11 novembre 2014

ABUSI CONTRO IMMIGRATI: ORA RECUPERARE CREDIBILITÀ

Colpita dalle accuse di violazione dei diritti dei lavoratori immigrati mosse da Unione Europea e Stati Uniti, la Thailandia cerca di recuperare credibilità e mercato. Servizi apparsi sulla stampa internazionale il mese scorso e le testimonianze raccolte da gruppi per la difesa dei diritti umani riguardo gli abusi verso birmani, cambogiani e vietnamiti impiegati nell’industria ittica hanno portato il paese al livello più negativo, il terzo, nella lista dei paesi che meno si impegnano per la cancellare il lavoro forzato. Il rischio concreto di sanzioni se il governo non dovesse intervenire efficacemente si associa a un calo già presente dell’export, soprattutto per quei prodotti o quelle aziende che sono stati segnalati come maggiori responsabili della situazione.
L’export thailandese di prodotti ittici verso l’area Ue vale 7 miliardi di dollari all’anno, essenziale oltretutto per un’economia in rallentamento su molti fronti. Non ultimo come conseguenza del colpo di stato militare, della permanenza della legge marziale e di provvedimenti attuati o allo studio che vorrebbero limitare investimenti e presenza straniera a tutela dell’imprenditoria locale in un momento in cui il paese avrebbe, tra le priorità, quella aprirsi a esperienze, know-how e interventi mirati dall’estero per reggere concorrenza regionale e modificare le regole socio-culturali che ne ostacolano lo sviluppo.
Nonostante la giunta la potere, oggi a fianco di istituzioni civili comunque controllate dai militari abbia regolarizzato un gran numero di immigrati prima illegali, resta la scarsa convinzione nel combattere fenomeni di abuso che chiamano in causa interessi locali e anche la difficoltà culturale a individuare pari dignità per tutti, thai e non thai.
Lo stesso direttore generale del dipartimento europeo del ministero degli Esteri thailandese nei giorni scorsi ha ammesso che i servizi sulla stampa estera sono stati il catalizzatore per promettere interventi contro gli abusi e per le iniziative utili a rilanciare immagine e export, in Europa e altrove. Il coordinamento di varie agenzie per individuare le aree di sfruttamento è innovativo, anche se viene sottolineato con eccessivo interesse l’uso di documenti falsificati che, ad esempio, nasconderebbero l’età reale degli immigrati.
Comunque sia, nessuna risposta è stata data alla richiesta Ue che il governo di Bangkok fornisca un rapporto semestrale sui progressi della situazione. Una richiesta avanzata a nove dei consumatori europei che alla qualità chiedono sia associata una produzione non interessata dal lavoro coatto o in condizioni inferiori agli standard. La minaccia di un “cartellino giallo” per l’export thai è concreta e costituisce un deterrente efficace, ma si scontra anche con una complessa situazione politica e economica, con interessi in conflitto e le logiche che ne derivano, a uso soprattutto interno.


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