Roma - Non sempre è facile, nel sentire comune, distinguere tra migranti e
rifugiati, tra chi lascia il proprio Paese e chi è costretto a partire a motivo
di guerre, persecuzioni, disastri ambientali o perché vittime di tratta per
lavoro o per sfruttamento sessuale. È una distinzione,
invece, importante, che richiede un differente approccio culturale e politico,
sociale e pastorale. È una distinzione, però, difficile, per la complessità e la
molteplicità di fenomeni della mobilità umana che oggi interessano oltre 200
milioni di persone. A questi mondi in cammino si accompagnano anche gli apolidi
– che in Italia nel decennio appena trascorso sono passati da 35.000 a 70.000
–: persone riconosciute come cittadini da nessuno, senza una città. Per
conoscere e orientare l’accoglienza dello specifico mondo di almeno 50 milioni
di persone costretto a mettersi in cammino forzatamente, il Pontificio
Consiglio per i migranti e gli itineranti e Cor Unum hanno voluto pubblicare
gli Orientamenti pastorali «Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone
forzatamente sradicate», quale segno della sollecitudine della Chiesa per
l’unica famiglia umana di cui tutti sono parte (n.9). Gli Orientamenti invitano
a non dimenticare la dignità umana (n.25) e l’attenzione alla famiglia dei
profughi, richiedenti asilo e rifugiati, delle vittime di tratta (n.27); fanno
appello alla carità e alla solidarietà dei cristiani (n.28), ma soprattutto
alla cooperazione internazionale, perché la situazione drammatica non perduri a
lungo (32); invitano a non dimenticare l’accompagnamento religioso e spirituale
delle persone in fuga (n. 37). Una parola tra tutte guida gli Orientamenti:
protezione. Protezione sociale e umanitaria, nelle diverse forme indicate dalle
Convenzioni internazionali e anche in nuove – come nei Centri di detenzione –,
per andare incontro alla complessità dei fenomeni, sono gli strumenti di tutela
delle persone rifugiate e richiedenti asilo, sfollati, vittime di tratta,
apolidi. Nessuno, soprattutto se donne e bambini, famiglie vittime di forme
nuove di schiavitù, può essere dimenticato. Ogni persona, ogni Stato deve
sentirsi responsabile di ogni persona e famiglia costrette a una migrazione
forzata. Ogni «Chiesa locale deve impegnarsi pastoralmente con le persone in
mobilità. Il suo interesse deve essere visibile nei servizi forniti da
parrocchie territoriali o personali, da ' missiones cum cura animarum',
congregazioni religiose, organizzazioni caritative, movimenti ecclesiali,
associazioni e nuove comunità» (n.89), oltre che da forme nuove di
collaborazione tra le Chiese di partenza e di arrivo dei migranti. In
particolare, si richiama l’importanza «innanzitutto e soprattutto» della
parrocchia che può così vivere in modo nuovo e attuale la sua antica vocazione
di essere «un’abitazione in cui l’ospite si sente a suo agio», come aveva
ricordato il beato Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata del migrante
e del rifugiato del 1999. «Operatori di pace», conclude il documento, sono
coloro che camminano a fianco di coloro che sono rifugiati e vittime di tratta,
riconoscendo in essi il volto di Cristo, meglio, «la carne di Cristo», come ha
ricordato Papa Francesco. (G. Perego - Direttore generale Migrantes – Avvenire)
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