4 giugno 2012

"Il Bangladesh è il miglior esempio di armonia interreligiosa"


In un’intervista il nuovo arcivescovo di Dacca, Patrick D’Rozario, parla dell’armonia che esiste tra le diverse religioni e del ruolo che potrebbe ricoprire la Chiesa cattolica

GERARD O'CONNELL

ROMA - Patrick D’Rozario fu il primo prete cattolico ad essere ordinato in Bangladesh dopo l’indipendenza ottenuta dal Pakistan nel 1971, in seguito ad una guerra durata nove mesi. Dopo l’ordinazione nel 1972, egli prestò servizio come Direttore di Progetto presso l’Organizzazione per il Sollievo e la Riabilitazione, offrendo assistenza a oltre 10.000 famiglie nella società devastata dalla guerra.

Membro della Congregazione di Santa Croce, studiò a Dacca e Karachi prima di recarsi all'Università di Louvain, Belgio. Qui ottenne la laurea in teologia morale, materia che successivamente insegnò presso il principale seminario di Dacca (1976-90).

Giovanni Paolo II lo nominò vescovo nel 1990, e Benedetto XVI lo elesse prima vescovo coadiutore nel 2010 e poi arcivescovo di Dacca, nell’ottobre 2011. In quest’intervista esclusiva, il cordiale e dinamico arcivescovo sessantottenne parla della situazione e della missione della Chiesa in Bangladesh.

Attualmente, qual è la situazione della Chiesa cattolica in Bangladesh?

Innanzitutto, siamo una piccola minoranza tra 160 milioni di persone, per l’87% musulmani e per il 10% indù. I cristiani arrivano a mezzo milione (0,3% della popolazione), e tra loro figurano 350.000 cattolici serviti da 350 preti, 1.200 sorelle religiose e oltre 100 fratelli religiosi. 

Dopo aver ricevuto l’incarico di arcivescovo, mi sono sentito in obbligo di incontrare il Primo Ministro, Sheikh Hasina. Non desideravo ottenere la sua benedizione, ma volevo parlarle del nostro impegno. Innanzitutto, le ho riferito che stiamo realmente agendo al servizio della nazione attraverso le nostre istituzioni educative, le organizzazioni caritatevoli, i nostri centri medici e, in particolare, attraverso la Caritas, il ramo sociale della Chiesa cattolica in Bangladesh coinvolto in attività caritatevoli e di sviluppo. Anche se siamo una comunità cristiana molto piccola (Giovanni Paolo II ci definiva il ‘piccolo gregge’) esercitiamo una certa influenza su tutta la società.  

Giovanni Paolo II si recò in visita in Bangladesh nel 1986.

Sì. Ci piaceva quando ci chiamava ‘piccolo gregge’, poiché si riferiva all’immagine biblica del sale della terra. Non serve molto sale per dare gusto, ne basta un solo granello per dare sapore a un intero piatto di riso. Ci rispecchiamo in questo ruolo; siamo molto piccoli ma, come Chiesa, siamo fiduciosi del fatto che potremo contribuire a qualcosa nell’ambito della nazione, grazie a questi servizi. Ho riferito ciò al Primo Ministro.

In secondo luogo, ho affermato che la Chiesa si è impegnata a parlare della verità, dell'amore e della giustizia in materia di questioni sociali. Terzo, è impegnata nel dialogo interreligioso.

Di fatto, negli ultimi tre anni noi vescovi abbiamo incontrato il Presidente e il Primo Ministro tre volte, e in ogni occasione ci hanno chiesto di lavorare in favore dell’armonia interreligiosa. È stata una sorpresa. Noi stavamo già lavorando per l'armonia, ma dal momento che la richiesta giunse dai Capi dello Stato, la considerammo una sorta di mandato, riservandogli molta importanza.

In questo contesto, il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Concilio per il Dialogo Interreligioso, giunse in visita ad aprile 2011. Fu molto bello vedere il modo sincero in cui tutti lo accolsero: musulmani, indù, buddisti e cristiani, tutti allo stesso modo. Tenne una conferenza durante un seminario presso l’Università di Dacca, al quale parteciparono musulmani, indù, buddisti e cattolici. Dopo la sua visita, affermò che il Bangladesh era il miglior esempio di armonia interreligiosa del mondo. Lo crediamo sinceramente anche noi, poiché dal punto di vista culturale esiste quest’armonia di base nella nazione. Infatti, si tratta di un patrimonio presente da molti anni.

Non risale alla fondazione del Bangladesh nel 1971?

Esatto! Quando nacque il Pakistan in seguito al conflitto indo-pakistano del 1947, l’armonia venne in qualche modo dimenticata. Ma con la nascita del Bangladesh nel 1971 quell’armonia, aspetto culturale tipico del nazionalismo bengalese, fu uno dei principi fondamentali per la creazione di un Bangladesh indipendente. In effetti, il Bangladesh è stato fondato su quattro principi: secolarismo, nazionalismo, socialismo e democrazia.

Quando ha incontrato il Primo Ministro Sheikh Hasina, la primogenita del padre fondatore della nazione Sheikh Mujibur Rahman, ha esposto i tre aspetti su cui si è impegnata la Chiesa e il Primo Ministro ha incoraggiato la promozione dell'armonia tra le religioni.

Proprio così! Ciò avviene attraverso le nostre scuole, i nostri servizi sanitari e caritatevoli e Caritas Bangladesh. Tutte le nostre scuole, 300 scuole elementari e 46 scuole secondarie, sono aperte ai bambini e ai giovani di tutte le religioni. Lo stesso vale per la prima università cattolica del Paese che apriremo a Dacca. Inoltre, circa il 75% dei dipendenti della Caritas non sono cristiani, ma collaborano con noi; abbiamo la nostra filosofia e la nostra opinione, che loro condividono. Quindi, questa è l’unicità di tutte le nostre opere caritatevoli e sociali. Un altro valore che teniamo alto dal punto di vista culturale è il fatto che qualsiasi individuo autenticamente religioso venga accettato dai membri di tutte le altre religioni.

Chiaramente, esiste un grande rispetto della religione in Bangladesh, e poco spazio per il tipo di secolarismo che si ritrova in Occidente.

Questa è la mia riflessione: per noi il secolarismo è il riconoscimento di tutte le religioni. Non consideriamo la religione una questione privata; la nostra identità personale è l’identità religiosa. Quando giunse il Presidente della Germania, Christian Wulff, che incontrò sette leader religiosi provenienti dalle quattro principali religioni (incluso il sottoscritto) gli rivelammo che non esiste un altro Paese in cui il Presidente e il Primo Ministro abbiano richiesto ai non musulmani di celebrare le loro festività. Quando è festività per i buddisti, si organizza una festa per loro, e ciò avviene anche nel caso degli indù e dei cristiani. Quindi, la religione non è una questione privata. 

Ad esempio, quando cade la festa di Milauddunnabi, il compleanno del Profeta Maometto, si celebra l’occorrenza in tutte le scuole cristiane. Allo stesso modo, quando noi festeggiamo il Natale, anche musulmani, indù e buddisti tengono dei discorsi. Queste cose accadono solo in Bangladesh.

Si tratta di uno straordinario messaggio di armonia tra le religioni, ma non esiste anche la militanza fondamentalista nel Paese?

Esiste questa militanza, con tutto ciò che ne deriva. Ma non è diffusa, è marginalizzata. Bisogna ricordare che la militanza non è solo contro le minoranze, no, anche i musulmani ne sono colpiti; l'intellighenzia del Paese è preoccupata.

La povertà costituisce un grande problema in Bangladesh; circa 40 milioni di persone vivono al di sotto del livello di povertà.

Sì. La povertà è una disgrazia. La gente non dovrebbe vivere senza i beni di prima necessità. La povertà deve essere estirpata; è qualcosa contro cui dobbiamo lottare, è un’ingiustizia. Ma allo stesso tempo crediamo che la povertà sia evangelica, nel senso che le persone riescono ad essere felici con poco, la gente pensa agli altri e ha un comportamento altruistico.  Gli stranieri che arrivano in Bangladesh possono rendersene conto: benché le persone siano colpite da così tanti problemi e da così tanta povertà, sono ancora felici e riescono a sorridere. Quindi, questa povertà evangelica, come la definisco io, non deve essere considerata del tutto negativa. Avere tutto ed essere ricchi non regala la stessa felicità che possiede il nostro popolo, e che non deve essere persa; anche questo fa parte del nostro patrimonio.

Si potrebbe affermare che la Chiesa del Bangladesh sia davvero la Chiesa dei poveri?

Sì, siamo la Chiesa dei poveri. Quando incontrammo il Primo Ministro le rivelai l’attenzione prioritaria rivolta verso il cambiamento climatico, poiché il Bangladesh è il Paese più colpito da questo problema. Per questo motivo, tutto il mondo deve pensare a questa piccola nazione, a queste povere persone che vivono la povertà evangelica.

Ma lavorare per la giustizia in materia di cambiamento climatico non significa semplicemente creare programmi di adattamento e fornire un aiuto finanziario alle nazioni povere come il Bangladesh.  Il nostro contributo specifico dovrebbe essere più etico e spirituale, riflesso nella creazione. Per una nuova creazione è necessaria una nuova mentalità, un nuovo pensiero. Quindi, coinvolgeremo la Caritas Internationalis; è giunto il suo Segretario Generale e ne abbiamo parlato. Siamo una piccola Chiesa, ma possiamo fare cose che gli altri non possono fare. 

In qualità di Arcivescovo di Dacca, quale ruolo prevede per la Chiesa cattolica in Bangladesh nei prossimi anni? 

Credo che la Chiesa ricoprirà un grande ruolo nel Paese, parlando apertamente dei vari problemi, poiché la verità deve essere rivelata. A volte i partiti politici o i diversi gruppi sono vincolati alle loro agende, ma noi dobbiamo essere la voce della coscienza del popolo, e agire con maggiore risolutezza e impegno.

In secondo luogo, vedo un rinnovamento dell’impegno della fede, perché essere cristiani non è semplicemente una questione di nome, ma significa impegnarsi nella fede. Terzo, la nostra Chiesa possiede un piano pastorale che si concentra principalmente sulle famiglie e sulle comunità fondamentali. La quarta priorità è la promozione della partecipazione dei laici nella Chiesa. La formazione dei laici è importante affinché essi possano partecipare pienamente alla vita familiare e professionale e diventare evangelizzatori.
Davvero, credo che sia una benedizione far parte di una minoranza religiosa in Bangladesh. Essere cristiani tra così tante religioni ci fa pensare a quanto siamo diversi, alla nostra identità come cristiani e cattolici, e al modo in cui possiamo testimoniare la nostra fede.
   

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