alberto Vázquez y Sor Amalia Orozco fma)