5 dicembre 2014

Roma città aperta all’accoglienza

Ai piedi del Campidoglio una fiaccolata per dire no al razzismo e alla violenza. Padre Ripamonti del Centro Astalli: «Le nostre periferie luogo d’incontro e dialogo». Zeinab, ex rifugiata: «Questa città mi ha salvato la vita».

No al razzismo, no alla violenza, si all’accoglienza. Con una fiaccolata che ha illuminato piazza del Campidoglio, Roma, giovedì sera, ha voluto riaffermare il suo ruolo di città aperta. In tanti hanno aderito all’evento organizzato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil e dalle associazioni che lavorano a fianco dei migranti come le Acli, il Centro Astalli, la Comunità di Sant’Egidio, il Forum del Terzo settore, Libera, la Fondazione internazionale Don Luigi di Liegro e il Social Pride. Tutti uniti in un gesto di pace e solidarietà, spinti in piazza dopo i gravi fatti delle scorse settimane, che hanno visto protagonisti alcuni migranti del centro di accoglienza per rifugiati «Un sorriso» e i residenti del quartiere romano di Tor Sapienza.
«Le nostre periferie devono essere luogo di incontro e dialogo – afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli del Servizio gesuiti per i rifugiati – questo è il futuro della nostra città. L’Italia e soprattutto Roma non sono razziste. La verità è che non si conoscono le realtà dei rifugiati e degli immigrati e solo dalla conoscenza e dall’incontro può nascere qualcosa di positivo per tutti. Periodicamente emergono queste situazioni che assumono il carattere dell’emergenza, mentre bisognerebbe progettare, programmare e andare incontro alle necessità dei territori». Il tema dell’abbandono delle periferie cammina al passo con la realtà dei centri per i migranti e con il problema dell’inclusione sociale: «Questa è una fiaccolata utile per rimettere al centro dell’agenda politica il tema delle periferie – ammette Claudio di Berardino, segretario della Cgil di Roma e Lazio -, periferie intese come possibilità dello sviluppo dell’intera città, quindi come recupero e riqualificazione dei servizi. Bisogna ragionare in termini di politica inclusiva, rivedendo con legge regionale il piano regolatore sociale di Roma».
La fiaccolata è iniziata alla base della scalinata principale che porta in piazza del Campidoglio. Un corteo illuminato e silenzioso è arrivato fin sotto la statua di Marco Aurelio. Qui gli organizzatori hanno preso la parola, ma solo dopo aver sentito la testimonianza di Amar, giovane rifugiato del centro di accoglienza di Tor Sapienza. Leggendo una lettera in un italiano stentato ma comprensibile, Amar ha ricordato che tutti loro, rifugiati, sono esseri umani. Che sono scappati dai loro paesi in guerra solo perché in cerca di una vita migliore. Che non vogliono violenza ma solo essere integrati. Un po’ come ha fatto Zeinab Diolal, somala, in Italia da 25 anni: «Roma mi ha salvato la vita. Io sono scappata dalla guerra, se rimanevo o morivo o uccidevo. Conosco bene il disagio delle periferie: lavoro come infermiera a Tor Pignattara. Si tratta solo di conoscenza, come se Roma non fosse abituata ad avere cittadini diversi dagli italiani».
«Roma è una bellissima città, accogliente e inclusiva – ha deto Rita Cutini, assessore alle Politiche sociali di Roma Capitale -; qui ne vediamo un volto importante, che difende le parole come integrazione, inclusione, solidarietà, indispensabili per far vivere la città in modo tranquillo forte e coraggioso». Le associazioni partecipanti sono state unite da un unico comune denominatore: «Ritrovare la centralità e la dignità della persona umana – ha detto Lidia Borzì, presidente Acli di Roma e provincia – con la voglia di far emergere l’anima sociale di Roma che sull’accoglienza ha una storia, ed oggi un esempio luminoso in Papa Francesco». Non solo a fianco dei migranti, ma in piazza si stava anche per contrastare chi vuole seminare odio: «Roma non è razzista – afferma Gianni Palumbo, portavoce del Forum del Terzo settore del Lazio – lo è chi lavora nel torbido per sollevare una volontà, per trasformare in razzista le difficoltà delle periferie da troppo tempo abbandonate, questo è il problema».
Inevitabile è stato per tutti il riferimento alla recente inchiesta «Mondo di mezzo», con la quale è stata scoperta un’associazione a delinquere di stampo mafioso a Roma, con politici e manager coinvolti in affari illeciti tra cui la gestione dei centri di accoglienza per i rifugiati e i campi rom. «Non sapevamo che sui rom e sui migranti si guadagnava di più rispetto al traffico di droga – ha affermato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, riferendosi a quanto emerso da alcune intercettazioni -. Nella politica romana oggi c’è della criminalità organizzata bipartisan e questo mina la democrazia della città. È necessario ricostruire un dialogo sociale e culturale». Una realtà possibile: «Roma ha una vocazione universale – dice Daniela Pompei, responsabile del servizio immigrazione di Sant’Egidio – le periferie della città sono costituite da romani di adozione, calabresi, abruzzesi, che oggi potrebbero essere romeni, filippini. Cittadini romani a pieno titolo, cittadini di questa bellissima città».


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