23 agosto 2012

La legge del mare: gestione delle frontiere e diritti umani dei migranti


Basilea - In una scena molto efficace del film "Terraferma" di Emanuele Crialese, ambientato a Lampedusa, i pescatori dell'isola discutono, in una sorta di assemblea, se l'antica legge del mare, che vieta di lasciare in balia delle acque chi si trovi in pericolo, non sia più da rispettare, in base a moderne leggi scritte, volute dall'Unione Europea. Il film in effetti si ispira alle vicende reali di alcuni equipaggi di navi incriminati per favoreggiamento all'immigrazione clandestina, quando invece non avevano fatto altro che soccorrere migranti nelle loro disperate traversate del Mediterraneo.
Il “Mare Nostrum” è diventato non solo una pericolosa frontiera, un immenso cimitero per migliaia di persone, ma anche uno spazio in cui si intrecciano e si scontrano interessi e questioni di carattere politico, giuridico e umanitario. Mentre purtroppo anche nell'estate del 2012 non sono cessati i naufragi e le morti di migranti lungo le coste italiane e in altri punti caldi come i confini tra Turchia e Grecia e tra Marocco e Spagna, sul fronte del diritto si vanno chiarendo alcuni aspetti legali inerenti alle responsabilità degli stati.
A livello europeo si sta riflettendo sull'importante impatto che può avere nella gestione delle frontiere la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha condannato l'Italia per il respingimento verso la Libia – avvenuto nel 2009 – di una nave di migranti fermata in acque internazionali e la successiva consegna delle persone alle autorità di Tripoli. La Corte ha riaffermato un principio fondamentale: il legittimo esercizio della sovranità statale, che si attua nel controllo delle frontiere e nella lotta all'immigrazione irregolare, non può avvenire a prezzo di violare i diritti umani dei migranti e dei rifugiati, nemmeno quando non è ancora chiaro il loro status giuridico o ci si trova al di fuori del territorio nazionale. Una volta che i migranti e i potenziali rifugiati erano stati intercettati e trasferiti su una nave italiana, l'Italia era tenuta a evitare che fossero riconsegnati alla Libia. Il Governo, infatti, era già a conoscenza, in base a numerosi rapporti, del fatto che nei centri di detenzione libici avvenivano – e avvengono – gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, le persone fermate in alto mare non avevano avuto la possibilità, com'era loro diritto, di chiedere asilo politico. Un diritto che non avrebbero potuto esercitare in Libia, paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati.
La sentenza sta già avendo degli effetti molto importanti, perché di fatto condanna tutta la strategia dei respingimenti adottata dal Governo italiano nel 2009. Il 28 luglio scorso, il Governo Monti ha annunciato formalmente al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa la rinunciaalla politica dei respingimenti. Il Mediterraneo non può essere una "no-law-zone", cioè un'area in cui non vige alcun diritto, né tanto meno una "Guantanamo in mare aperto".
Ma le conseguenze riguardano tutti gli altri stati dell'Unione Europea. Si mette un vero e proprio punto di domanda alla cosiddetta "esternalizzazione" delle frontiere europee, cioè la tendenza dell'Unione Europea a spostare i controlli di frontiera e a bloccare i flussi migratori in aree internazionali o sul territorio di paesi terzi, dando addirittura in appalto queste attività a delle agenzie private. La responsabilità di uno stato non finisce ai confini nazionali; vale a dire che, se un paese dell'UE consegna dei migranti irregolari ad un altro stato o affida a quest'ultimo il compito di fermare i movimenti migratori, è tenuto a verificare che il tutto avvenga senza violare la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.
Quanto affermato dalla Corte di Strasburgo può produrre una "svolta culturale" in cui il rispetto dei diritti umani non è considerato in contraddizione, ma complementare alle legittime preoccupazioni riguardo alla sicurezza e al controllo dell'immigrazione. Una seconda "svolta" potrebbe consistere nel costruire dei ponti per l'accesso sicuro e protetto al territorio dell'Unione Europea per coloro che hanno diritto di asilo, in modo da evitare la "roulette russa" del Mediterraneo, ad esempio attraverso il reinsediamento (resettlement) per i rifugiati riconosciuti dall'Alto Commissariato dell'ONU.
In questo tempo di crisi economica e politica per l'Europa, certo è difficile pensare ad una immeditata nuova apertura umanitaria nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Ma a lungo termine la riaffermazione chiara della responsabilità per la vita e la dignità di ogni essere umano, anche in situazioni giuridiche incerte, è un segnale positivo e incoraggiante per il futuro di questo continente. (L. Deponti/CSERPE)

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