25 giugno 2014

Mons. Nosiglia: “valorizziamo l'apporto degli immigrati”

Torino - In occasione della Festa di San Giovanni Battista, patrono della città e della diocesi, il pensiero del vescovo, mons. Cesare Nosiglia è andato anche alle “difficoltà di un numero sempre crescente di migranti e di richiedenti asilo, approdati a Torino dopo il miraggio di Lampedusa e ancora in bilico tra diritti e accoglienza”. Per il presule “i volti delle fragilità sono sempre più trasversali perché, ormai, nessuno può più dirsi al sicuro di fronte all'evolversi spesso imprevisto della situazione”. Mons. Nosiglia è preoccupato perché sente “tante volte” una Città che tende a “sfilacciarsi tra punte di successo e vitalità e altre che possiedono un tessuto economico e sociale che fatica a reggere la competizione, ma che lotta e guarda al futuro, nonostante tutto, con fiducia. Ma c'è  - ha aggiunto nell’omelia - una crescente parte della popolazione che mi dice:  ‘Per noi in questa città c'è ancora posto?’. E quello che più mi preoccupa e mi fa soffrire in quanto pastore, padre e amico è  constatare che sta crescendo l'indifferenza, se non il fastidio, nei  confronti di questi fratelli e sorelle che sono in grave difficoltà”.
Torino - è l’appello del presule - “non può e non deve fare sua la cultura dello scarto, perché ha le potenzialità e la passione per generare novità, non subire il cambiamento ma governarlo”.
Mons. Nosiglia cita quindi il progetto “L'Agorà sociale”, voluto dalla diocesi per indicare “la necessità di ricostruire un'ideale piazza in cui, tramite il dialogo reciproco, si discutano le questioni forti della costruzione della casa comune che è la Città, in modo inclusivo e a partire dai poveri. Così, si innesta la prospettiva della speranza, concreta e reale”.L’obiettivo è “sì rispondere in modi più convergenti e appropriati alle emergenze, ma soprattutto costruire insieme il futuro della nostra Città secondo strategie e modalità sinergiche e condivise”.
“La Città che abbiamo in mente – ha detto mons. Nosiglia – si fonda sulla centralità della persona, in un territorio e una rete di relazioni in cui ognuno è - a pieno titolo - ‘cittadino’. Le persone, residenti o di recente immigrazione, rappresentano la prima vera risorsa da valorizzare e su cui investire. Non si tratta solamente di un discorso sui diritti individuali né di una prospettiva che badi a tamponare le emergenze. Piuttosto un nuovo umanesimo che, nel rispetto del pluralismo di fedi e culture, sappia riconoscere come risorsa non solo i dati economici ma, appunto, le potenzialità di crescita e integrazione dei cittadini”.
Occorre dare “voce a tanti che vivono in solitudine i loro drammi e per dignità non tendono la mano o chiedono aiuto ai nostri Centri, parrocchie, servizi sociali, associazioni e cooperative. Di essi non si parla sui mass media, che mettono il silenziatore a intermittenza su di loro. Quanti "orfani della città" ci sono attorno a noi, stranieri non solo perché immigrati, ma perché ignorati e collocati ai margini della Città che conta! Promuoviamo un nuovo welfare di comunità non sostitutivo del diritto e della giustizia di cui i poveri in quanto cittadini debbono poter usufruire. Educhiamo a promuovere quei vicinato e prossimità che creano una rete di amicizia e fraternità nel tessuto sfilacciato dei  quartieri e delle realtà locali. Valorizziamo l'apporto degli immigrati, che va promosso come un fattore di sviluppo positivo, senza remore e con impegno di integrazione e collaborazione”.
Durante la celebrazione, alla preghiera dei fedeli, hanno pregato anche una famiglia di nigeriani, mentre all’offertorio hanno portato i doni all'altare anche un gruppo di rifugiati dell'Eritrea e del Congo.


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