19 maggio 2014

"Las Patronas": quelle madri e contadine che aiutano i migranti

Roma - “Donare cibo e acqua sembra una cosa semplice ma può salvare la vita”. Ne è convinta Norma Romero Vásquez che nei giorni scorsi, su iniziativa della Pontificia Università Gregoriana e della Fondazione Migrantes, ha portato la sua testimonianza durante un incontro che si è svolto a Roma sul tema “Las Patronas. L’impegno sociale come testimonianza di Fede”. È la testimonianza di una donna a fianco dei migranti che ogni giorno viaggiano aggrappati ai treni merci che dal sud del Messico porta migliaia di centroamericani verso gli Stati Uniti. Norma Romero, 44 anni, viene da un villaggio nello Stato di Veracruz, a 300 chilometri dalla capitale messicana e fa parte di quel gruppo di donne, chiamate “Las Patronas” (vincitori lo scorso anno del Premio Nacional de Derechos Humanos 2013), che dal 1995 soccorrono gli immigrati che cercano una sorte migliore e viaggiano, senza biglietto, su quei treni che chiamano “La Bestia” e che raccolgono ogni giorno migliaia di migranti provenienti da diversi Paesi centro americani. Pochi di loro, però, raggiungono l’obiettivo. Gli altri, purtroppo, muoiono durante il tragitto, stipati in stretti vagoni, senza cibo né acqua. Le donne di “Las Patronas”, ogni volta che vedono passare quel treno in corsa di fronte ai loro campi, lanciano agli immigrati sacchi di plastica con viveri (riso, succhi di frutti, pane, qualche dolcetto) e bottiglie d’acqua per permettergli di arrivare sani e salvi a destinazione. “All’inizio c’erano pochi uomini sui treni e io chiedevo a mia madre chi fossero quelle persone”, racconta Norma: “Lei mi diceva che forse erano persone che non volevano pagare il biglietto ma poi abbiamo capito che erano solo migranti”. Il tutto iniziò quando Norma, insieme alle sue sorelle e ad altre donne, ricevette una richiesta di aiuto da parte di alcuni migranti mentre il treno passava: “Dateci qualcosa da mangiare”. Quelle donne pensarono che era arrivato il momento di fare qualcosa. E allora, spiega Norma, “abbiamo iniziato a condividere il pane che Dio ci elargiva. E, dato che le provviste non bastavano, siamo andate nei negozi a chiedere aiuto. Da allora tanti ci sostengono in questo nostro servizio”. “Noi - prosegue - siamo madri e contadine e difendiamo i diritti dei migranti, di tutti i migranti, non importa la nazionalità. Sono nostri fratelli e sorelle”. Oggi si arriva a preparare fino a 200 razioni di cibo al giorno per queste persone. “La gente era convinta che noi ricevessimo un contributo economico da parte del Governo per questo nostro servizio oppure da parte dei migranti stessi”, sottolinea Norma, ma questo “non è vero, lo abbiamo fatto con le nostre forze e per molti anni e continuiamo a farlo. Per molti anni nessuno sapeva nulla di quello che facevamo”. “I nostri genitori ci hanno insegnato che bisogna donare. A noi non manca il pane per sfamarci e allora ecco che possiamo donare”. “Las Patronas” si augurano di fare questo servizio per breve tempo ma “lo faremo finché ci saranno migranti che ce lo chiederanno”: “Per questo noi cerchiamo di far conoscere il problema. Vogliamo risvegliare le coscienze e vogliamo migliori condizioni di vita per tutti, non solo per pochi. Seguire Gesù - ribadisce Norma - non è solo seguire le pratiche religiose. Dobbiamo capire che Gesù è in tutti e noi aiutiamo i migranti perché in essi abbiamo visto il volto di Dio. Questo non è il mio progetto ma è il progetto di Dio. È una chiamata speciale da parte di Dio e noi abbiamo imparato ad essere umili”. Per Norma, “siamo solo un gruppo di contadine che sono state ‘investite’ da Dio. Ci è capitato tante volte in questi anni che madri venissero a cercare i propri figli. Figli partiti e mai più tornati”. Si calcola che ogni anno 400mila immigrati centro-americani percorrano più di 8mila chilometri in clandestinità, nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti attraverso il Messico. Molti non raggiungono la destinazione, perché muoiono durante il tragitto, alcuni vengono sequestrati mentre altri rimangono feriti gravemente.



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