Ai piedi del Campidoglio una fiaccolata per dire no al razzismo e alla
violenza. Padre Ripamonti del Centro Astalli: «Le nostre periferie luogo
d’incontro e dialogo». Zeinab, ex rifugiata: «Questa città mi ha salvato la
vita».
No al razzismo, no alla violenza,
si all’accoglienza. Con una fiaccolata che ha illuminato piazza del
Campidoglio, Roma, giovedì sera, ha voluto riaffermare il suo ruolo di città
aperta. In tanti hanno aderito all’evento organizzato dai sindacati Cgil, Cisl
e Uil e dalle associazioni che lavorano a fianco dei migranti come le Acli, il
Centro Astalli, la Comunità di Sant’Egidio, il Forum del Terzo settore, Libera,
la Fondazione internazionale Don Luigi di Liegro e il Social Pride. Tutti uniti
in un gesto di pace e solidarietà, spinti in piazza dopo i gravi fatti delle
scorse settimane, che hanno visto protagonisti alcuni migranti del centro di
accoglienza per rifugiati «Un sorriso» e i residenti del quartiere romano di
Tor Sapienza.
«Le nostre periferie devono essere
luogo di incontro e dialogo – afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del
Centro Astalli del Servizio gesuiti per i rifugiati – questo è il futuro della
nostra città. L’Italia e soprattutto Roma non sono razziste. La verità è che
non si conoscono le realtà dei rifugiati e degli immigrati e solo dalla
conoscenza e dall’incontro può nascere qualcosa di positivo per tutti.
Periodicamente emergono queste situazioni che assumono il carattere
dell’emergenza, mentre bisognerebbe progettare, programmare e andare incontro
alle necessità dei territori». Il tema dell’abbandono delle periferie cammina
al passo con la realtà dei centri per i migranti e con il problema
dell’inclusione sociale: «Questa è una fiaccolata utile per rimettere al centro
dell’agenda politica il tema delle periferie – ammette Claudio di Berardino,
segretario della Cgil di Roma e Lazio -, periferie intese come possibilità
dello sviluppo dell’intera città, quindi come recupero e riqualificazione dei
servizi. Bisogna ragionare in termini di politica inclusiva, rivedendo con
legge regionale il piano regolatore sociale di Roma».
La fiaccolata è iniziata alla
base della scalinata principale che porta in piazza del Campidoglio. Un corteo
illuminato e silenzioso è arrivato fin sotto la statua di Marco Aurelio. Qui
gli organizzatori hanno preso la parola, ma solo dopo aver sentito la
testimonianza di Amar, giovane rifugiato del centro di accoglienza di Tor
Sapienza. Leggendo una lettera in un italiano stentato ma comprensibile, Amar
ha ricordato che tutti loro, rifugiati, sono esseri umani. Che sono scappati
dai loro paesi in guerra solo perché in cerca di una vita migliore. Che non
vogliono violenza ma solo essere integrati. Un po’ come ha fatto Zeinab Diolal,
somala, in Italia da 25 anni: «Roma mi ha salvato la vita. Io sono scappata
dalla guerra, se rimanevo o morivo o uccidevo. Conosco bene il disagio delle
periferie: lavoro come infermiera a Tor Pignattara. Si tratta solo di
conoscenza, come se Roma non fosse abituata ad avere cittadini diversi dagli
italiani».
«Roma è una bellissima città,
accogliente e inclusiva – ha deto Rita Cutini, assessore alle Politiche sociali
di Roma Capitale -; qui ne vediamo un volto importante, che difende le parole
come integrazione, inclusione, solidarietà, indispensabili per far vivere la
città in modo tranquillo forte e coraggioso». Le associazioni partecipanti sono
state unite da un unico comune denominatore: «Ritrovare la centralità e la
dignità della persona umana – ha detto Lidia Borzì, presidente Acli di Roma e
provincia – con la voglia di far emergere l’anima sociale di Roma che
sull’accoglienza ha una storia, ed oggi un esempio luminoso in Papa Francesco».
Non solo a fianco dei migranti, ma in piazza si stava anche per contrastare chi
vuole seminare odio: «Roma non è razzista – afferma Gianni Palumbo, portavoce
del Forum del Terzo settore del Lazio – lo è chi lavora nel torbido per
sollevare una volontà, per trasformare in razzista le difficoltà delle
periferie da troppo tempo abbandonate, questo è il problema».
Inevitabile è stato per tutti il
riferimento alla recente inchiesta «Mondo di mezzo», con la quale è stata
scoperta un’associazione a delinquere di stampo mafioso a Roma, con politici e
manager coinvolti in affari illeciti tra cui la gestione dei centri di
accoglienza per i rifugiati e i campi rom. «Non sapevamo che sui rom e sui
migranti si guadagnava di più rispetto al traffico di droga – ha affermato
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, riferendosi a quanto
emerso da alcune intercettazioni -. Nella politica romana oggi c’è della
criminalità organizzata bipartisan e questo mina la democrazia della città. È
necessario ricostruire un dialogo sociale e culturale». Una realtà possibile:
«Roma ha una vocazione universale – dice Daniela Pompei, responsabile del
servizio immigrazione di Sant’Egidio – le periferie della città sono costituite
da romani di adozione, calabresi, abruzzesi, che oggi potrebbero essere romeni,
filippini. Cittadini romani a pieno titolo, cittadini di questa bellissima
città».
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