11 maggio 2015

I "paradossi" dell'accoglienza: scappano da fame, sete e carestia, ma "tornano in patria" per le stesse ragioni versione testuale

Messina - Motivi politici, motivi di razza, di religione, di discriminazione sociale, di etnia. Per contarli bastano le dita di un mano, a ciascuno delle quali è legata la speranza di migliaia di persone che ogni giorno partono alla volta dell’Italia chiedendo asilo. Quelle sopra elencati, come spiegato anche ai tanti minori che dal novembre del 2014 ad oggi sono transitati dal Centro temporaneo di prima accoglienza “Ahmed”di Messina, sono le ragioni che consentono di ottenere un permesso di asilo, avendo cioè riconosciuto lo stato di rifugiato. Peccato però che nessuna opportunità, o per lo meno in modo decisamente limitato, viene fornita a quanti, e si tratta forse della maggioranza, abbandonano i propri Paesi non perché perseguitati o minacciati di morte, ma per i così detti “motivi economici”. Eccolo, dunque, il grande “paradosso” dell’accoglienza: fuggire per fame o per sete, perché altrimenti costretti a morte certa, non sono motivazioni sufficienti per sperare di ottenere il “benestare” dell’Italia, e dunque, di un’Europa che, trincerandosi dietro gli articoli di “Dublino III”, continua a fare il possibile per relegare il “problema immigrazione” alle coste del Bel Paese, o meglio alla coste siciliane. Dove nonostante tutto i migranti, soprattutto i minori, approdano carichi di fiducia, dopo magari aver visto morire al proprio fianco e buttato in mare, il fratello, l’amico, il cugino, il compagno di viaggio.
Il “dilemma” non è certo nuovo, ma in certe circostanze non può che tornare a galla in tutta la sua drammaticità: “Non ho fame perché ogni volta che mangio penso a mia madre che per telefono mi dice che ha finito anche i soldi per comprare il riso e le sementi per preparare il prossimo raccolto”. Questa è una di quelle circostanze: nel pronunciare questa frase, gli occhi di Alpha (nome di fantasia), uno dei 107 ragazzi attualmente accolti presso il Centro “Ahmed”, si riempiono di lacrime. Arrivato a Messina nel gennaio del 2015, Alpha, come molti suoi compagni, attende l’ormai imminente trasferimento presso una struttura di seconda accoglienza per adulti. Il prossimo giugno, infatti, compirà diciotto anni, e come previsto dalla legge, la sua permanenza nella struttura di Messina, organizzata appunto solo per l’accoglienza di under 18, dovrà terminare.
Per Alpha, che ha già formalizzato la richiesta di protezione internazionale (modello C3) e che ha anche ottenuto il permesso temporaneo di richiesta asilo, il prossimo step, dopo il probabile spostamento, sarà quello della convocazione in Commissione.
Sarà, insomma, il momento della vita, quello da cui dipenderà non solo il suo futuro, ma anche quello della mamma rimasta in Senegal. Come spiegare al commissario che ne ascolterà le confessioni più profonde, che i motivi della fuga, pur non essendo tra quelli “previsti dalla legge”, abbiano uguale peso e valore di quelli stabiliti dal legislatore? Come far capire che pur essendo, fame e sete, non contemplate dai codici, siano ugualmente comprensibili spinte di viaggio? E ancora: come descrivere il dolore, intenso come un pugno allo stomaco, avvertito da Alpha ogni qualvolta provi ad ingerire un boccone di cucina italiana, dal retrogusto però inevitabilmente amaro?
Servirebbero, anzi serviranno, tante parole, eppure sarebbe sufficiente ascoltare una frase e osservare lo sguardo pieno di lacrime di chi la pronuncia: “Non ho fame perché ogni volta che mangio penso a mia madre che per telefono mi dice che hanno finito anche i soldi per comprare il riso e le sementi per preparare il prossimo raccolto”. (Elena De Pasquale)