11 ottobre 2016

Migrare è un diritto. Ma per tutti?


Quand’è che migrare è un diritto? Per chi? Per cosa? Ma è davvero un diritto? Si, lo è. É un diritto di tutti e tutte. L’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, attualmente firmata da tutti gli stati aderenti alle Nazioni Unite, afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, ma ha anche il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornarci”.

Come tutte le dichiarazioni non è formalmente vincolante per gli Stati membri, ma i principi che la compongono sono ormai considerati, dal punto di vista sostanziale, come principi generali del diritto internazionale e come tali vincolanti per tutti i soggetti di tale ordinamento.

Il diritto a spostarsi è ripreso dal Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 il cui articolo 12 ribadisce che i diritti affermati dalla Dichiarazione “non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà, e siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti dal presente Patto” e che “nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese”.

I principi però sono belli seppur difficili da capire e tradurre perché si prestano ad una pluralità di interpretazioni. Quindi, almeno in linea di principio, spostarsi è un diritto fondamentale perché fa parte di un diritto ad esistere e ad abitare nella grande casa comune che è la terra, il mondo. Spostarsi, essere liberi di andare e tornare è sinonimo di possibilità di sviluppare il proprio futuro, non solo in termini di svago, turismo, studio e ricerca, ma anche per lavorare, per raggiungere parte della propria famiglia, per agganciare uno scopo che dia senso alla vita, per sopravvivere con maggiore dignità.

Chi può farlo? Sempre in linea di principio, tutti e tutte senza discriminazioni di genere, di razza, di religione, di cittadinanza, di appartenenza a un determinato gruppo sociale, di opinioni politiche. Le libertà di ogni persona sono ribadite anche nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (1950). Fuori dal principio, invece, la risposta cambia. Il diritto a spostarsi non è uguale per tutti o non vale per tutti: questa è un’evidenza pressoché inconfutabile.

Inoltre, a prescindere dalle cause che spingono a migrare, il diritto a spostarsi dovrebbe significare anche essere messi nelle condizioni di poterlo fare, cioè poter ottenere i documenti per viaggiare, per accedere ad un paese straniero. Non averli è una deprivazione e vederseli rifiutare è una violazione del diritto che ogni persona ha di lasciare il paese di origine o di residenza.

A questo proposito, si possono intravedere delle incoerenze tra i principi della dichiarazione universale sottoscritti da tutti gli Stati e le normative che gli Stati stessi emanano in materia di immigrazione, sulla base di una concezione di interesse nazionale che in teoria non dovrebbe essere in contrasto con l’interesse globale rappresentato dalla Dichiarazione Universale.

Queste normative esprimono o si traducono, ad esempio, in politiche migratorie selettive ed escludenti e nella burocratizzazione del processo di ottenimento dei documenti, come i visti di ingresso o i permessi di soggiorno. Più che assicurare il diritto a spostarsi, esse rappresentano un ostacolo non sempre facile da superare e restringono o annientano il campo delle opportunità delle persone di poter aspirare ad una vita migliore.

Perché migrare? Le cause sono complesse: spesso legate a meccanismi economico-finanziari che producono condizioni di deprivazione economica e sociale, alla presenza di condizioni di violenza o conflitto, anche armato o a modifiche drammatiche del clima o a catastrofi o incidenti legati all’intervento dell’uomo. Partire, più o meno spontaneamente – la storia ci ricorda che gli esodi forzati hanno fatto parte delle trasformazioni del mondo – nasce dal desiderio di proiettarsi nel futuro, liberamente, in condizioni di sicurezza e di pace.

Forse chi parte avrebbe desiderato trovare condizioni migliori laddove è nato o vissuto, ma la vita apre anche alla possibilità di andare. Spostarsi, essere liberi di andare e tornare è sinonimo di possibilità di sviluppare il proprio futuro. Il futuro è un diritto vitale se si considera che la vita è già un progetto di futuro, è qualcosa che si lancia e ci lancia in avanti, include una necessaria presa in carico per essere mantenuta, una cura di sé, degli altri, del mondo.

Restare, certo, ma nel caso si manifestino nel proprio paese di origine o di domicilio discriminazioni, ogni persona avrebbe diritto a muoversi e a chiedere ad un altro paese l’asilo, cioè la protezione, perché la garanzia di queste libertà fondamentali è sancita dalla Convenzione di Ginevra del 1951. È la più importante e forte forma di protezione possibile di cui può godere uno straniero o un apolide.

In Europa, la Convenzione di Dublino del 1990 prova a regolare la questione tra 12 Paesi dell’Unione, ma il diritto di asilo è così importante che in ogni parte del pianeta sono state sottoscritte convenzioni per sostenerlo. Lo ha fatto l’Africa nel 1969 attraverso la Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) che regola gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa, adottata nel 1974; lo ha fatto anche l’America centrale, attraverso la Dichiarazione di Cartagena nel 1984 e adottata dal Colloquio sulla protezione internazionale dei rifugiati in America Centrale, Messico e Panama.

A livello nazionale, in Italia il diritto di asilo è garantito dall’articolo 10 comma 3 della Costituzione italiana: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Guardiamo ai movimenti di persone più recenti. Nonostante ostacoli e chiusure, essi hanno conosciuto, a livello globale, un’accelerazione. Tecnologia, infrastrutture, mezzi di trasporto hanno dato il loro contributo. C’è però un paradosso che non ci si può esonerare dal vedere. Questa accelerazione sembra essersi compiuta più a favore di merci e capitali che a favore del diritto fondamentale delle persone di spostarsi, quale legittimo progetto di futuro.

Le merci arrivano a noi da ogni angolo della terra e sempre più da angoli che geograficamente si trovano al di sotto del 35° parallelo nord. Il loro viaggio dentro lo spazio allargato della terra-casa-mondo appare più libero di quello delle persone che, provenienti dagli stessi paesi di origine delle merci, vorrebbero raggiungere le medesime destinazioni. Il parallelo in questione passa per l’isola di Lampedusa. Per l’Italia, l’Europa e il resto del mondo questo significa qualche cosa?


Sara Bin

(articolo tratto da www.unimondo.org, a cura dell'Istituto Secolare Missionarie Comboniane)

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