(Crescenzio
Moretti)
“Rallegrati, piena di Grazia...”
Dio si
presenta sempre con una dichiarazione d’amore e a Maria fa la sua incredibile
proposta. Le sue proposte Dio le fa ancora. Le farà sempre. Prima un sussurro
che provoca paure, incertezze, domande: “Proprio io?” Poi il sussurro diventa
istanza irresistibile: “Vieni, ti farò pescatore di uomini”: C’è sempre stato e
ci sarà sempre un giovane, una ragazza, che raggiunti dalla chiamata si fidano
e dicono il loro “Sl” forte e deciso.
“Maria si alzò e andò in fretta”...
Ne ho
conosciuto tanti di missionari felici di partire, ansiosi di andare là dove la
Provvidenza li aveva destinati. Sono indimenticabili i saluti, lo sventolio dei
fazzoletti, quando la nave si allontanava dal porto. Indimenticabile anche il
lento avvicinarsi al porto di arrivo della “terra promessa”. Ora è tutto più
asettico, un aereo in poche ore porta a destinazione senza dare il tempo di
prepararsi al nuovo mondo. Ma è sempre la stessa emozione. Nelle partenze di oggi
c’è un fatto nuovo, bello, c’è la coscienza di essere mandati da un comunità
che ha consegnato al suo missionario la fede che porta e lo segue con simpatia.
“Benedetta fra le donne...”
L’accoglienza
di Elisabetta, il sussulto del bambino che porta in grembo, la sua esultanza
perché, con l’arrivo di quel Bambino, qualche cosa è cambiato radicalmente nel
mondo, è profezia della missione. Chi è stato missionario l’ha vissuta
intensamente la gioia dell’arrivo e l’incontro con un popolo che lo ha accolto
pieno di speranza. (Ricordo la folla festosa che mi attendeva al porto di
Buonaventura la volta che tornai in Colombia in nave. “Chi è il personaggio che
viaggia con noi?” si chiedevano i passeggeri). Il missionario non può
dimenticare la gioia dei bambini, che primi fra tutti, gli sono corsi incontro,
hanno avuto fiducia, gli hanno creduto; il lento maturare di un popolo nella
fede; l’intravvedere i primi segni di una liberazione possibile che lui ha
accompagnato con trepidazione.
“Stette con lei tre mesi”
La
missione è cammino insieme, è servizio. Farsi africano, asiatico,
latinoamericano, mai estraneo al popolo con il quale vive, è il primo
atteggiamento del missionario. Fa pena quando, rare volte, incontro un
missionario che non si identifica, si sente altro, diverso dal popolo a cui il
Signore lo ha mandato. Il missionario va per restare per lungo tempo. Non sono
tanto entusiasta dei missionari di qualche giorno, dei missionari mordi e
fuggi. Non hanno capito una esigenza fondamentale della missione: fare proprie
la vita, le sofferenze, le gioie, i progetti di un popolo. Il missionario sente
le povertà, le ansie, i sogni del popolo con cui condivide la vita e si mette
decisamente al servizio di quei sogni, dimenticando tutto il resto. Il
missionario sa che il dono che porta è Gesù e non si da pace finché non lo vede
accolto.
Poi, “torno a casa sua”.
Maria,
compiuta la sua missione fece ritorno a Nazaret. Anche per il missionario viene
il momento di lasciare. Gli costa ma deve essere così. La comunità cristiana
che ha accompagnato è cresciuta, deve camminare con le sue gambe. A volte, il
rimanere, per quanto gratificante, può essere un ostacolo alla vita della
comunità che ha generato. Il missionario deve tornate là da dove è partito,
perché c’è un gran bisogno del suo “Magnificat”, della sua gioia, del suo
racconto delle meraviglie che Dio ha compiuto tra i popoli, anche per mezzo
suo; deve tornare per incoraggiare, tra i suoi, una fede che sembra
illanguidire.
Fonte: NotiCum – Maggio 2012
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