1 aprile 2015

A Santa Maria in Trastevere preghiera per i martiri di oggi

Presieduta dall’arcivescovo Gallagher la veglia promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Il lungo elenco delle vittime dell’odio: cristiani e musulmani.


«Ciò per cui vale la pena vivere è lo stesso per cui vale la pena morire». Il messaggio, che aiuti a consolare i cuori dallo sgomento per le ultime morti dei cristiani uccisi nel mondo, è di monsignor Paul Richard Gallagher. Il Segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede ha presieduto ieri, martedì 31 marzo, nella basilica di Santa Maria in Trastevere la veglia di preghiera voluta dalla Comunità di Sant’Egidio per ricordare anche quest’anno, a pochi giorni dalla Pasqua, quanti hanno offerto la loro vita per il Vangelo. L’arcivescovo li chiama martiri e ne spiega il perché: «L’unico e vero martire è colui che versa da solo il suo sangue per amore di Dio. È vittima ma non fa vittime. Chi invece si uccide, per uccidere in nome di Dio, non ha niente a che fare con i martiri della fede ma, come dice Papa Francesco, compie “un’aberrazione”».
Perseguitati, discriminati, privati della libertà religiosa e persino della stessa vita, sono i “martiri contemporanei” dei quali, quando conosciuti, vengono citati i singoli nomi. Tra di essi Gallagher ricorda innanzitutto «la testimonianza di monsignor Oscar Romero». La notizia della sua prossima beatificazione «è un dono per la Chiesa intera che, così, accoglie l’offerta dolorosa della sua vita». Ci sono poi tutti quelli che in Medio Oriente «sono stati sradicati dalle loro terre e rese vittime indifese della follia totalitaria delle milizie dello Stato Islamico». E sono, in Siria, il 17enne Milad, ad esempio, ucciso il 23 febbraio scorso durante l’aggressione ai villaggi cristiani lungo le sponde del fiume Kabhur o anche il gesuita Frans Van der Lugt, ucciso a Homs nel 2014, nel monastero in cui aveva dato rifugio ad altri uomini, indipendentemente dalla loro fede.
Si, perché «non soltanto i cristiani ma anche i musulmani sono vittime dell’odio blasfemo – ricorda Gallagher -, come è avvenuto ancora recentemente in Yemen. L’odio è potente, può impazzire e farsi progetto totalitario di morte». Prima di fare i nomi di tutti coloro che hanno perso la vita, si ricordano anche coloro che sono stati «catturati dall’Isis e che si trovano ancora nelle loro mani, nella regione di Hassaké». In particolare, si prega per la liberazione di chi è stato sequestrato anni prima: i vescovi di Aleppo Mar Gregorios Hibrahim e Paul Yazigi, i sacerdoti Maher Mafouz, Michel Kaiaf e il gesuita romano padre Paolo Dall’Oglio, impegnato nel dialogo interreligioso in Siria, da dove è stato espulso con decreto di Bashar Al-Assad nel 2012 perché ritenuto «persona non gradita». Rientrato l’anno dopo, da quel momento del religioso si sono perse le tracce.
Non mancano morti nella nostra Europa, come don Giuseppe Diana, padre Pino Puglisi, il giudice Rosario Livatino e «quanti sono stati assassinati dalla mafia e dalla camorra». Martiri anche in Africa e Asia, come in Pakistan dove 15 cristiani sono stati uccisi domenica 15 marzo mentre partecipavano alla Messa: fra di essi anche il piccolo Abish, 11 anni, della scuola della Pace e della locale Comunità di Sant’Egidio. «Siamo rimasti tutti sconcertati dagli attacchi suicidi portati al cuore delle comunità cristiane di Lahore: due chiese, cattolica e anglicana, gremite di fedeli, ferite e dilaniate dall’esplosivo dei terroristi nell’ora in cui ci si lascia pervadere dal segno di pace. Come si può odiare – si domanda l’arcivescovo inglese – un popolo così pacifico?».
Nel rosario di nomi, ancora Shahbaz Bhatti, ministro pakistano delle minoranze, ucciso a 42 anni nel 2011 o le due giovani insegnanti battiste del Myanmar, 20 anni, stuprate e uccise dall’esercito il 21 gennaio nel villaggio in cui, come volontarie, si occupavano della alfabetizzazione dei poveri. Un elenco lunghissimo anche di gente che forse non avrà mai un nome o che il mondo non saprà ricordare, come negli eccidi e nei massacri di massa: per tutti vale l’esempio degli armeni, barbaramente trucidati negli anni 1915-1918. Perché tutto questo dolore non sia vano, «dobbiamo raccogliere noi il testimone», conclude Gallagher. E come dice la parola “veglia”, quella che qui si è appena celebrata, «il nostro compito è “ascoltare” e “vigilare”» perché altro sangue non sconvolga più la Terra.