La beatificazione di Vladimir Ghika rivela al mondo un personaggio
straordinario che praticò la carità come fosse liturgia. Così l'eucaristia
passò dall'altare alle strade del mondo
Di Antonio Gaspari
ROMA- Era un principe di
religione ortodossa, divenne cattolico, praticò la “liturgia del prossimo”
visse e abitò tra malati, poveri, bisognosi, vagabondi, detenuti. Indicò nella
carità la strada in cui cattolici e ortodossi potevano incamminarsi per tornare
insieme. Papa Pio XI lo indicò come "grande vagabondo
apostolico". Jacques Maritain disse di lui: "Principe nel mondo e per
una vocazione più alta, Sacerdote di Cristo". La sua testimonianza fu
così forte da convertire anche i più arrabbiati contro Dio. Anche l’Imperatore
giapponese chiese la sua benedizione.
Il regime comunista lo temeva al
punto da torturarlo e imprigionarlo all’età di 80 anni. Lo abbandonarono
seminudo nell’infermeria del carcere dove morì il 16 maggio 1954. Il 31
agosto è stato beatificato a Bucarest.
Stiamo parlando di Vladimir
Ghika, un personaggio leggendario, un santo.
Ghika è stato sacerdote,
confessore, direttore spirituale, conferenziere, scienziato, diplomatico. Il
suo lavoro si è svolto in tutti gli ambienti: ha incontrato, educato,
consigliato, confessato, convertito principi, re e imperatori, capi di stato,
politici, filosofi, artisti, scrittori, teologi, anarchici, occultisti,
diseredati, bestemmiatori, malati nel corpo e nello spirito.
Suo nonno, Gregorio Ghika X, è
stato l’ultimo principe regnante della Moldavia. Suo padre è stato ministro
della Difesa e degli Esteri della Romania, poi ministro plenipotenziario a
Costantinopoli presso il Sultano, a Vienna, a Roma e a San Pietroburgo in
Russia. Sua madre Alessandrina Moret de Blaremberg era un’illustre nobildonna
francese.
Vladimir nacque da tanti nobili
genitori a Costantinopoli il giorno di Natale del 1873, dove venne subito
battezzato e cresimato nella Chiesa ortodossa. Ha viaggiato e studiato in
Francia e a Roma. Nonostante le pressioni della famiglia, a 28 anni, il 15
aprile 1902, si fece cattolico. Già laureatosi in filosofia e in legge, si
laureò in teologia, con l’intento di farsi sacerdote cattolico. Fu
ricevuto da Pio XI, il quale lo convinse a impegnarsi nell’apostolato dei
laici.
Tornato in Romania si dedicò alle
opere di carità. Aprì il primo dispensario gratuito di Bucarest ”,
diede vita ad un grande sanatorio “San Vincenzo de Paoli”, fondò il primo
ospedale gratuito e attivò la prima ambulanza. Assistette le vittime
della guerra dei Balcani nel 1913 e ai malati di colera.
Durante la prima guerra mondiale
si occupò di missioni diplomatiche, delle vittime del terremoto di Avezzano,
dei tubercolotici di un ospedale di Roma, dei feriti di guerra. Fu in
questo periodo che cominciò ad elaborare la “liturgia del prossimo” che diventò
il centro di ogni sua azione.
Ha scritto il beato a proposito
della liturgia del prossimo: “Doppia e misteriosa liturgia: il povero vede
Cristo venire a lui sotto le specie di colui che lo soccorre, e il benefattore
vede apparire nel povero il Cristo sofferente, sul quale egli si china. Ma, per
ciò stesso, si tratta di un’unica liturgia”. “Infatti, se il gesto è
compiuto come si deve, da ambedue i lati c’è soltanto Cristo: il Cristo Salvatore
viene verso il Cristo Sofferente, e ambedue si integrano nel Cristo Risorto,
glorioso e benedicente”.
Secondo Ghika, in questo modo la
liturgia eucaristica, già celebrata sull’altare, si prolunga nella visita ai
poveri. In un certo senso, si tratta di “dilatare la Messa nella giornata e nel
mondo intero, come onde concentriche che si propagano a partire dalla comunione
eucaristica del mattino”.
Il 7 ottobre 1923, il cardinale
Guillaume Dubois arcivescovo di Parigi lo ordinò sacerdote. Poco dopo
l'ordinazione, la Santa Sede lo autorizzò a celebrare secondo il rito
bizantino. Divenne così il primo sacerdote a poter celebrare in forma bi
rituale. Fu nominato Rettore della Chiesa degli Stranieri a Parigi e andò
a vivere a Villejuif, nella periferia più pericolosa di Parigi. Fu accolto
con bestemmie e insulti. Lo picchiarono e gli tirarono le pietre. Lui accettò
tutto con pazienza e umiltà. Dopo qualche settimana cominciò a convertire con
la sua bontà.
Il beato vedeva “nell'esercizio
della carità il luogo di una nobile emulazione tra tutti i cristiani”. Per
Ghika l'ecumenismo “doveva essere fondato sull'apostolato dell'amore,
rispettando la libertà e la buona fede altrui ed evitando polemiche inutili e
dannose”. Durante la seconda guerra mondiale rimase in Romania.
Rifiutò di lasciare il paese per stare con i poveri e gli ammalati. Visitava i
detenuti nella prigione alla periferia di Bucarest per “confortarli durante i
bombardamenti, parlare di Dio e celebrare la messa”. Utilizzò la sua influenza
presso le autorità per salvare molti ebrei dalla deportazione nazista. Tramite
il nunzio apostolico sollecitò l'aiuto degli Stati Uniti d'America, perché
fornissero cibo durante la terribile carestia del 1946. Fece in modo che gli
aiuti venissero distribuiti anche ai monasteri ortodossi della Moldova.
Rimase in Romania anche quando si
insediò la dittatura comunista. Nel 1948 il Segretario Generale del
Partito Comunista e dell’Unione Sovietica Iosif Stalin decise la soppressione
della Chiesa cattolica e la persecuzione e l’asservimento allo stato di quell’Ortodossa. I
sei vescovi greco-cattolici furono imprigionati: cinque morirono in carcere,
uno solo sopravvisse a 22 anni di prigione. Stessa sorte per circa seicento
preti. Un milione e mezzo di romeni vennero arrestati e portati nelle
carceri. I campi di concentramento, inaugurati dai nazisti in Romania, furono
riattivati dai comunisti.
Durante il Sinodo dei Vescovi
sull’Eucaristia (2005), Mons. Lucian Mureşan, Presidente della Conferenza
Episcopale Romena, ha ricordato che in quel periodo “nelle carceri della
Romania, per compromettere i sacerdoti, per ridicolizzare l'Eucaristia e per
distruggere la dignità umana, i persecutori cercarono di costringerli a
celebrare con degli escrementi, ma non sono riusciti a togliere loro la fede”.
L’Osservatore Romano ha scritto
nel 1949: “In nessun’altra pagina della storia si può leggere una cronaca
simile di violenza morale e di persecuzione, ma anche di una Via Crucis di
libertà, di personalità e di dignità”.
Il 18 novembre 1952, all’età di
79 anni, mentre si recava al capezzale di un moribondo, monsignor Ghika venne
arrestato e imprigionato. Gli strapparono la veste, lo tennero per quasi un
anno al freddo, con i soli indumenti intimi.
Venne sottoposto a più di ottanta
interrogatori notturni. Venne picchiato fino a fargli perdere la vista e
l’udito. Venne torturato con la corrente elettrica, volevano che confessasse
d’essere una spia del Vaticano oppure che rinunciasse all’unione con Roma.
Nonostante fosse un anziano e fragile prete, non si piegò mai. La sua
dignità e fede furono un esempio per gli altri prigionieri.
Fu imprigionato in una cella di
cinque metri per sei dove erano già ammassati 44 prigionieri. Non si
lamentò, e si dedicò ai detenuti. Li ascoltava, li confessava, li aiutava a
pregare; recitava il rosario con chi glielo chiedeva, con altri faceva la Via
Crucis; distribuiva tra i più deboli metà del suo scarsissimo cibo e consolava
i più disperati. Al freddo, senza cure e con cibo scarso, il 16 maggio del 1954
fu trasportato nell’infermeria del carcere dove morì abbandonato e seminudo.
Ha raccontato un testimone: “Per
lui i muri della prigione non esistevano. Era libero, perché faceva la volontà
di Dio”.
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