2 settembre 2013

Era di sangue blu e scelse di diventare il principe della strada

La beatificazione di Vladimir Ghika rivela al mondo un personaggio straordinario che praticò la carità come fosse liturgia. Così l'eucaristia passò dall'altare alle strade del mondo
Di Antonio Gaspari

ROMA- Era un principe di religione ortodossa, divenne cattolico, praticò la “liturgia del prossimo” visse e abitò tra malati, poveri, bisognosi, vagabondi, detenuti. Indicò nella carità la strada in cui cattolici e ortodossi potevano incamminarsi per tornare insieme. Papa Pio XI lo indicò come "grande vagabondo apostolico". Jacques Maritain disse di lui: "Principe nel mondo e per una vocazione più alta, Sacerdote di Cristo". La sua testimonianza fu così forte da convertire anche i più arrabbiati contro Dio. Anche l’Imperatore giapponese chiese la sua benedizione.
Il regime comunista lo temeva al punto da torturarlo e imprigionarlo all’età di 80 anni. Lo abbandonarono seminudo nell’infermeria del carcere dove morì il 16 maggio 1954. Il 31 agosto è stato beatificato a Bucarest.
Stiamo parlando di Vladimir Ghika, un personaggio leggendario, un santo.
Ghika è stato sacerdote, confessore, direttore spirituale, conferenziere, scienziato, diplomatico. Il suo lavoro si è svolto in tutti gli ambienti: ha incontrato, educato, consigliato, confessato, convertito principi, re e imperatori, capi di stato, politici, filosofi, artisti, scrittori, teologi, anarchici, occultisti, diseredati, bestemmiatori, malati nel corpo e nello spirito.
Suo nonno, Gregorio Ghika X, è stato l’ultimo principe regnante della Moldavia. Suo padre è stato ministro della Difesa e degli Esteri della Romania, poi ministro plenipotenziario a Costantinopoli presso il Sultano, a Vienna, a Roma e a San Pietroburgo in Russia. Sua madre Alessandrina Moret de Blaremberg era un’illustre nobildonna francese.
Vladimir nacque da tanti nobili genitori a Costantinopoli il giorno di Natale del 1873, dove venne subito battezzato e cresimato nella Chiesa ortodossa. Ha viaggiato e studiato in Francia e a Roma. Nonostante le pressioni della famiglia, a 28 anni, il 15 aprile 1902, si fece cattolico. Già laureatosi in filosofia e in legge, si laureò in teologia, con l’intento di farsi sacerdote cattolico. Fu ricevuto da Pio XI, il quale lo convinse a impegnarsi nell’apostolato dei laici.
Tornato in Romania si dedicò alle opere di carità. Aprì il primo dispensario gratuito di Bucarest ”, diede vita ad un grande sanatorio “San Vincenzo de Paoli”, fondò il primo ospedale gratuito e attivò la prima ambulanza. Assistette le vittime della guerra dei Balcani nel 1913 e ai malati di colera.
Durante la prima guerra mondiale si occupò di missioni diplomatiche, delle vittime del terremoto di Avezzano, dei tubercolotici di un ospedale di Roma, dei feriti di guerra. Fu in questo periodo che cominciò ad elaborare la “liturgia del prossimo” che diventò il centro di ogni sua azione.
Ha scritto il beato a proposito della liturgia del prossimo: “Doppia e misteriosa liturgia: il povero vede Cristo venire a lui sotto le specie di colui che lo soccorre, e il benefattore vede apparire nel povero il Cristo sofferente, sul quale egli si china. Ma, per ciò stesso, si tratta di un’unica liturgia”. “Infatti, se il gesto è compiuto come si deve, da ambedue i lati c’è soltanto Cristo: il Cristo Salvatore viene verso il Cristo Sofferente, e ambedue si integrano nel Cristo Risorto, glorioso e benedicente”.
Secondo Ghika, in questo modo la liturgia eucaristica, già celebrata sull’altare, si prolunga nella visita ai poveri. In un certo senso, si tratta di “dilatare la Messa nella giornata e nel mondo intero, come onde concentriche che si propagano a partire dalla comunione eucaristica del mattino”. 
Il 7 ottobre 1923, il cardinale Guillaume Dubois arcivescovo di Parigi lo ordinò sacerdote. Poco dopo l'ordinazione, la Santa Sede lo autorizzò a celebrare secondo il rito bizantino. Divenne così il primo sacerdote a poter celebrare in forma bi rituale. Fu nominato Rettore della Chiesa degli Stranieri a Parigi e andò a vivere a Villejuif, nella periferia più pericolosa di Parigi. Fu accolto con bestemmie e insulti. Lo picchiarono e gli tirarono le pietre. Lui accettò tutto con pazienza e umiltà. Dopo qualche settimana cominciò a convertire con la sua bontà.
Il beato vedeva “nell'esercizio della carità il luogo di una nobile emulazione tra tutti i cristiani”. Per Ghika l'ecumenismo “doveva essere fondato sull'apostolato dell'amore, rispettando la libertà e la buona fede altrui ed evitando polemiche inutili e dannose”. Durante la seconda guerra mondiale rimase in Romania. Rifiutò di lasciare il paese per stare con i poveri e gli ammalati. Visitava i detenuti nella prigione alla periferia di Bucarest per “confortarli durante i bombardamenti, parlare di Dio e celebrare la messa”. Utilizzò la sua influenza presso le autorità per salvare molti ebrei dalla deportazione nazista. Tramite il nunzio apostolico sollecitò l'aiuto degli Stati Uniti d'America, perché fornissero cibo durante la terribile carestia del 1946. Fece in modo che gli aiuti venissero distribuiti anche ai monasteri ortodossi della Moldova.
Rimase in Romania anche quando si insediò la dittatura comunista. Nel 1948 il Segretario Generale del Partito Comunista e dell’Unione Sovietica Iosif Stalin decise la soppressione della Chiesa cattolica e la persecuzione e l’asservimento allo stato di quell’Ortodossa. I sei vescovi greco-cattolici furono imprigionati: cinque morirono in carcere, uno solo sopravvisse a 22 anni di prigione. Stessa sorte per circa seicento preti. Un milione e mezzo di romeni vennero arrestati e portati nelle carceri. I campi di concentramento, inaugurati dai nazisti in Romania, furono riattivati dai comunisti. 
Durante il Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia (2005), Mons. Lucian Mureşan, Presidente della Conferenza Episcopale Romena, ha ricordato che in quel periodo “nelle carceri della Romania, per compromettere i sacerdoti, per ridicolizzare l'Eucaristia e per distruggere la dignità umana, i persecutori cercarono di costringerli a celebrare con degli escrementi, ma non sono riusciti a togliere loro la fede”.
L’Osservatore Romano ha scritto nel 1949: “In nessun’altra pagina della storia si può leggere una cronaca simile di violenza morale e di persecuzione, ma anche di una Via Crucis di libertà, di personalità e di dignità”.
Il 18 novembre 1952, all’età di 79 anni, mentre si recava al capezzale di un moribondo, monsignor Ghika venne arrestato e imprigionato. Gli strapparono la veste, lo tennero per quasi un anno al freddo, con i soli indumenti intimi.
Venne sottoposto a più di ottanta interrogatori notturni. Venne picchiato fino a fargli perdere la vista e l’udito. Venne torturato con la corrente elettrica, volevano che confessasse d’essere una spia del Vaticano oppure che rinunciasse all’unione con Roma. Nonostante fosse un anziano e fragile prete, non si piegò mai. La sua dignità e fede furono un esempio per gli altri prigionieri.
Fu imprigionato in una cella di cinque metri per sei dove erano già ammassati 44 prigionieri. Non si lamentò, e si dedicò ai detenuti. Li ascoltava, li confessava, li aiutava a pregare; recitava il rosario con chi glielo chiedeva, con altri faceva la Via Crucis; distribuiva tra i più deboli metà del suo scarsissimo cibo e consolava i più disperati. Al freddo, senza cure e con cibo scarso, il 16 maggio del 1954 fu trasportato nell’infermeria del carcere dove morì abbandonato e seminudo.
Ha raccontato un testimone: “Per lui i muri della prigione non esistevano. Era libero, perché faceva la volontà di Dio”.


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