È incentrata sulla crisi in Medio
Oriente, in particolare in Siria, in Iraq e a Gaza, la riunione convocata da
Caritas Internationalis, da oggi a mercoledì a Palazzo San Calisto, a Roma.
Presenti i responsabili delle Caritas della regione, assieme ai partner
internazionali, per mettere a punto una strategia comune. La guerra in Siria,
l’avanzata degli estremisti dello Stato Islamico (Is), la ripresa del conflitto
in Iraq, l’attacco israeliano su Gaza hanno provocato un’emergenza che
coinvolge non solo le zone interessate dalle violenze, con un flusso
inarrestabile di sfollati interni, ma anche i Paesi limitrofi: il Libano
accoglie oltre un milione di rifugiati siriani, la Giordania più di 600 mila,
la Turchia supera gli 800 mila. Proprio a causa dei combattimenti in Siria, ci
sono 13 milioni di persone bisognose di aiuto. La rete Caritas negli ultimi tre
anni ha risposto alle necessità di 965 mila persone in Siria, Iraq e a Gaza
fornendo alloggi, assistenza sanitaria, cibo, istruzione. Per un quadro della situazione
in Iraq, in particolare per i cristiani, Giada Aquilino ha intervistato mons.
Shlemon Warduni, presidente di Caritas Iraq:
R. - La situazione dei cristiani
in Iraq è molto precaria, difficile, specialmente per i cristiani del Nord, di
Mosul e della Piana di Ninive, perché sono stati cacciati dalle loro case, dai
loro villaggi, hanno perso tutto. Non hanno lasciato che prendessero niente.
D. - Perché sono stati cacciati?
E da chi?
R. - Perché sono cristiani. E
miliziani dell’Is o Daash hanno questo spirito di fanatismo terribile, non
hanno coscienza, fanno degli atti cannibaleschi perché sono inumani contro
l’umanità! Cosa hanno fatto ai bambini, alle donne, ai poveri, agli anziani? Li
hanno lasciati camminare scalzi e con 48° al sole! Hanno preso le loro
macchine, hanno fatto tutto. E come e perché? E da dove? Noi ci chiediamo anche
questo. Certamente ci sono Nazioni che li aiutano e questo dovrebbe essere
messo in evidenza.
D. - Dove si trovano ora i
cristiani, soprattutto quelli del Nord?
R. - I cristiani di Mosul e della
Piana di Ninive si trovano ancora più a Nord, nei villaggi cristiani. Anche la
Chiesa ha cercato di trovare dei posti, dei luoghi dove farli vivere. In 120
mila sono arrivati dalla Piana di Ninive, in 30-40 mila da Mosul e molti di
loro, come dicevo, non avevano niente: dormivano sotto le stelle. E (questi
miliziani, ndr) sono stati così cattivi che una donna ha partorito in un
giardino.
D. - Come sta operando la Caritas
e a quale strategia si punta con la riunione a Palazzo San Calisto?
R. - All’inizio abbiamo detto al
direttore, ai funzionari, ai volontari: “Ecco, questo è il tempo di lavorare
per la Caritas, per amore. Ascoltiamo la Parola del Signore che dice: “Tutto
ciò che avete fatto per uno dei miei piccoli fratelli, lo avete fatto per me”.
E abbiamo aiutato più di 7.500 famiglie. Ora, con questa riunione, dobbiamo
arrivare a dei risultati, per aiutare queste famiglie non solo in Iraq ma anche
in Siria, Gaza, Libano: ovunque c’è bisogno di aiuto, la Caritas deve darsi da
fare.
D. - Cosa serve urgentemente?
R. - Prima di tutto i viveri,
medicine, anche un po’ di denaro per comprare qualche vestito, qualcosa, poi
anche un tetto. Adesso arriva l’inverno: cosa faranno? E per i bambini poveri
che vogliono andare scuola? Le scuole, che ospitano i profughi, saranno
svuotate e queste persone non avranno più un riparo.
La Caritas è presente anche in
Libano, accanto ai profughi. Sentiamo padre Paul Karam, presidente di
Caritas Libano, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Abbiamo un grande problema:
in Libano sono presenti già un milione e 600 mila siriani e ultimamente abbiamo
raggiunto quasi 400 famiglie che vengono dall’Iraq e ogni giorno ci sono nuovi
arrivi. Inoltre abbiamo il problema dei profughi palestinesi, che sono presenti
sul nostro territorio già da 60 anni. Dunque, è emergenza a livello di numeri,
soprattutto perché il Libano non è un Paese grande e la nostra popolazione, i
nostri fedeli si stanno impoverendo da un giorno all’altro. Facciamo appello
alla comunità internazionale affinché si assuma le proprie responsabilità per
fermare questo ‘gioco politico’ in atto nella regione.
D. – Cosa raccontano i profughi?
R. – Sono stato in Iraq con la
delegazione ufficiale dei Patriarchi. Davvero, è una vera tragedia che ci porta
le lacrime agli occhi: quando, per esempio, vedi persone che hanno camminato
per circa 70 chilometri, per nove ore al giorno, poi si attaccano alla tua
veste, alla tua croce e ti dicono: “padre, prega per me, benedicimi”, oppure ti
chiedono: “pace: vogliamo la pace, vogliamo tornare nella nostra terra, nella
nostra casa” … questo tocca il nostro cuore. Anche i siriani sono fuori dalle
loro case, dalla loro terra. Ma è tutta la problematica politica, che ruota
intorno a questa situazione. Inoltre i fanatici sono aumentati tanto. Prima si
parlava della rivoluzione, adesso non se ne parla più; abbiamo sentito parlare
dell’Esercito libero, adesso non se ne parla più. Adesso si parla soltanto di
jihadisti, di fanatici. E questo risolve il problema di tutta una zona ferita?
D. – Quando è andato a Erbil, ma
anche quando parla con i profughi in Libano, cosa raccontano di questi
combattenti? Perché agiscono così i miliziani dello Stato Islamico?
R. – Quando uno non crede più ai
diritti umani, non crede più alla libertà religiosa, non crede più alla
convivenza tra i popoli, quando uccidono, cosa possiamo chiedere a una persona
così?
D. – Come la Caritas Libano è
impegnata affianco di questi profughi?
R. – A livello nazionale, in
Libano noi abbiamo già avviato un piano urgente di aiuti che riguarda
soprattutto alloggi, kit alimentari e igienici, cerchiamo anche di provvedere -
dove possibile - ai luoghi per alloggiare le persone: anche questa è una grande
emergenza. E la cosa grave che affrontiamo con i nostri assistenti sociali, è
che la maggior parte di questi profughi, fratelli iracheni, entrano in Libano
avendo in mente di voler prendere un visto per andare in Occidente. E’ un
grande peccato per i nostri fratelli iracheni: non dovrebbero mai lasciare la
loro terra.
D. – Cosa vi aspettate dalla
riunione della Caritas Internationalis?
R. – Che ci sia un appello molto
forte a livello della politica internazionale, perché ci sia una vera giustizia
in tutta la zona.
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