15 settembre 2014

Caritas Internationalis: profughi in Medio Oriente, dramma insostenibile

È incentrata sulla crisi in Medio Oriente, in particolare in Siria, in Iraq e a Gaza, la riunione convocata da Caritas Internationalis, da oggi a mercoledì a Palazzo San Calisto, a Roma. Presenti i responsabili delle Caritas della regione, assieme ai partner internazionali, per mettere a punto una strategia comune. La guerra in Siria, l’avanzata degli estremisti dello Stato Islamico (Is), la ripresa del conflitto in Iraq, l’attacco israeliano su Gaza hanno provocato un’emergenza che coinvolge non solo le zone interessate dalle violenze, con un flusso inarrestabile di sfollati interni, ma anche i Paesi limitrofi: il Libano accoglie oltre un milione di rifugiati siriani, la Giordania più di 600 mila, la Turchia supera gli 800 mila. Proprio a causa dei combattimenti in Siria, ci sono 13 milioni di persone bisognose di aiuto. La rete Caritas negli ultimi tre anni ha risposto alle necessità di 965 mila persone in Siria, Iraq e a Gaza fornendo alloggi, assistenza sanitaria, cibo, istruzione. Per un quadro della situazione in Iraq, in particolare per i cristiani, Giada Aquilino ha intervistato mons. Shlemon Warduni, presidente di Caritas Iraq:

R. - La situazione dei cristiani in Iraq è molto precaria, difficile, specialmente per i cristiani del Nord, di Mosul e della Piana di Ninive, perché sono stati cacciati dalle loro case, dai loro villaggi, hanno perso tutto. Non hanno lasciato che prendessero niente.

D. - Perché sono stati cacciati? E da chi?
R. - Perché sono cristiani. E miliziani dell’Is o Daash hanno questo spirito di fanatismo terribile, non hanno coscienza, fanno degli atti cannibaleschi perché sono inumani contro l’umanità! Cosa hanno fatto ai bambini, alle donne, ai poveri, agli anziani? Li hanno lasciati camminare scalzi e con 48° al sole! Hanno preso le loro macchine, hanno fatto tutto. E come e perché? E da dove? Noi ci chiediamo anche questo. Certamente ci sono Nazioni che li aiutano e questo dovrebbe essere messo in evidenza.

D. - Dove si trovano ora i cristiani, soprattutto quelli del Nord?
R. - I cristiani di Mosul e della Piana di Ninive si trovano ancora più a Nord, nei villaggi cristiani. Anche la Chiesa ha cercato di trovare dei posti, dei luoghi dove farli vivere. In 120 mila sono arrivati dalla Piana di Ninive, in 30-40 mila da Mosul e molti di loro, come dicevo, non avevano niente: dormivano sotto le stelle. E (questi miliziani, ndr) sono stati così cattivi che una donna ha partorito in un giardino.

D. - Come sta operando la Caritas e a quale strategia si punta con la riunione a Palazzo San Calisto?
R. - All’inizio abbiamo detto al direttore, ai funzionari, ai volontari: “Ecco, questo è il tempo di lavorare per la Caritas, per amore. Ascoltiamo la Parola del Signore che dice: “Tutto ciò che avete fatto per uno dei miei piccoli fratelli, lo avete fatto per me”. E abbiamo aiutato più di 7.500 famiglie. Ora, con questa riunione, dobbiamo arrivare a dei risultati, per aiutare queste famiglie non solo in Iraq ma anche in Siria, Gaza, Libano: ovunque c’è bisogno di aiuto, la Caritas deve darsi da fare.

D. - Cosa serve urgentemente?
R. - Prima di tutto i viveri, medicine, anche un po’ di denaro per comprare qualche vestito, qualcosa, poi anche un tetto. Adesso arriva l’inverno: cosa faranno? E per i bambini poveri che vogliono andare scuola? Le scuole, che ospitano i profughi, saranno svuotate e queste persone non avranno più un riparo.

La Caritas è presente anche in Libano, accanto ai profughi. Sentiamo padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, intervistato da Giada Aquilino: 

R. – Abbiamo un grande problema: in Libano sono presenti già un milione e 600 mila siriani e ultimamente abbiamo raggiunto quasi 400 famiglie che vengono dall’Iraq e ogni giorno ci sono nuovi arrivi. Inoltre abbiamo il problema dei profughi palestinesi, che sono presenti sul nostro territorio già da 60 anni. Dunque, è emergenza a livello di numeri, soprattutto perché il Libano non è un Paese grande e la nostra popolazione, i nostri fedeli si stanno impoverendo da un giorno all’altro. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché si assuma le proprie responsabilità per fermare questo ‘gioco politico’ in atto nella regione.

D. – Cosa raccontano i profughi?
R. – Sono stato in Iraq con la delegazione ufficiale dei Patriarchi. Davvero, è una vera tragedia che ci porta le lacrime agli occhi: quando, per esempio, vedi persone che hanno camminato per circa 70 chilometri, per nove ore al giorno, poi si attaccano alla tua veste, alla tua croce e ti dicono: “padre, prega per me, benedicimi”, oppure ti chiedono: “pace: vogliamo la pace, vogliamo tornare nella nostra terra, nella nostra casa” … questo tocca il nostro cuore. Anche i siriani sono fuori dalle loro case, dalla loro terra. Ma è tutta la problematica politica, che ruota intorno a questa situazione. Inoltre i fanatici sono aumentati tanto. Prima si parlava della rivoluzione, adesso non se ne parla più; abbiamo sentito parlare dell’Esercito libero, adesso non se ne parla più. Adesso si parla soltanto di jihadisti, di fanatici. E questo risolve il problema di tutta una zona ferita?

D. – Quando è andato a Erbil, ma anche quando parla con i profughi in Libano, cosa raccontano di questi combattenti? Perché agiscono così i miliziani dello Stato Islamico?
R. – Quando uno non crede più ai diritti umani, non crede più alla libertà religiosa, non crede più alla convivenza tra i popoli, quando uccidono, cosa possiamo chiedere a una persona così?

D. – Come la Caritas Libano è impegnata affianco di questi profughi?
R. – A livello nazionale, in Libano noi abbiamo già avviato un piano urgente di aiuti che riguarda soprattutto alloggi, kit alimentari e igienici, cerchiamo anche di provvedere - dove possibile - ai luoghi per alloggiare le persone: anche questa è una grande emergenza. E la cosa grave che affrontiamo con i nostri assistenti sociali, è che la maggior parte di questi profughi, fratelli iracheni, entrano in Libano avendo in mente di voler prendere un visto per andare in Occidente. E’ un grande peccato per i nostri fratelli iracheni: non dovrebbero mai lasciare la loro terra.

D. – Cosa vi aspettate dalla riunione della Caritas Internationalis?
R. – Che ci sia un appello molto forte a livello della politica internazionale, perché ci sia una vera giustizia in tutta la zona.


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