Il Giubileo della
Misericordia a Roma
un appello per la riscossa
spirituale e civile della città
un appello per la riscossa
spirituale e civile della città
Il mio cordiale saluto a tutti loro e un grazie
sincero per aver accettato l’invito a partecipare alla presentazione pubblica
di questo nostro messaggio alla città ad un mese dal Giubileo. Un grazie
particolare rivolgo a tutte le distinte Autorità civili, politiche, militari,
accademiche, del mondo del lavoro e della comunicazione, e a tutti i
rappresentanti delle comunità ecclesiali di Roma.
Il Giubileo
Fra un mese il Giubileo della Misericordia.
Sono personalmente convinto che il Giubileo della Misericordia, per la densità
biblica che il termine “misericordia” evoca, sia per tutti un’occasione
preziosa, e per i cristiani anche una grazia, per riconsiderare i valori
fondamentali e i punti di riferimento essenziali della vita, e di
conseguenza per ripensare i propri atteggiamenti e i comportamenti
quotidiani, in questo tempo di transizione complesso e, per tanti aspetti,
confuso e sofferto.
Nell’Antico Testamento, il Giubileo fissava per il
popolo ebraico un anno particolare, al termine di “sette settimane di anni”
(Levitico 25, 8), dichiarando “santo il cinquantesimo anno” e proclamando per
tutti “la liberazione”. La terra riposava: non si seminava, non si mieteva, né
si vendemmiava, si raccoglieva soltanto l’indispensabile per
sopravvivere. Ciascuno tornava in possesso del suo con la restituzione
delle terre, avveniva la remissione dei debiti, nelle vendite e negli
acquisti nessuno faceva torto al prossimo, gli schiavi erano liberati (cf. Lv
25, 10-15). Si ristabiliva così l’equilibrio e l’equità nelle relazioni
umane e si affermava il principio che l’ingiustizia non era
invincibile.
La parola “giubileo” deriva dall’ebraico Yovel (un
corno d’ariete), che indicava una specie di tromba con cui si annunciava
questo anno particolare e il go’el – che letteralmente
significa il riscattatore – era colui che veniva incontro alle
difficoltà di un parente, riscattando i beni di lui persi per debito. Nel
Nuovo Testamento è Gesù, parente prossimo di ogni uomo, il go’el che
riscatta l’umanità dal male e dalla morte. La parabola evangelica del buon
samaritano è quanto mai illuminante al riguardo.
Il
Giubileo della Misericordia
Con il Giubileo Papa Francesco chiama la Chiesae
tutti gli uomini di buona volontà, a riscattarsi, a rimettere in
equilibrio le relazioni umane e sociali (cf. Lev. 50, 8-17).
E’ un tempo favorevole di riconciliazione, un tempo per avviare processi personali
e sociali umanizzanti. Un invito – per così dire - ad una riscossa
spirituale, morale e civile.
Per la Bibbia, la misericordia non è un sentimento
da praticare in alcune circostanze. Dio è misericordia, il suo agire è misericordioso
e attraverso l’opera dello Spirito Santo infonde in noi un dinamismo
rinnovatore.
Il Giubileo dunque è scuola ed esperienza di
misericordia, di gratuità ricevuta da Dio, da ridonare agli altri; è una
mano amica che aiuta “a non precipitare nel gorgo dello smarrimento” (E.
Olmi); è un regalo di umanità e di speranza.
Confidiamo che il Giubileo interroghi la nostra
coscienza collettiva ed inviti ciascuno ad impegnarsi per unnuovo
umanesimo: vale a dire a ripensare l’uomo non individuo isolato e
chiuso in se stesso, teso a soddisfare egoisticamente le sue voglie, ma a
ricollocarlo nella sua relazione con Dio, dentro la quale ricomprendersi
e il suo complementare rapporto con gli altri.
Il
Giubileo per la Chiesa e la città
La Chiesa di Roma ha accolto con gratitudine l’indizione
del Giubileo, e desidera viverlo attraverso itinerari spirituali offerti a
tutti, i quali aiutino a superare le incoerenze personali e dare un
nuovo respiro interiore ed un nuovo impulso – una riscossa appunto
– per una più matura e responsabile testimonianza umana e cristiana.
Ma la nostra attenzione si allarga alla vita della
città, di cui siamo parte. Come tutti sappiamo, Roma oggi è afflitta da
varie malattie che hanno indebolito il tessuto sociale e le stesse istituzioni.
Ho avuto occasione di affermare qualche tempo fa che la nostra città – a me
sembra – sia stata colpita da una diffusa anemia spirituale,
che ha come annebbiato le alte e nobili visioni che salgono dalla sua storia e
dal cuore dei suoi cittadini. Il Giubileo può essere un anno di presa di
coscienza della realtà e di cura con una energica terapia che immetta nel
corpo sociale sangue ossigenato per liberarlo come da una gabbia di
stanchezza, di affaticamento, di rassegnazione, di rinuncia, e rianimarlo, riattivando
e sviluppando le tante risorse sane presenti nella nostra città. Roma ha
bisogno di riscoprire la sua vocazione universale e di far
rifiorire nuovi stili di vita, nella scia della sua storia millenaria.
In un mondo globalizzato, la vita delle persone e
della città, insieme a molte opportunità, patisce tante
sofferenze e grandi disuguaglianze, non solo economiche, nel contesto di una
disordinata e confusa crescita urbana negli immensi quartieri di periferia,
privi di progetto urbanistico e di decoro che umanizza la vita, e in un
degrado che sembra essere prima di tutto umano ed etico. Per esemplificare,
basti pensare alla mancanza del senso di appartenenza e di coesione sociale ad
una comunità cittadina, divenuta sempre più anonima, che produce modi di vivere
individualisti, alla diffusa mentalità di intolleranza reciproca, alle crisi
familiari, ai ricorrenti atti di violenza (mi colpiscono particolarmente
quelli sulle donne), all’allargamento e all’emarginazione delle fasce dei
vecchi e nuovi poveri, alla corruzione, non solo a quella conosciuta
dalle indagini giudiziarie, ma a quella indotta dalla diffusa
mentalità prodotta da tossine che hanno infettato il corpo sociale così da
tollerare, se non proprio da legittimare, l’illegalità, in una parola
all’affievolimento dell’umanizzazione della vita sociale. In una “cultura dello
scarto” – come ci richiama sovente il Papa – si affermano egoismi e
indifferenza, anche negli ambienti più sani, che tendono a difendersi,
isolandosi.
A fronte delle crescenti possibilità
tecnico-scientifiche non corrisponde un uguale sviluppo di una forza morale
ancorata a principi e criteri di moralità fondamentale, che appare confinata
nell’ambito soggettivo e privato. Nella cultura dominante dove ogni
persona si fa misura di tutte le cose (soggettivismo aggressivo) e ogni
verità è considerata relativa (relativismo imperante), la spinta morale non
sembra più avere rilevanza pubblica, così siamo impreparati a rispondere alle
sfide e alle minacce che gravano sulla vita di tutti.
Una decina di anni fa, l’allora Card. J. Ratzinger
ebbe ad affermare: “Il vero, più grave pericolo di questo momento sta proprio
in questo squilibrio tra possibilità tecniche ed energia morale. La sicurezza,
di cui abbiamo bisogno come presupposto della nostra libertà e della nostra
dignità, non può venire in ultima analisi da sistemi tecnici di controllo, ma
può scaturire soltanto dalla forza morale dell’uomo: laddove essa manca o non è
sufficiente, il potere che l’uomo ha si trasformerà sempre di più in un potere
di distruzione” (J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture,
Subiaco 1° aprile 2005, ed. Cantagalli, 2005, p. 20).
La
radice della crisi
Si impone una domanda: qual è la radice
culturale che ha favorito questa diffusa mentalità anche a Roma? Penso che, per
quanto riguarda la nostra città, il nostro Paese e il più vasto mondo
occidentale (perché la crisi che ci affligge non riguarda solo Roma), si possa
rispondere che uno dei punti critici è la preponderanza della cultura illuminista
radicale e secolare, in cui si è posto ed affermato come misura di tutto
il valore assoluto della libertà autoreferenziale. A questo si è aggiunta la
razionalità scientifica e la cultura tecnica, sempre più lontana da una
dimensione antropologica. Questa prevalente visione ha come oscurato
gradualmente la presenza di Dio fino ad escluderla dalla coscienza pubblica,
rendendola irrilevante, ma anche messo in ombra la complessità dell’uomo
stesso. Le relazioni umane e sociali ne sono state fortemente
condizionate, anche per la pressione di crescenti rivendicazioni.
L’individuo, che naviga in un mondo globalizzato, spesso rimane solo, sciolto
da vincoli di ordine comunitario, se non da quelli determinati dalla
coercibilità della legge, anch’essa molto spesso ininfluente.
Nessuno naturalmente nega che la cultura
illuminista abbia favorito la maturazione di acquisizioni importanti: penso, ad
esempio, ai diritti fondamentali dell’uomo che devono essere uguali per tutti;
all’organizzazione statuale con la separazione dei poteri, soggetti a
controllo; alla libertà di praticare la religione che si vuole, senza alcuna
imposizione da parte dello Stato. Desidero richiamare soltanto che
questa cultura, se viene generalizzata e radicalizzata, comporta una mutilazione
dell’uomo. Essa dunque, a mio giudizio, è incompleta, perché taglia
coscientemente una parte delle radici culturali della nostra storia, privandola
di alcune sorgenti ideali dalle quali è scaturita – quali le alte motivazioni
che nascono dalle convinzioni religiose - esaltando invece il principio
che la capacità dell’uomo sia la misura del suo agire. Per cui ciò che l’uomo
sa fare, diventa suo diritto farlo. Ma se questo saper fare non trova la
misura in una norma morale, si trasforma – come possiamo costatare in tante
tragiche vicende – in potere di sopraffazione o di distruzione e l’uomo è
ridotto ad individuo in balia del più forte.
L’uomo mediatico poi, che predilige l’emozione
all’argomentazione e al ragionamento, è di fatto confuso e disorientato,
spettatore inerte di fatti ed eventi i quali, figli a loro volta del mito del
progresso, deteriorano la casa comune e rischiano di strangolarla.
Nell’Enciclica Laudato sì Papa
Francesco ha scritto: “In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha
trovato una nuova comprensione di se stessa che possa orientarla, e questa
mancanza di identità si vive con angoscia. […] Quando le persone diventano
autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria
avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da
comprare, da possedere, da consumare, […] l’ossessione per uno stile di
vita consumistico,…, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca”
(LS, 203-204).
Il
Giubileo, per una nuova ripartenza
Che cosa fare? Non è questo, ragionando con
saggezza e lungimiranza, un tempo di rinascita personale e diriscossa sociale?
Non ci è chiesto di cooperare responsabilmente insieme per la ripresa
della nostra città? Il Giubileo può essere una ripartenza, può immettere
in ciascuno di noi e poi travasare nel tessuto sociale cittadino energie
positive che ci rendano capaci di superare i mali che ci affliggono per
cooperare insieme al cambiamento, per avviare processi di vero
sviluppo umano, che superando un troppo spinto individualismo che genera
soltanto una moltitudine di solitudini, promuova meccanismi di
socializzazione. E’ dunque un’opportunità da non perdere per
una evoluzione nel sentire profondo e negli stili di vita, un uscire da se stessi
per cercare gli altri, un “autotrascendersi”, infrangendo l’isolamento
delle coscienze (cf. LS, 208).
La Chiesa – lo dico con sincerità – non ha smania
di protagonismo, né intende dare lezioni a nessuno, e neppure puntare il dito o
condannare persone e istituzioni, verso le quali anzi nutre rispetto e offre,
per quanto le compete, collaborazione cordiale, consapevole che la gestione
della cosa pubblica è cosa complessa, tanto più a Roma. La Chiesa nondimeno è consapevole
che la vicenda umana è turbata dal peccato e che la sua missione le chiede di
non estraniarsi da chi le vive accanto e dall’impegno di “contribuire a rendere
più umana la famiglia degli uomini e la sua storia” (GS. n. 40). Scopo di
questa Lettera alla città dunque è di condividere gli affanni della
nostra città, fare la sua parte, essere compagni di strada di tutti gli
uomini di buona volontà, e incoraggiare a non perdersi d’animo dinanzi alle
sfide che abbiamo davanti.
Desideriamo impegnarci anzitutto noi cristiani:
pastori e fedeli. Noi per primi vogliamo intraprendere un cammino giubilare di
conversione. Non possiamo non riconoscere che in tanti battezzati c’è
un affievolimento dell’identità spirituale, con ricadute di incoerenza
nei comportamenti. Nell’odierno contesto secolarizzato, in molte persone
purtroppo il riferimento a Dio rimane sullo sfondo dell’anima, per cui si
vive una sorta di “inquinamento dello spirito” che rende la vita più cupa
e fa smarrire la speranza.
La fede, che spesso è soltanto
dichiarata e non vissuta, deve essere di nuovo annunciata e accolta così da
mostrarne la bellezza. La testimonianza dei cristiani, quando è credibile e
gioiosa, scuote le coscienze impigrite o addormentate, suscita stupore
e rimette in circolo comportamenti virtuosi con ricadute positive
negli ambienti di vita, creando luoghi di discernimento e di educazione
all’impegno sociale e civile. Vorrei sottolinearlo: negli ambienti di
vita, lì i cristiani sono chiamati ad essere fermento di umanità.
Dirsi cristiani, cioè credere che Cristo è risorto
(perché questo è il cuore della fede) non significa accendere una luce soltanto
sul nostro destino eterno, ma anche immettere una forza nuova per vivere
il presente e dare un contributo originale alla costruzione della
città terrena. E’ una responsabilità che dobbiamo assumerci. I laici
cristiani, che per vocazione sono impegnati a costruire le realtà del
mondo ordinandole secondo Dio, non possono defilarsi dalle responsabilità
della città e dalle fatiche di promuovere reti positive di vita sociale
giusta e serena. Sono essi i primi ad avviare la riscossa di
Roma per condividere con tutti, credenti e non credenti, obiettivi e progetti
per una città degna dell’uomo.
Ma desidero accennare ad un altro aspetto,
che chiama in causa tutti i cittadini di Roma, al di là delle proprie
convinzioni religiose. Osservando la vita della città non posso non
condividere quanto attenti studiosi e acuti analisti evidenziano da
tempo, che cioè Roma ha urgente bisogno di una forte ripresa della qualità
della vita quotidiana. Qualità della vita naturalmente significa legalità,
tutela dei diritti, giustizia sociale, lavoro, efficienza dei servizi, ma
significa anche senso civico, rispetto reciproco, buona educazione,
solidarietà, magnanimità, mentre tante volte sembra che prevalga un istinto di
difesa, di chiusura, di insicurezza, di sfiducia, di paura, che
genera diffidenza, ostilità, tensione sociale.
Sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso dell’inviolabile
dignità di ogni persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali, che
si esprimono nella responsabilità di tutti verso tutti e che danno senso alla
convivenza civile.
Ho parlato all’inizio di “anemia spirituale”. Mi
si permetta un’ultima riflessione. Se la luce di Dio non rischiara e riscalda la
vita, l’orizzonte dell’uomo rischia di diventare angusto, freddo, si rimpicciolisce.
Il cuore è più facile preda del consumismo senza etica, cresce la bramosia dei
desideri di qualunque tipo, ci si separa dagli altri, chiusi nel proprio
egoismo. Questo uomo è capace dei più orribili delitti. Gli manca il respiro
dell’anima, che lo apra alla gratuità, alla misericordia appunto, alla voglia
di cooperare ad una comunità umana degna di questo nome.
Roma ha bisogno – lo ripeto – di una forte riscossa spirituale,
morale, sociale, civile, con la cooperazione di tutti. Non aspettiamo che
comincino gli altri: ciascuno nel suo ambiente si faccia protagonista di buone
idee, di proposte, di dialogo e di azione. Ricostruiamo attraverso nuovi
processi un tessuto di umanità semplice e sincera, favorendo aggregazioni
positive. Roma non manca di risorse esemplari. Conserva, per
l’infaticabile impegno di tanti, meravigliosi talenti. C’è un reticolo di
iniziative spontanee, associazioni, istituzioni che, ispirate da umanità e
carità, possono creare coesione sociale. Necessitiamo di buoni samaritani
che si facciano carico della città.
Assumiamo con coraggio il compito di trasmettere
ai giovani l’eredità di una Roma migliore, superando il pessimismo e la
rassegnazione.
Il nostro cordiale e umile appello è di impegnarci
insieme a dare a Roma questa riscossa, con ottimismo e
fiducia.
Il Giubileo può essere la linfa spirituale che
rianima e rilancia la vita e la missione di Roma nel mondo.
Agostino Card. Vallini